Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3880 del 18/11/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 3880 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSTANZO PASQUALE N. IL 20/07/1927
COSTANZO VINCENZO N. IL 02/09/1953
COSTANZO GIUSEPPE N. IL 03/12/1946
LOMBARDO LILIANA CARMELA N. IL 02/12/1953
CORDASCO CLAUDIO N. IL 09/06/1952
CAVALLARO GIUSEPPE N. IL 18/07/1940
CAVALLARO ANTONINO ANGELO N. IL 27/05/1950
ARICO’ PAOLO N. IL 21/11/1940
avverso la sentenza n. 1525/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere
Dott. ANGELO CAPUTO
. .
cle_ha_c.o.nduso-pe,g.

Data Udienza: 18/11/2014

Uditi, all’udienza del 17/11/2014, il Sostituto Procuratore generale della
Repubblica presso questa Corte di cassazione dott. S. Spinaci, che ha concluso
per l’annullamento senza rinvio per morte dell’imputato Aricò e il rigetto degli
altri ricorsi; per la p.c., l’avv. Zappulla, che si è associato alle richieste del P.G.
depositando comparsa conclusionale e nota spese; per Pasquale Costanzo e
Giuseppe Costanzo, l’avv. C. Peluso, che ha concluso per l’annullamento della
sentenza impugnata; l’avv. Mellia che ha concluso per Paolo Aricò come da nota
già depositata e per Claudio Cordasco per la riforma della sentenza impugnata;

dei motivi di ricorso; per Liliana Carmela Lombardo, l’avv. I. Ferrara, che ha
concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso; per Vincenzo Costanzo, l’avv.
Tricoli, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
Rilevato che all’udienza del 17/11/2014 la deliberazione è stata differita ex
art. 615 cod. proc. pen. all’udienza del 18/11/2014.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 19/04/2010, il Tribunale di Catania, per quanto
è qui di interesse, ha affermato la responsabilità penale:
in relazione al capo A) del procedimento n. 2137/98 di: Pasquale Costanzo,
Vincenzo Costanzo, Antonino Angelo Cavallaro e Giuseppe Cavallaro, nonché
Salvatore Giambrone e Alfio Cavallaro, per il reato di bancarotta fraudolenta
impropria per distrazione, con grave pregiudizio per i creditori, di un ramo di
azienda di So.co.mar. s.p.a. (dichiarata in stato di insolvenza il 21/11/1996);
in relazione al capo B) del procedimento n. 2137/98 di: Pasquale Costanzo,
Giuseppe Costanzo (classe 1946), Liliana Carmela Lombardo e Claudio Cordasco
per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, con grave
pregiudizio per i creditori, dal patrimonio di Zeutron s.p.a. (dichiarata in stato di
insolvenza il 09/07/1996) e dal patrimonio di Fin.It (controllata da Zeutron
s.p.a.) delle rispettive quote di partecipazione in La Perla Ionica s.r.I.;
in relazione al capo C) del procedimento n. 2137/98 di: Paolo Aricò e
Giuseppe Costanzo (classe 1946) per il reato di bancarotta fraudolenta impropria
per distrazione, con grave pregiudizio per i creditori, dal patrimonio di Zeutron
s.p.a. (dichiarata in stato di insolvenza il 09/07/1996) della fonte di reddito
rappresentata dal canone annuo di locazione corrisposto da La Perla Ionica s.r.l.
a Realizzazione Turistiche Alberghiere, società controllata da Zeutron s.p.a.;
in relazione al capo D) del procedimento n. 2137/98 di: Pasquale Costanzo
per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, con grave
pregiudizio per i creditori, dal patrimonio di Zeutron s.p.a. (dichiarata in stato di

2

per Antonino Angelo Cavallaro, l’avv. Marini, che ha concluso per l’accoglimento

insolvenza il 09/07/1996) del pacchetto azionario di Owar S.A., detenuto per
intero da Zeutron s.p.a., cedendolo a Intereuropean Finance S.A.;
in relazione al capo A) del procedimento n. 2193/98 di: Pasquale Costanzo,
Giuseppe Costanzo (classe 1946) e Giuseppe Cavallaro per il reato di bancarotta
fraudolenta impropria per distrazione, con grave pregiudizio per i creditori, dal
patrimonio di Ediltekna s.r.l. (dichiarata in stato di insolvenza il 18/03/1996) di
ingenti capitali versati a Zeutron s.p.a.;
in relazione al capo F) del procedimento n. 2193/98 di: Giuseppe Costanzo

parte del patrimonio di Ediltekna s.r.l. (dichiarata in stato di insolvenza il
18/03/1996), omettendo di ricavare proficui redditi di locazione di un immobile
ubicato in San Giovanni La Punta, mantenendo un contratto di comodato gratuito
con Francesco Pesto.
Nella definizione del trattamento sanzionatorio, il Tribunale di Catania, ai fini
della valutazione della gravità dei reati, ha valorizzato il ruolo svolto da ognuno
degli imputati in generale nell’ambito dell’organizzazione del gruppo Costanzo e
quello specifico assunto nelle singole vicende; l’intensità del dolo, desumibile, in
particolare, dalla contrarietà delle condotte poste in essere rispetto ai doveri
facenti capo a ciascuno degli imputati e, segnatamente, al dovere di protezione
dell’interesse all’integrità patrimoniale delle singole società; della gravità del
danno causato nel contesto dell’insolvenza delle singole società e del gruppo, da
ritenere comunque di rilevante entità così come evidenziato dai singoli capi di
imputazione; dei motivi che di volta in volta hanno sorretto le condotte
distrattive, per ciò che concerne le vicende So.co.nnar., Perla Jonica e Owar, e
spoliative e dissipative, per quanto riguarda la vicenda Ediltekna, nonché della
oggettiva situazione di difficoltà imprenditoriale in cui dette vicende si sono
iscritte. Rileva inoltre il giudice di primo grado che nei confronti di Pasquale
Costanzo, di Giuseppe Costanzo (classe 1946) e di Giuseppe Cavallaro non
possono essere applicate le circostanze attenuanti generiche, attesa la pluralità
dei fatti delittuosi ad essi ascritti e per il ruolo centrale rivestito nella
realizzazione degli stessi. A tutti gli altri imputati, invece, possono essere
applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto
alla contestata circostanza aggravante, fatta eccezione che per Alfio Cavallaro,
nei cui confronti le circostanze attenuanti generiche possono essere applicate con
giudizio di prevalenza per il ruolo secondario svolto nella commissione del reato
del quale è stato riconosciuto colpevole.
Quanto alle statuizioni civili, ha osservato il Tribunale di Catania che è
risultato accertato che la cessione del più fruttuoso ramo di azienda di
So.co.mar. alla Europea Costruzione appositamente costituita dai fratelli

3

(classe 1946) per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per dissipazione di

Cavallaro, l’acquisizione dell’intero capitale de La Perla Ionica, titolare della
gestione di un prestigioso complesso alberghiero, da parte dei componenti della
famiglia Costanzo, grazie alla rinuncia al diritto di opzione per la sottoscrizione di
nuove quote del capitale sociale posta in essere da Zeutron, principale hoidig del
gruppo, la cessione, per un corrispettivo irrisorio, dell’intera partecipazione
azionaria di Owar ad altra società lussemburghese, già socia di altra società
facente capo alla famiglia Costanzo, la R.T.A. (Realizzazione Turistico
Alberghiere) s.p.a., le plurime attività di distrazione patrimoniale in danno dei

hanno determinato un grave e rilevantissimo pregiudizio per i creditori
concorsuali, cui sono stati sottratti, in pendenza dello stato di insolvenza,
cospicui cespiti patrimoniali e flussi reddituali estremamente significativi e in
danno dei quali è stato procurato un esorbitante indebitamento che ha eroso il
valore delle capitalizzazioni e delle disponibilità patrimoniali. Rinviando l’esatta
quantificazione dell’entità del danno alla competente sede civile, il Tribunale di
Catania, affermata la responsabilità civile degli imputati per i reati a ciascuno
ascritti, ha disposto una congrua provvisionale sulla liquidazione definitiva del
danno.

