Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3882 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3882 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AGOSTINO FRANCESCO N. IL 17/06/1975
avverso l’ordinanza n. 145/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 28/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 22/11/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Aurelio Galasso, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Aricò, il quale chiede l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Reggio

custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato in ordine al reato di
cui all’articolo 416 bis del codice penale, per aver preso parte, con altri,
alla cosca Bellocco, operante sul territorio del comune di Rosarno ed
altresì in Emilia-Romagna ed in Lombardia. In particolare, all’indagato
viene contestato di aver fornito un costante contributo per la vita
dell’associazione, recandosi ai colloqui in carcere con lo zio Bellocco
Carmelo, aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti e ricevendo da
questi direttive da eseguire direttamente e, più in generale, mettendosi
a completa disposizione degli interessi del sodalizio.
2.

Il tribunale di Reggio Calabria, sezione del riesame, in esito

all’udienza camerale del 28 febbraio 2013, ha confermato l’ordinanza
impugnata, ritenendo sussistente un grave quadro indiziario a carico
dell’odierno ricorrente.
3.

Il D’Agostino propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a. violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere B, C, D, E, in
relazione agli articoli 191, 220-233, 238 cod. proc. pen.; sotto
tale profilo si censura la ritenuta sussistenza di gravità
indiziaria ed in particolare si lamenta la erronea trascrizione
del colloquio intercettato in carcere del 27 novembre 2009, in
cui l’indagato avrebbe espresso la sua messa a disposizione a
favore del clan con la frase “tu disponi di me”. Secondo il
ricorso, cui viene allegata perizia di parte, il D’Agostino in
quell’occasione avrebbe detto “rispondo di me”, così
ridimensionando completamente il significato del colloquio. Il
ricorrente contesta poi la inutilizzabilità della trascrizione delle
intercettazioni in quanto avvenuta nell’ambito di un diverso
procedimento penale, in cui egli non era parte. In particolare
lamenta la violazione dell’articolo 238 cod. proc. pen.. Infine,

1

Calabria ha applicato a D’Agostino Francesco la misura coercitiva della

il ricorrente contesta che il tribunale abbia operato una
corretta lettura dei dialoghi intercettati.
b. violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere B, D, E, in
relazione all’articolo 416 bis del codice penale e all’articolo 4
della legge 146-2006, nonché violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento agli articoli 125, 273, 546,
numero 1, lettera E, del codice di procedura e 416 bis del
codice penale; sotto tale profilo si afferma che l’ordinanza

apparente laddove richiama semplicemente il contenuto
dell’ordinanza custodiale e si lamenta la mancata risposta
analitica alle articolate deduzioni difensive sollevate con la
memoria depositata in sede di riesame.
c.

Erronea interpretazione ed applicazione dell’articolo 416 bis
del codice penale; secondo il ricorrente la sua condotta non
integra la fattispecie penale contestata, non essendo
sufficiente la partecipazione a colloqui in carcere con lo zio per
la discussione di argomenti totalmente leciti e che nulla hanno
a che fare con il programma del sodalizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di procedere alla disamina specifica dei motivi di ricorso, deve
premettersi che il ruolo di questa Corte non è quello di rivalutare gli
indizi posti a base delle due ordinanze cautelari, quanto piuttosto
quello di verificare che il provvedimento impugnato sia sorretto da
una logica e sufficiente motivazione, anche nelle parti in cui fa
riferimento all’ordinanza emessa dal gip, e che il giudizio di gravità
indiziaria sia stato effettuato dalla Corte del riesame operando una
corretta interpretazione degli istituti processuali invocati nel ricorso.
2. In alcun caso questa Corte procederà ad una valutazione di merito
sugli indizi e sulla loro interpretazione, compito riservato al giudice
per le indagini preliminari in prima battuta e al tribunale del riesame
in sede di impugnazione.
3. Ciò premesso, non si deve dimenticare che ci troviamo oggi non in
una fase dibattimentale, ma nell’ambito di una discussione che
investe il potere cautelare dell’autorità giudiziaria; il che significa che
2

oggetto di impugnazione sarebbe munita di una motivazione

la valutazione degli indizi di colpevolezza deve essere condotta con
minor rigore rispetto a quanto deve avvenire nell’ambito del giudizio
di condanna (Per l’emissione di una misura cautelare personale è
sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un
giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in
ordine ai reati addebitatigli; cfr. sez. II, 13 marzo 2008, n. 13505).
4.