2. Con sentenza deliberata in data 09/05/2013, la Corte di appello di
Catania ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Salvatore
Giambrone e di Alfio Cavallaro per essere i reati agli stessi ascritti estinti per
morte degli imputati, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse di Pasquale Costanzo e di Giuseppe
Costanzo (classe 1946), il difensore avv. C. Peluso, articolando dodici motivi di
seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Vizio di motivazione in ordine alle doglianze contenute nei motivi di
appello. La Corte di appello non ha dato risposta ovvero ha dato risposte
apparenti ai rilievi critici proposti con i motivi di appello, né è possibile far
riferimento alla sentenza di primo grado, ostandovi la specificità delle censure
formulate con l’atto di appello.
3.2. Vizio di motivazione e violazione della legge penale in relazione alla
sussistenza del dolo di bancarotta nelle condotte riconducibili all’adozione del
piano di risanamento del “Gruppo Costanzo”. Un recente orientamento della
giurisprudenza di legittimità – la sentenza n. 2147 (recte, 47502) del 2012 – ha
affermato la necessità di un nesso causale tra la condotta dell’agente e il
fallimento, che deve essere oggetto di dolo: la Corte di appello si è limitata a

4

creditori di Ediltekna (società controllata da F.11i Costanzo s.p.a. e da Zeutron)

prendere atto dell’esistenza di tale orientamento, senza mostrare di aderirvi o di
aderire all’orientamento opposto. A causa della crisi dei settori in cui operava il
Gruppo Costanzo, la cui struttura unitaria emerge da molteplici indicatori, venne
alla luce il “Progetto di ristrutturazione economico-finanziaria e societaria del
gruppo industriale Costanzo” (Piano Pasfin) in base al quale fu adottata una
convenzione con le banche creditrici: tale accordo ha comportato un sostanziale
esproprio degli organi sociali delle funzioni gestorie e di indirizzo ad essi
spettanti, trasferendo al sistema bancario tutti i poteri di ordinaria e di

rappresentante della banche l’ing. Filippo Lombardo. Il tracollo del gruppo fu
determinato dalla posizione di Irfis, che chiese alle banche firmatarie del piano
Pasfin l’estensione del benefici delle ipoteche, presentando poi un’istanza di
fallimento che si era dichiarata pronta a ritirare: tuttavia, l’avvenuta conoscenza
da parte del Tribunale del prossimo consolidamento delle ipoteche provocò la
dichiarazione di insolvenza di F.11i Costanzo. Sia la sentenza di primo grado, che
la sentenza di appello hanno del tutto omesso di considerare l’esautoramento
della govemance del gruppo da parte delle banche e l’assenza di autonomia
decisionale degli amministratori e

dell’holder,

identificato in astratto nella

famiglia proprietaria.
3.3. Violazione della legge penale e vizio di motivazione. Con riferimento
alla vicenda So.co.mar. la Corte di appello ha liquidato la specifica doglianza
circa la riconducibilità dell’operazione alle logiche del piano Pasfin e le ulteriori
censure proposte con l’atto di appello.
3.3.1. La cessione del ramo di azienda So.co.mar. fu posta in essere senza
alcun timore della imminente (ma imprevedibile) procedura concorsuale ed è
avvenuta sotto il puntuale controllo del pool di banche che aveva stipulato la
convenzione; non poteva esserci alcun intento distrattivo in quanto, se avesse
recato pregiudizio ai creditori della stessa società o delle controllanti,
l’operazione non avrebbe mai trovato il consenso delle banche creditrici, laddove
essa rientrava perfettamente nelle logiche di ristrutturazione del gruppo previste
dalla convenzione. Contraddittoriamente la Corte di appello individua le logiche
del piano Pasfin come volte a determinare sia il ridimensionamento strutturale,
sia la riduzione delle società operative, per poi escludere che le stesse
condussero alla vendita di So.co.mar.
3.3.2. L’atto di appello, sulla base della consulenza tecnica di parte allegata
al ricorso, censurava l’errore dei periti nel riscontrare gravi anomalie nei bilanci
di So.co.mar. per gli esercizi 1994 e 1995: la sentenza impugnata non motiva
circa le ragioni per le quali la tesi esposta nella perizia disposta nell’incidente
probatorio siano state privilegiate rispetto a quelle della consulenza di parte.

5

straordinaria amministrazione, sicché negli uffici del gruppo si insediò quale

3.3.3. L’incongruità del prezzo di cessione di So.co.mar. è stata
argomentata sulla base delle difficoltà di valutare le componenti dell’attivo
patrimoniale e dell’inattendibilità delle scritture contabili, nonché della richiesta
della società di modifica del corrispettivo della cessione del ramo di azienda,
trascurandosi, a quest’ultimo proposito, che essa è stata avanzata dagli organi
della procedura di amministrazione straordinaria già insediatisi presso gli uffici
del Gruppo Costanzo, sicché l’affermazione di non congruità del prezzo viene
dalla parte che ha dato origine al procedimento penale e che, per le sue funzioni,

l’atto di appello rinviava alla consulenza di parte, ma la sentenza impugnata non
ha preso in considerazione la censura. In realtà l’operazione era utile ed
approvata dal sistema bancario, che rappresentava il ceto creditorio, e il prezzo
era congruo, sicché l’operazione non ha sottratto alcun bene alla soddisfazione
dei creditori concorsuali.
3.3.4. In ordine alla posizione di Pasquale Costanzo, individuato nell’aver
rivestito la carica di presidente del c.d.a. di Zeutron, l’atto di appello aveva
evidenziato che la partecipazione di tale società era esigua (4,721%) e
indifferente ai fini della volontà assembleare, tanto piùche l’imputato è stato più
volte descritto come “uomo di cantiere” e che l’adesione al piano Pasfin
determinava la consapevolezza che i creditori non fossero turbati dalla cessione.
Sul punto la sentenza impugnata è priva di motivazione.
3.4. Violazione della legge penale e vizio di motivazione. Con riferimento alla
vicenda La Perla Jonica (capo B del procedimento n. 2137/98), ha errato la
perizia perché si sarebbe dovuto ipotizzare cosa sarebbe successo se la società
fosse rimasta nel Gruppo Costanzo e non cosa sarebbe potuto succedere ad una
società estranea al gruppo stesso. Nell’atto di appello si evidenziava che la
società si era impegnata ad effettuare lavori per un importo di oltre 9 miliardi,
sicché il liquidatore non poteva esercitare il diritto di opzione senza configurare,
almeno potenzialmente, un danno per gli azionisti; si segnalava altresì l’esito
negativo dinanzi al Tribunale di Catania dell’azione revocatoria esercitata dai
Commissari in sede civile, sull’assunto che la rinuncia al diritto di opzione non è
un atto di disposizione del diritto, ma costituisce esercizio di una facoltà inerente
al diritto stesso. La mancata ricostituzione da parte del liquidatore di Zeutron del
capitale sociale di Perla Jonica non ha determinato alcun danno.
Con riferimento alla posizione personale dell’imputato Pasquale Costanzo,
l’atto di appello aveva evidenziato che la rinuncia al diritto di opzione è stata
esercitata nel corso dell’assemblea straordinaria di Perla Jonica del 20/03/1996
da Giuseppe Costanzo (classe 1946) nella qualità di liquidatore di Zeutron
nominato tale dall’assemblea straordinaria di quest’ultima società in data

6

doveva attivare tutte le iniziative proprie delle procedure concorsuali. Sul punto,

15/03/1996, sicché alla data della rinuncia non era più in carica il c.d.a.
presieduto da Pasquale Costanzo, che, non avendo avuto la possibilità di
interferire nella condotta del liquidatore, non ha commesso il fatto. La censura
non ha trovato risposta nella sentenza impugnata.
3.5. Vizio di motivazione. Con riferimento alla vicenda La Perla Jonica (capo
C del procedimento n. 2137/98), l’atto di appello aveva evidenziato le
motivazioni che avevano indotto le parti alla ricontrattazione oggetto
dell’imputazione: la società proprietaria, R.T.A. s.p.a., aveva avuto prova

situazione della stessa e quella della controllante era del tutto compromessa,
considerato il già avvenuto ingresso nella “legge Prodi” da parte della società
operativa (F.11i Costanzo) del Gruppo del quale R.T.A. faceva parte. I periti non
hanno determinato alcuna valutazione di Perla Jonica, essendosi limitati ad una
presunzione di utili, essendo, in particolare, assurdo ipotizzare un utile annuo
costante in presenza della più diverse variabili che possono interessare
un’attività commerciale. La Corte di appello si è limitata ad una mera adesione
alle conclusioni della sentenza di primo grado, senza dar conto della confutazione
di tutti gli argomenti difensivi oggetto di devoluzione.
Con riguardo alla posizione di Giuseppe Costanzo quale amministratore di
fatto, la Corte di appello ha omesso di affrontare il punto, mentre il Tribunale
aveva fondato la responsabilità dell’imputato su quanto dichiarato nell’udienza
dibattimentale del 02/12/2009: in tali dichiarazioni, tuttavia, l’imputato ha solo
raccontato la “storia” del gruppo, riferendo in merito alle vicende oggetto di
imputazione, senza offrire elementi idonei a individuarlo come amministratore di
fatto, qualità rispetto alla quale i giudici di merito avrebbero dovuto verificare le
concrete attività poste in essere dal ricorrente.
3.6. Vizio di motivazione. Con riferimento alla vicenda Owar (capo F – recte,
D – del procedimento n. 2137/98, la Corte di appello si è limitata ad aderire alle
conclusione della sentenza di primo grado, nella cui impugnazione si era
sostenuto che, anche se fosse stato legittimo il subentro del terzo datore di
ipoteca nei diritti e nel grado del creditore che lo ha escusso, nella fattispecie si
sarebbe dovuto verificare quali fossero le prospettive di pagamento in favore dei
creditori di Zeutron, prima e dopo la cessione del pacchetto azionario, e la
risposta avrebbe mostrato l’inesistenza del danno, anche solo potenziale:
peraltro Owar non si è inserita nello stato passivo di Zeutron, sicché il danno
paventato dai periti rimane a livello di ipotesi e non potrà mai rivelarsi un
pericolo concreto, risultando incontestabile che il cessionario ha pagato lire
67.750.000 per un bene stimato 12 miliardi e gravato da ipoteca per 24 miliardi.

7

dell’insostenibilità del canone e, quando accettò di ridurlo drasticamente, la

3.7. Violazione della legge penale e vizio di motivazione. In relazione al capo
A) del procedimento n. 2193/98, la sentenza impugnata, a fronte di molteplici e
specifici motivi di gravame, si è limitata a condividere la sentenza di primo
grado. Agli imputati viene contestato il delitto di bancarotta fraudolenta, in
concorso con gli amministratori della società, in veste di “amministratori occulti”
nella distrazione di ingenti capitali di Ediltekna s.r.l. mediante la sottoscrizione di
tre mutui ipotecari – per complessivi 41.200 milioni di lire – utilizzati per
estinguere debiti chirografari già scaduti della stessa Ediltekna e di altre società

mentre il management del gruppo non aveva alternative.
3.7.1. Sotto il profilo del fenomeno dei gruppi di società, il caso in esame è
quello della società collegata che finanzia un’altra società del gruppo, caso in cui
lo squilibrio economico non sussiste perché il finanziamento, anche gratuito,
evita l’insolvenza della società collegata o partecipata che costringerebbe anche
la finanziatrice a rispondere illimitatamente verso i soci (art. 2362 cod. civ.).
Deve essere valutato il c.d. “disegno imprenditoriale”, ossia il disegno economico
e il piano imprenditoriale del gruppo con riguardo all’operazione di
finanziamento, incombendo sull’accusa l’onere di provare la totale assenza di
razionalità economica e il dolo di distrazione, consistente nella volontà di
distrarre beni sociali con la volontà di renderli indisponibili ai creditori. Nel caso
in esame, l’indebitamento di Ediltekna per finanziare le società del gruppo ha
come immediata contropartita un vantaggio compensativo per il gruppo e,
quindi, per la società finanziatrice, che, essendo la “cassaforte” del gruppo a
causa delle possidenze immobiliari, diventa il polmone economico che deve
erogare finanza al bisogno e che sarebbe immediatamente attaccato dalle
esposizioni debitorie delle controllanti in caso di insolvenza di queste.
3.7.2. In ordine alle posizioni soggettive degli imputati, non sussiste il dolo,
in quanto non può esistere una distrazione punibile di beni dal patrimonio sociale
senza la volontà di rendere indisponibili tali beni per i creditori, sicché il fatto non
sussiste per la mancanza di un’attività di distrazione di beni in presenza di un
corrispettivo derivante dall’interesse economico del gruppo ovvero il fatto non
costituisce reato per mancanza del dolo di distrazione. Il Tribunale ha individuato
una responsabilità “da posizione” dei due imputati rispetto all’operazione in
esame rinunciando alla dimostrazione che entrambi siano stati effettivi
“amministratori occulti” di Ediltekna, non essendo possibile liquidare la
responsabilità del preteso dirigente di un gruppo imprenditoriale per un fatto
commesso dall’amministratore di una società del gruppo, dimostrando solo la
sua posizione apicale e la “conoscenza” dell’operazione incriminata.

8

del gruppo: le operazioni non erano volute dalla società ma dal Banco di Sicilia,