Orbene, ritiene questa Corte che non siano ravvisabili, nella
motivazione, vizi evidenti di illogicità idonei a scardinarla, non

esposizione di elementi di valutazione (che il ricorrente ritenga tali da
determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività). Non
qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati
dal contesto costituisce vizio della motivazione; al contrario, è solo
l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della
motivazione, che, nel caso di specie, indubbiamente sussiste.
5.

Ciò premesso, sul primo motivo è sufficiente rilevare che il ruolo
attivo dell’indagato all’interno dell’associazione risulta in modo
sufficiente, almeno a fini cautelari e quindi a livello di gravità
indiziaria, dalle altre intercettazioni ed attività di indagine,
correttamente riportate ed adeguatamente valutate dal giudice di
merito nel provvedimento impugnato. La frase “tu disponi di me” non
è che un ulteriore elemento di riscontro, non decisivo, della tesi
accusatoria, che và a rafforzare un quadro indiziario già consistente e
più che sufficiente a giustificare la misura irrogata. Se anche fosse
vero quanto affermato dal ricorrente sul punto, dunque, ciò sarebbe
irrilevante in quanto il quadro probatorio non ne sarebbe scalfito in
maniera determinante.

6.

Il ricorrente contesta poi la inutilizzabilità della trascrizione delle
intercettazioni in quanto avvenuta nell’ambito di un diverso
procedimento penale, in cui egli non era parte. In particolare lamenta
la violazione dell’articolo 238 cod. proc. pen.. Trattasi di violazione di
legge che non era stata sollevata in sede di riesame, ove si
procedeva unicamente ad una diversa valutazione della prova. Ne
consegue che la relativa censura è inammissibile; si veda Sez. 4, n.

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essendo sufficienti minime incongruenze argomentative o l’omessa

839 del 24/06/93, Foti, Rv. 195324: “Il disposto dell’art. 606 comma
terzo cod. proc. pen. che prevede l’inammissibilità del ricorso se
proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è
applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame
poiché il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di
impugnazione del merito, si presenta equiparabile all’appello” (conf.
Sez. 3, Sentenza n. 35889 del 01/07/2008, Rv. 241271).
7. Il ricorrente contesta ancora che il tribunale abbia operato una

richiamato quanto esposto in apertura della motivazione, si ribadisce
che tali censure sono inammissibili in quanto dirette a contestare una
valutazione di merito del tribunale che è stata corredata da adeguata
motivazione, priva di vizi logici (che, per essere rilevanti in sede di
legittimità, devono essere “evidenti”), e che pertanto si sottrae ad
ogni censura in Cassazione.
8. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato laddove
afferma che il provvedimento è corredato di motivazione solo
apparente, essendoci, invero, non solo un più che legittimo rinvio alla
esauriente motivazione del gip, ma anche una rinnovata valutazione
degli elementi di indagine, con motivazione approfondita, congrua e
priva di vizi logici alle pagine da 32 a 40 dell’ordinanza impugnata.
Con riferimento alla lamentata mancata risposta a tutte le deduzioni
difensive in ordine all’interpretazione dei singoli colloqui, si osserva
che il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può
essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima
facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa
estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della
motivazione sulle questioni di fatto (Cass. Sez. 1 sent. n. 1700 del
20.03.1998, rv 210566). Va ulteriormente ribadito che non
qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati
dal contesto costituisce vizio della motivazione; al contrario, è solo
l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della
motivazione, che, nel caso di specie, indubbiamente sussiste.

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scorretta lettura dei dialoghi intercettati, ma sotto questo profilo,

9. Il terzo motivo è manifestamente infondato perché si basa su
presupposti di fatto (la totale liceità degli argomenti e la loro
estraneità all’attività del sodalizio) che sono stati correttamente
esclusi dal giudice di merito, con adeguata motivazione, e che
pertanto non possono essere rimessi in discussione in questa sede di
legittimità. Il motivo, pur denunciando formalmente violazione di
legge, costituisce, con tutta evidenza, censura in punto di fatto
dell’ordinanza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione

giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è
insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in
esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logicogiuridici.
10. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del
procedimento.
11.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’articolo

94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale.
Così deciso il 22/11/2013

degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a

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