3.7.3. Nell’atto di appello si era evidenziato che la sentenza di primo grado
aveva offerto una qualificazione giuridica del fatto in termini di causazione dolosa
del fallimento, laddove l’imputazione è per bancarotta fraudolenta per
distrazione. A fronte della dedotta nullità della sentenza di primo grado per
mancanza di correlazione tra l’accusa e la condanna, la Corte di appello si è
limitata ad escludere una trasformazione radicale del fatto.
3.7.4. Il dolo della bancarotta fraudolenta può essere escluso dalla oggettiva
immissione di liquidità nel sistema economico del Gruppo attraverso la holding

operazioni manifestamente imprudenti: la Corte di appello ha trattato il tema
solo in sede di esame dell’aggravante ex art. 219 I. fall.
3.7.5. L’atto di appello aveva prospettato la qualificazione del fatto come
bancarotta preferenziale in favore del Banco di Sicilia, che ha consolidato il suo
credito con le ipoteche e lo ha blindato rispetto alle pretese degli altri creditori,
ma la sentenza di appello affronta il tema riferendolo ad altre società e non a
Ediltekna.
3.7.6. La sentenza di appello non ha affrontato il tema della sussistenza del
consenso dell’avente diritto ex art. 51 cod. pen. ossia del Banco di Sicilia,
risalendo l’operazione al 1991 quando non esistevano debiti diversi da quelli nei
confronti di tale banca.
3.8. Vizio di motivazione. In relazione al capo F) del procedimento n.
2193/98, l’atto di appello aveva dedotto che la scelta di mantenere liberi gli
immobili era funzionale al Piano Pasfin di dismissione del patrimonio immobiliare
cui si era impegnato, nella sua totalità, il Gruppo Costanzo: in questa
prospettiva, il contratto di comodato gratuito, diversamente dal contratto di
locazione, consentiva il rilascio dell’immobile a semplice richiesta del comodante.
Trattandosi di un’operazione condotta mediante una forma contrattuale – il
comodato – prevista dal codice civile, il Tribunale avrebbe dovuto valutare
l’ipotesi di causazione dolosa del fallimento, previa identificazione di un’attività
dolosa, di un nesso di causalità con il dissesto e il conseguente fallimento.
Difetta inoltre il dolo, in quanto il contratto di comodato fu stipulato il
26/10/1986 tra Francesco Pesto e la società Aedilia, solo successivamente
incorporata da Ediltekna, sicché l’immobile andava ad aggiungersi all’ingente
patrimonio in capo a quest’ultima società, né può rilevarsi alcun dolo in
un’operazione che, risalendo a dieci anni prima della procedura fallimentare,
verosimilmente non era neppure conosciuta dagli amministratori di Ediltekna e
dai Costanzo.
3.9. Violazione del divieto di reformatio in peius. In assenza di appello del
P.M., la Corte di appello ha affermato la responsabilità degli imputati per i capi

9

Zeutron, potendosi al più configurare la bancarotta semplice per aver compiuto

C) ed E) del procedimento n. 2193/98: la sentenza impugnata è palesemente
nulla e l’argomento denuncia in modo inquietante le modalità con le quali la
Corte ha esaminato il processo e gli argomenti devoluti alla sua attenzione.
3.10. Violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla
circostanza aggravante del danno di rilevante gravità ex art. 219 I. fall., la cui
sussistenza o meno spiega i suoi effetti anche in ordine alla prescrizione dei reati
contestati. La Corte di appello ha omesso di valutare le censure devolute con
l’atto di appello.

(capi A e B del proc. n. 2137/98), nonché al capo F del proc. n. 2193/98, la
sentenza di primo grado aveva ritenuto la circostanza aggravante contestata in
fatto attraverso l’esplicito riferimento al grave pregiudizio arrecato ai creditori,
laddove nel capo di imputazione viene indicato genericamente l’art. 219 I. fall.
che prevede altre due aggravanti non ad effetto speciale, sicché non è possibile
individuare quale delle tre circostanze sia stata contestata, non potendo
soccorrere il riferimento al “grave pregiudizio” per i creditori, poiché, ad
esempio, una concorrente bancarotta documentale impedisce di ricostruire
correttamente l’attivo fallimentare. In ogni caso le sentenze di merito non hanno
affrontato il tema della concreta valutazione del pregiudizio per i creditori.
3.10.2. Con riferimento alle vicende Perla Jonica e Owar (capi B ed F recte, D – del proc. n. 2137/98), nonché al capo A del proc. n. 2193/98 l’atto di
appello aveva contestato l’omessa motivazione da parte del giudice di primo
grado in ordine alla sussistenza dell’aggravante. In particolare, nella vicenda
Owar, gli stessi giudici di merito hanno affermato che il danno è solo ipotetico e
non realmente quantificabile, mentre nella vicenda Ediltekna è stata ritenuta
sussistente l’aggravante a fronte di un danno insussistente per l’unico creditore
privato Banco di Sicilia.
3.11. Violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine al diniego
dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Il diniego svaluta la
situazione determinatasi in prossimità delle dichiarazioni di insolvenza con
l’esautoramento della govemance delle società e del Gruppo da parte delle
banche, che hanno preteso l’iscrizione ipotecaria sui beni personali degli imputati
e fideiussioni per 1.500 milioni ciascuno. A fronte della richiesta di valutare il
comportamento degli imputati, la Corte di appello ha reso una motivazione
apparente.
3.12. Violazione di legge e vizio di motivazione. In ordine alla liquidazione
della provvisionale, la sentenza di primo grado non ha motivato e non ha
tenuto conto delle medesime argomentazioni utilizzate per motivare la
condanna, mentre la Corte di appello ha motivato sul punto in modo che non

10

3.10.1. Con riferimento alla vicenda So.co.mar. e alla vicenda Perla Jonica

consente la verifica dell’applicazione dei richiamati orientamenti giurisprudenziali
ai casi concreti.

4. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha altresì
proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di Claudio Cordasco, il difensore
avv. V. Mellia, articolando otto motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Violazione degli artt. 161, 178 e 429 cod. proc. pen., vizio di

eleggeva domicilio presso la ditta F.11i Costanzo, con sede in Misterbianco;
all’udienza preliminare del 02/12/2003, il G.u.p. dichiarava la contumacia
nonostante l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare fosse stato notificato
presso la residenza in Roma, mediante deposito dell’atto presso la casa
ccomunale, anziché nell’indicato domicilio eletto, sicché ricorre una nullità
assoluta e insanabile che determina la nullità dell’udienza preliminare e di tutti
gli atti successivi e conseguenti. La nullità era stata dedotta con il primo motivo
di appello, ma la Corte di appello nulla ha motivato sul punto.
4.2. Violazione degli artt. 161, 178, 180, 182, 429 e 601 cod. proc. pen.
vizio di motivazione, travisamento della prova. Il decreto di citazione per il
giudizio di appello è stato notificato in Novara e non nel domicilio dichiarato
presso la ditta F.11i Costanzo, con sede in Misterbianco; all’udienza del
09/05/2013 la difesa del ricorrente depositava memoria con la quale deduceva la
circostanza, ma il Collegio si limitava a richiamare l’orientamento secondo cui la
notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, ove eseguito presso il
domicilio reale e a mani della moglie convivente, anziché presso il domicilio
eletto, dà luogo a nullità a regime intermedio soggetta a sanatoria. Anche
aderendo a tale orientamento la nullità di ordine generale e a regime intermedio
sarebbe stata tempestivamente eccepita.
4.3. Violazione degli artt. 178, 429 e 521 cod. proc. pen., vizio di
motivazione. Con il secondo motivo di appello, era stata reiterata la questione di
nullità del decreto di citazione a giudizio per la mancata enunciazione del fatto in
forma chiara e precisa, non potendosi evincere quale specifica condotta sarebbe
stata posta in essere dall’imputato in relazione all’art. 223 I. fall.; la Corte di
appello non ha vagliato la doglianza.
4.4. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.
pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod.
proc. pen., vizio di motivazione, travisamento della prova. I giudici di merito
sono incorsi in travisamento della prova e, segnatamente, della perizia svolta dal
collegio nominato nel corso dell’incidente probatorio dinanzi al G.u.p., perizia che

11

motivazione, travisamento della prova. Il 02/09/2000, Claudio Cordasco

ha evidenziato la congruità del prezzo di trasferimento della quota del 5% di
proprietà di Fin.it.; i giudici di merito hanno “rivalutato” il pretium della cessione
sulla scorta di un dato potenziale, futuro, astratto e incerto, sulla base di
un’operazione illogica in quanto – oltre che formulata in termini astratti e
ipotetici – la determinazione degli utili è stata sovrastimata in assenza di alcuna
intelaiatura e la prospettiva di produzione di utili significativi era ricollegata alla
diminuzione del canone di affitto, ossia ad un atto valutato come illecito.
I giudici di merito si sono inoltre sottratti a qualsiasi verifica in ordine

stato valutato dalla sentenza impugnata. Il Tribunale ha fatto ricorso alla
illegittima presunzione che l’imputato “non poteva non sapere”, in assenza di
qualsiasi elemento che attesti la coscienza e volontà di porre in essere un attro
prodromico alla fuoriuscita di Perla Jonica da Zeutron pregiudizievole per la
massa dei creditori di quest’ultima. La presunta macchinazione distrattiva e la
supposta cognizione di essa da parte dell’imputato sono inverosimili per la
mancanza di interesse di Cordasco alla concreta finalizzazione degli atti di
amministrazione e perché deve escludersi che la famiglia Costanzo desse conto
ai propri dipendenti dei progetti e delle strategie perseguite.
4.5. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 219 I. fall., violazione
degli artt. 178, 429, 521 cod. proc. pen., vizio di motivazione, travisamento della
prova. La Corte di appello ha “liquidato” la doglianza relativa alla circostanza
aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità”, espressone, questa
enunciata dall’art. 219 I. fall., che non può essere assimilata al “grave
pregiudizio per i creditori” di cui al capo di imputazione, che, per la sua
genericità e imprecisione, ha determinato un’incertezza assoluta del fatto
determinante l’aggravante.
4.6. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.
pen., dell’art. 219 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen.,
vizio di motivazione, travisamento della prova. La sentenza impugnata non
indica le ragioni giustificative dell’applicazione, nel caso di specie, della
circostanza aggravante ed è affetta da illogicità laddove ipotizza un nocumento
(non concretamente verificato ed accertato) sulla scorta di introiti futuri (le
prospettive di fatturato), ipotetici e non garantiti, che non consentono di
individuare né l’an, né il quantum del danno patrimoniale rilevante per la massa
dei creditori.
4.7. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62 bis, 114 e 133 cod.
pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod.
proc. pen., vizio di motivazione. La sentenza impugnata difetta di motivazione in
ordine all’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non applicata

12

all’elemento soggettivo del reato, che, pur oggetto di motivo di appello, non è

sulla base del rilievo che la condotta dell’imputato è stata sinergica alla
consumazione del reato e senza tenere del fatto che la quota societaria in capo a
Fin.It aveva carattere marginale; all’entità della pena, definita attraverso il mero
richiamo all’art. 133 cod. pen.; al diniego dell’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche, rispetto alle quali si afferma che non possono essere
riconosciute in ragione della mera incensuratezza in contrasto con le specifiche
deduzioni dell’atto di appello (relative alla mancanza di pendenze giudiziarie, alla
condotta lavorativa e di vita, alla specie e alle modalità dell’azione).

pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192, 538, 539
e 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione. Mancante o meramente apparente è
la motivazione della sentenza di merito in ordine alla condanna dell’imputato al
pagamento a favore della parte civile di una provvisionale di 500.000 euro, di cui
si chiede la sospensione dell’esecuzione.

5. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania hanno
proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di Vincenzo Costanzo, i difensori
avv.ti R. F. Tricoli e F. Ferrara, articolando due motivi di seguito enunciati nei
limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
5.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen., 216, 219
e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., vizio di
motivazione. Il giudici di merito avrebbero dovuto accertare il nesso di
derivazione causale, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, tra la cessione
del ramo di azienda So.co.nnar. e lo stato di insolvenza poi verificatosi della
società e la sussistenza dell’apporto causale, efficiente, cosciente e volontario,
tra la condotta attribuita al ricorrente e l’evento.
5.1.1. Come affermato dalla sentenza n. 2147 del 2012 della Corte di
cassazione, la bancarotta fraudolenta è un reato di evento costituito
dall’insolvenza, mentre la sentenza impugnata ha ignorato l’esame della prova
della causazione dell’evento. In sede dibattimentale era emerso, tra l’altro, che
la cessione aveva riguardato anche i debiti di So.co.mar. e che vi erano state
una considerevole plusvalenza, l’eliminazione di onerosi costi di esercizio, la
cessione di attrezzature obsolete, la valorizzazione delle iscrizioni, la cessione di
lavori improduttivi, la conservazione di attività produttive in Sardegna, la
conservazione di crediti e di un bilancio risanato, un congruo ricavato dalla
cessione, vantaggi economici, questi, dimostrati dalla consulenza tecnica di
parte. La sentenza impugnata, inoltre, non ha valutato i contenuti del Piano
Pasfin, nei cui obiettivi la cessione del ramo di azienda di So.co.mar. si inseriva,
e ha travisato la prova circa l’effettivo ruolo di direzione, gestione e controllo del

13

4.8. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.

Gruppo Costanzo da parte del comitato di controllo dei rappresentanti degli
istituti di credito. La sentenza ha inoltre travisato il contesto probatorio circa la
“pendenza” dell’istruttoria prefallimentare, posto che alla data della cessione 12/01/1996 – non esisteva alcuna istruttoria prefallimentare a carico di
So.co.mar. e il Gruppo Costanzo attraversava una crisi di liquidità, ma era
comunque dotato di considerevoli risorse, non solo patrimoniali. Alla luce delle
dichiarazioni dibattimentali del perito Giuffrida, la Corte territoriale è incorsa in
travisamento della prova laddove ha ritenuto che la perizia disposta dal G.i.p.

omesso di verificare se detta cessione abbia determinato o meno un
ingiustificato distacco di beni o attività integrante un atto distrattivo.
5.1.2. Quanto al contributo concorsuale dell’imputato, che era socio di
minoranza di So.co.mar. in quanto legale rappresentante di Sagama che
deteneva solo il 44% della prima, la sentenza impugnata si è limitata a rilevare
la sua partecipazione all’assemblea dell’11/01/1996, omettendo di valutare gli
aspetti positivi della cessione illustrati dall’a.u. e la presenza del rappresentante
delle banche creditrici, che rendeva palese la favorevole valutazione di queste
rispetto all’operazione. Dalla mera partecipazione all’assemblea non è possibile
desumere alcun profilo di carattere giuridico in ordine alla verifica dell’eventuale
contributo dell’imputato alla condotta distrattiva.
5.2. Violazione dell’art. 219 I. fall. e vizio di motivazione. Con i motivi di
appello si era dedotto che secondo un orientamento della giurisprudenza di
legittimità la circostanza aggravante non è configurabile rispetto alla bancarotta
impropria (il che avrebbe determinato l’estinzione del reato per prescrizione), ma
sul punto la sentenza impugnata ha omesso di motivare.

6. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse di Liliana Carmela Lombardo, il difensore
avv. I. Ferrara, articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 e 110 cod. pen.,
degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 125
cod. proc. pen., vizio di motivazione. La sentenza impugnata è avulsa dalle
argomentazioni sviluppate con l’atto di appello e ha formulato un giudizio solo
apparente e disarticolato dalla valutazione degli elementi di prova e dalle critiche
alla sentenza di primo grado esplicitate nel gravame, né può richiamarsi la
motivazione per relationem ammissibile solo quando il giudice di appello non si
sia limitato ad un mero rinvio.

14

abbia evidenziato l’incongruità del prezzo di vendita del ramo di azienda e ha

6.2. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, 42, 43 e 110 cod.
pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli art. 125, 192 e 546 cod.
proc. pen., vizio di motivazione. Nei motivi di impugnazione si era evidenziato,
sotto l’aspetto soggettivo, che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto
all’imputata una non ingerenza in attività gestoria o dirigenziale del gruppo
evidenziando che essendo ella la moglie di Giuseppe Costanzo (classe 1946)
doveva conoscere il dissolvimento del gruppo: i motivi di gravame avevano
criticato tale contraddittoria, semplicistica e suggestiva impostazione, ma la

testimonianza del perito Romano, che ha chiarito come gli utili di Perla Jonica
siano stati solo ipotizzati, e i rilievi del consulente di parte che ha illustrato come
la differenza tra entrate e uscite in un arco temporale di 68 giorni non potesse
essere considerati utili e che tutti i bilanci della società fossero in perdita. Alla
luce della recente pronuncia n. 2147 del 2012 della Corte di cassazione, la
sentenza impugnata ha ignorato qualsiasi accertamento sul nesso causale tra la
condotta ascritta alla ricorrente e il successivo dissesto che ha condotto alla
dichiarazione dello stato di insolvenza e sul fatto che lo stesso fosse stato
determinato dai vincoli imposti dal Piano Pasfin, attraverso il quale il Gruppo
Costanzo era di fatto gestito dalle banche, le uniche ad averci guadagnato
(testimonianze Manzo e Chiori).
6.3. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 e 110 cod. pen.,
degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 125,
192 e 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione in merito allo specifico motivo di
appello che chiedeva l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Quando,
nel marzo 1996, è stata realizzata l’operazione di cui all’imputazione, la stessa
non poteva essere considerata contrastante con le finalità della procedura di
amministrazione straordinaria. Nel momento in cui l’imputata ha acquistato
quote del capitale de La Perla Jonica non opzionate dal liquidatore di Zeutron,
perché consapevole che la stessa società non aveva le risorse finanziarie né le
capacità tecniche per continuare la gestione imprenditoriale, non poteva
rappresentarsi che tale operazione avrebbe determinato un depauperamento del
patrimonio sociale e quindi un pregiudizio per i creditori. Come si evince dalla
consulenza di parte, La Perla Jonica aveva conseguito dal 1997 al 2002 risultati
di esercizio negativi e il relativo complesso immobiliare richiedeva ingenti opere
di manutenzione ordinaria e straordinaria. La Corte di appello si è fatta fuorviare
dall’errore già commesso dal Tribunale, ossia confondere il valore degli immobili
costituenti il complesso La Perla Jonica con il valore dell’attività di gestione del
centro turistico.

15

censura è stata ignorata dalla Corte di appello. Parimenti ignorata è stata la

6.4. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 e 110 cod. pen.,
degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 125
cod. proc. pen., vizio di motivazione. Nei motivi di appello erano state sollevate
le questioni relative all’erronea applicazione di circostanze aggravanti non
contestate nel capo di imputazione e all’insussistenza della circostanza
aggravante dì cui all’art. 219, primo comma, I. fall., con conseguente estinzione
del reato per prescrizione. Nel capo di imputazione viene indicato solo l’art. 219
I. fall. e il successivo generico riferimento al “grave pregiudizio per i creditori”

gravità”. Inoltre non è motivato il grave pregiudizio per i creditori, mancando
l’accertamento della sua sussistenza.
6.5. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 62 bis, 81 e 110 cod.
pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt.
125, 192 e 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione. La Corte di appello ha
omesso di motivare sulla richiesta, contenuta nell’atto di appello, di declaratoria
di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta contestata
aggravante.
6.6. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 e 110 cod. pen.,
degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 125 e
539 cod. proc. pen., vizio di motivazione. Assente e apodittica è la motivazione
della sentenza impugnata in ordine alle censure proposte nell’atto di appello in
merito alle statuizioni civili.

7. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto
personalmente ricorso per cassazione Antonino Angelo Cavallaro, articolando due
motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.
proc. pen.
7.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova. Le condotte poste in
essere dal ricorrente non integrano una distrazione in quanto l’operazione
imprenditoriale di Europea Costruzioni non era volta a ledere il diritto dei
creditori di So.co.mar., in quanto la prima si impegnava a dare liquidità alla
seconda, accollandosene i debiti. Successivamente si rese necessario un
profondo riesame dei termini del contratto, anche alla luce della clausola
contrattuale che permetteva alle parti di verificare le reale condizioni di ciò che si
acquistava e di chiederne la rettifica, sicché il contenzioso richiamato dalla Corte
di appello scaturiva dalle doglianze della So.co.mar., ma anche di quelle
manifestate dai soci di Europea Costruzioni. Quanto al profilo dell’elemento
soggettivo del reato, il ricorrente non aveva la consapevolezza del danno che gli
atti dispositivi avrebbero potuto arrecare ai creditori, mentre la Corte di appello

16

non coincide né è assimilabile alla previsione del “danno patrimoniale di rilevante

si limita a censurare le condotte dei germani Cavallaro sulla base dell’assioma
non provato secondo cui il collegamento parentale dei soci di Europea
Costruzioni con i soci di So.co.mar. fosse di per sé solo indice di un pactum
sceleris tra le parti.
7.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. La Corte di
appello ha ingiustificatamente omesso di concedere al ricorrente le circostanze
attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, così come per Alfio Cavallaro, la
cui posizione è giustapponibile rispetto a quella dello stesso ricorrente, con

8. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse di Giuseppe Cavallaro, il difensore avv. F.
Ferrara, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
8.1. Violazione della legge processuale con riguardo alla necessaria
corrispondenza tra l’imputazione e la sentenza. Con riferimento alla vicenda
So.co.mar., l’imputazione nei confronti di Giuseppe Cavallaro riguarda la sua
partecipazione, nella qualità di socio di Zeutron, alle trattative per la cessione del
ramo di azienda, mentre la condotta in concreto posta a fondamento della
condanna è quella di avere costituito la Europea Costruzioni. I giudici di merito
hanno sottolineato una “intraneità” del ricorrente rispetto alla famiglia Costanzo,
laddove questi ha svolto la sua difesa sui dati documentali per i quali non ha mai
rivestito la qualifica di socio, né ha rivestito cariche amministrative nell’ambito di
società riferibili al Gruppo Costanzo e, soprattutto, non ha mai rivestito la qualità
di socio di Zeutron.
8.2. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen., 216, 219
e 223 I. fall., 125, 192 e 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione in riferimento
alla vicenda So.co.mar.
8.2.1. La Corte di appello ha operato un sostanziale rinvio alla sentenza di
primo grado, omettendo qualsiasi motivazione sulle specifiche censure mosse in
sede di atto di appello, avuto riguardo, in particolare, alla omessa valutazione
della vicenda relativa alla crisi del Gruppo Costanzo, dell’assenza di qualsiasi
ruolo amministrativo o di controllo del ricorrente nel Gruppo e con l’entrata in
vigore del Piano Pasfin, dei contenuti di detto piano e della riconducibilità della
vicenda So.co.mar. agli obiettivi della relativa convenzione, nonché all’omessa
valutazione e al travisamento della prova relativo alla circostanza che, alla data
della cessione del ramo di azienda, non esisteva alcuna istruttoria
prefallimentare in corso, il gruppo Costanzo era dotato di considerevoli risorse,
all’interno del Gruppo operava lo staff tecnico incaricato dalle banche creditrici,

17

conseguenze anche sull’applicazione della pena accessoria.

non sussisteva alcun timore della imminente (ma del tutto imprevedibile)
procedura concorsuale. La sentenza impugnata omette altresì di valutare la
prova della scientia decotionis argomentata sulla base della sentenza del
Tribunale di Catania che aveva dichiarato l’inefficacia dell’atto di cessione con
riguardo alla specifica posizione del ricorrente, nonché le indicazioni della perizia
disposta dal G.i.p. che non era stata in grado di pronunciarsi sulla congruità della
valutazione del ramo di azienda. La Corte di appello non prospetta alcuna
motivazione in ordine alla specifica censura relativa al dato probatorio certo per

analoghe censure valgono con riguardo al danno ai creditori che sarebbe
derivato dalla cessione del ramo di azienda e alla non congruità del relativo
prezzo.
8.2.2. La sentenza impugnata ha violato la normativa in tema di concorso
del terzo estraneo nel reato di bancarotta fraudolenta, posto che il
coinvolgimento del ricorrente, estrinsecatosi soltanto nell’essere socio di Europea
Costruzioni, non realizza una condotta efficiente per la produzione dell’evento.
Erroneamente è stato ritenuto che la distrazione si sia consumata già all’atto
della cessione, posto che dall’esistenza dalla cessione di un ramo di azienda
consegue la responsabilità solidale tra cedente e cessionario, laddove il
commissario della So.co.mar. chiese e ottenne una proroga dell’incarico
successivamente al gennaio del 1999, consentendo evidentemente l’operazione
di cessione una continuità aziendale grazie ai vantaggi prodotti.
8.3. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81, 110 e 117 cod.
pen., 216, 219 e 223 I. fall., 125, 192, 521 e 546 cod. proc. pen., vizio di
motivazione in riferimento alla vicenda Ediltekna. La sentenza impugnata ha
omesso di motivare circa le censure contenute nell’atto di appello e ha travisato
il contenuto della relazione ex art. 33 I. fall. che segnalava come il ricorrente non
abbia ricoperto cariche ufficiali o incarichi operativi all’interno di Ediltekna, così
come delle controllanti Zeutron e F.11i Costanzo. Limitandosi a richiamare i nomi
di alcuni testi escussi in dibattimento, la sentenza impugnata ha travisato la
perizia, che nulla rilevava circa il coinvolgimento del ricorrente, e ha omesso di
valutare la testimonianza assistita di Carmela Nasello, che ha riferito come il
ruolo del ricorrente derivasse dalla volontà dei soci, nonché le dichiarazioni rese
dal commissario straordinario Santonastaso, che ha indicato nella famiglia
Costanzo i soggetti che prendevano le decisioni, e da vari soggetti interni alla
struttura organizzativa del gruppo (Cusenza, Moscato, Mobilio, Trovato, Marino).
8.4. Mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 219 I. fall. Un
orientamento della giurisprudenza di legittimità esclude la configurabilità

18

il quale il ricorrente non ha mai rivestito alcun ruolo all’interno di So.co.mar.;

dell’aggravante rispetto alla bancarotta impropria, risolvendosi l’opposta
soluzione in un’analogia in malam partem.

9. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse di Paolo Aricò, il difensore avv. V. Mellia,
articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
9.1. Violazione degli artt. 178 e 429 cod. proc. pen., vizio di motivazione,

Corte di appello dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado e
dell’ordinanza del 03/12/2003 relativa al mancato riconoscimento del legittimo
impedimento dell’imputato a comparire all’udienza preliminare, deve ritenersi
idonea a documentare detto impedimento la certificazione sanitaria dalla quale
emerga che lo stesso trovi causa in un motivo di salute, effettivo ed attuale,
quale che sia il grado di pericolo che la malattia in atto comporta. Rilevando che
la certificazione non esprimeva le condizioni di attualità dell’impedimento, la
Corte di appello – con motivazione arbitraria, apparente e, comunque, generica
– ha apprezzato illogicamente il parere medico sul rischio che avrebbe corso
l’imputato presentandosi in udienza.
9.2. Violazione degli artt. 178, 429 e 521 cod. proc. pen., vizio di
motivazione. La Corte di appello non ha accolto l’eccezione di nullità del decreto
che dispone il giudizio, laddove indiscutibile è l’assenza di enunciazione in forma
chiara e concisa dell’imputazione.
9.3. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.
pen., 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod. proc.
pen., vizio di motivazione, travisamento della prova. La sentenza è affetta da
erronea applicazione dell’art. 216 I. fall. e da travisamento della prova: nel 1992
R.T.A. e Perla Jonica stabilirono in 2.500.000.000 di lire l’ammontare del
corrispettivo per l’affitto del complesso turistico-alberghiero; nello stesso anno
Perla Jonica propose la “spalmatura” in sei rate del canone del 1992 e la
rideterminazione dei canoni successivi in lire 500.000.000 (per gli anni 1993,
1996 e 1997) e in lire 840.000.000 (per gli anni 1994 e 1995), proposta che fu
accettata da R.T.A. nel marzo del 1993, sicché l’accordo di rettifica del 1996 non
ha inciso sul quantum del canone. La Corte di appello ha qualificato incongruo il
canone di lire 500.000.000 del complessivo che consentiva un fatturato annuo
superiore a 10.000.000.000, ma la perizia disposta in sede di incidente
probatorio ha attestato che nel 1992 la società aveva registrato una perdita di
circa lire 2.100.000.000. Le ulteriori clausole contenute nell’accordo di rettifica
del 1996 erano del tutto normali nei rapporti tra locatore e locatario (la durata,

19

travisamento della prova. In merito al mancato accoglimento da parte della

la possibilità di proroga, il riconoscimento di una somma a compensazione
dell’avviamento generato). L’errata ricostruzione del fatto si riflette sulle
conclusioni circa la sussistenza della distrazione, individuata in una fonte di
reddito, la configurabilità del nesso eziologico tra la condotta distrattiva e il
dissesto di Zeutron e l’elemento soggettivo del delitto ascritto, sul quale la Corte
di appello non ha motivato in ordine allo specifico motivo di gravame.
9.4. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.
pen., 219 I. fall., violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., vizio di

ragioni della sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di
rilevante gravità, attribuendo illogicamente rilevanza a introiti futuri, ipotetici e
non garantiti.
9.5. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62 bis, 114 e 133 cod.
pen., violazione degli artt. 125, 192 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione.
La sentenza impugnata è viziata in ordine all’esclusione della circostanza
attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., all’entità della pena e al diniego
dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
9.6. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40, 41, 43 e 110 cod.
pen., degli artt. 216, 219 e 223 I. fall., violazione degli artt. 125, 192, 538, 539
e 546 cod. proc. pen., vizio di motivazione. Mancante o meramente apparente è
la motivazione della sentenza di merito in ordine alla condanna dell’imputato al
pagamento a favore della parte civile di una provvisionale di 500.000 euro, di cui
si chiede la sospensione dell’esecuzione.

10. In data 30/10/2014 il difensore di Paolo Aricò ha comunicato il decesso
del proprio assistito, allegando il relativo estratto per riassunto dell’atto di morte.

11.

In data 03/11/2014, la difesa della parte civile Amministrazione

Straordinaria F.LLi Costanzo s.p.a. ha depositato una memoria, con la quale,
soffermandosi in particolare sulla vicenda Ediltekna, ha chiesto il rigetto dei
ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ha acquisito l’estratto per riassunto dell’atto di morte di Paolo
Aricò, nei cui confronti, pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza
rinvio per essere il reato estinto per morte dell’imputato; secondo la
giurisprudenza di legittimità, la morte dell’imputato, intervenuta prima
dell’irrevocabilità della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto

20

motivazione, travisamento della prova. La sentenza impugnata non indica le

processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel
processo penale, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civilistiche
restano caducate ex lege senza la necessità di una apposita dichiarazione da
parte del giudice penale (Sez. 3, n. 5870 del 02/12/2011 – dep. 15/02/2012, F.,
Rv. 251981).

2. Le doglianze articolate attraverso alcuni motivi investono la sentenza
impugnata denunciandone, in termini generali, ossia svincolati dal riferimento ai

appello. Osserva al riguardo il Collegio che «quando le sentenze di primo e
secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive, conformi, decisioni, la motivazione della
sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico corpo
argomentativo, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di
primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello, a condizione che
nella sentenza d’appello sia riscontrabile “un nucleo essenziale di
argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo
avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie le
considerazioni svolte dal primo giudice”. Con la conseguenza che l’appellante può
dolersi del fatto che il giudice del gravame abbia respinto le sue doglianze senza
farsi carico di argomentare dettagliatamente sui motivi di impugnazione solo
laddove risulti che non s’era limitato a riproporre prospettazioni già
adeguatamente esaminate e risolte dal primo giudice e non aveva sollevato
questioni inammissibili» (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006 – dep. 07/11/2006,
Bevilacqua e altri). In questa prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte ha
affermato che è legittima la motivazione “per relationem” della sentenza di
secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata,
limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso
probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di
esaminare quelle doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta
esaustiva nella sentenza del primo giudice (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 dep. 13/05/2014, Bruno e altri, Rv. 259929); per altro verso, è consolidato
l’indirizzo in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce
causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo
di appello che risulti manifestamente infondato (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012
– dep. 20/06/2013, Tannoia e altro, Rv. 256314). Sussiste, invece, il vizio di
mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.,
quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di
responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche

21

singoli capi e punti della pronuncia di appello, l’omessa risposta ai motivi di

doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività
(Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 22/01/2014, Dall’Agnola, Rv. 257967).
Alla luce di questi princìpi, le doglianze formulate in termini generali dal
primo motivo del ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo e di Giuseppe
Costanzo e dal primo motivo del ricorso nell’interesse di Liliana Carmela
Lombardo non sono fondate.

3. Molteplici censure investono l’entità della provvisionale liquidata dai

quale non è deducibile con il ricorso per cassazione la questione relativa alla
pretesa eccessività della somma di denaro liquidata a titolo di provvisionale (Sez.
4, n. 34791 del 23/06/2010 – dep. 27/09/2010, Mazzamurro, Rv. 248348),
sicché, fermo restando che l’annullamento dei capi della sentenza concernenti le
singole imputazioni comporta, in via conseguenziale, l’annullamento anche delle
statuizioni relative alla provvisionale, nel resto i motivi articolati al riguardo dai
ricorrenti non sono ammissibili.

4. Le doglianze relative al capo A) del procedimento n. 2137/98 (Vicenda
So.co.nnar.), ascritto a Pasquale Costanzo, a Vincenzo Costanzo, a Antonino
Angelo Cavallaro e a Giuseppe Cavallaro, non meritano accoglimento (secondo e
terzo motivo del ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo; primo motivo del
ricorso nell’interesse di Vincenzo Costanzo; primo motivo del ricorso
nell’interesse di Antonino Angelo Cavallaro; primo e secondo motivo del ricorso
nell’interesse di Giuseppe Cavallaro).
La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado valorizzando
una molteplicità di dati probatori convergenti nel senso della sussistenza della
contestata bancarotta per distrazione: la genesi della contraente Europea
Costruzioni s.p.a.; la deliberazione in data 11/01/1996 quando la società non era
stata ancora omologata; la stipula dell’atto di cessione il 12/01/1996; l’atto
stragiudiziale di rettifica in data 13/11/1996 attraverso il quale So.co.mar.
esplicitava la necessità di una rettifica in aumento delle poste dell’attivo ceduto;
la tempistica dell’operazione nel corso dell’istruttoria prefallimentare, essendo
intervenuta la sentenza dichiarativa dell’insolvenza il 21/11/1996;
l’inattendibilità delle scritture contabili; la revocatoria disposta dal giudice civile;
rintraneità” dei fratelli Cavallaro rispetto al Gruppo Costanzo e il rapporto di
parentela che li legava alla famiglia Costanzo.
4.1. A proposito dell’elemento oggettivo della fattispecie, mette conto
osservare che i vari motivi, talora esplicitamente o in termini non specificamente
riferiti ad una singola imputazione (secondo motivo del ricorso nell’interesse di

22

giudici di merito. Al riguardo, il Collegio ribadisce l’orientamento in forza del

Pasquale Costanzo e di Giuseppe Costanzo, fanno riferimento (anche nella
prospettiva di denunciare l’omessa motivazione sul punto da parte della Corte di
appello) all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale nel
reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che da
luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento
dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente
e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo (Sez. 5, n.
47502 del 24/09/2012 – dep. 06/12/2012, Corvetta e altri, Rv. 253493). Al

isolata nel panorama giurisprudenziale, che, successivamente ad essa, ha visto
reiteratamente ribadire il tradizionale indirizzo secondo cui, per un verso, ai fini
della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è
necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo
fallimento (ex plurimis, Sez. 5, n. 27993 del 12/02/2013 – dep. 26/06/2013, Di
Grandi e altri, Rv. 255567). In questa prospettiva, la giurisprudenza di questa
Corte ha sottolineato che la tesi «secondo cui ad integrare il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale si richiede il nesso eziologico fra la condotta distrattiva
e il pregiudizio per i creditori, ha un significato apprezzabile dal punto di vista
giuridico soltanto se il menzionato pregiudizio si intenda correlato allo stato di
dissesto: giacché, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, ogni atto
di distrazione assume rilevanza penale in quanto, avendo arrecato la
corrispondente diminuzione del patrimonio destinato alla garanzia dei creditori, si
è tradotto ipso facto in un immediato pregiudizio per le ragioni di costoro»;
tuttavia, «anche se riguardata come volta a configurare l’indefettibilità di un
nesso causale fra distrazione e dissesto, la tesi è destituita di fondamento. Essa,
invero, si pone in contrasto con un principio giurisprudenziale di granitica
solidità, perché enunciato da una serie ininterrotta di pronunce, a tenore del
quale la dichiarazione di fallimento non costituisce l’evento del reato di
bancarotta, con la conseguenza che è del tutto irrilevante il nesso eziologico tra
la condotta realizzatasi con l’attuazione di un atto dispositivo – che incide sulla
consistenza patrimoniale di un’impresa commerciale – ed il fallimento» (Sez. 5,
n. 7545 del 25/10/2012 – dep. 15/02/2013, Lanciotti, Rv. 254634). Alla luce del
consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non scalfito
dall’isolato precedente richiamato, sono manifestamente infondate le censure
articolate dai ricorrenti sulla base di esso, mentre il mancato esame in ordine al
citato orientamento da parte della Corte di appello non costituisce causa di
annullamento della sentenza impugnata (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012 – dep.
20/06/2013, Tannoia e altro, Rv. 256314).

23

riguardo occorre dire che la pronuncia appena richiamata si presenta del tutto

4.2. In questo quadro, il richiamo all’incongruenza del prezzo della cessione
è argomentato dalla Corte di merito sulla base della perizia disposta dal G.i.p. in
sede di incidente probatorio e del contenuto dell’atto stragiudiziale del
13/11/1996. In particolare, le risultanze offerte dalla perizia disposta dal G.i.p.
fanno leva sulle anomalie e sulle incongruenze dell’operazione e
sull’inattendibilità delle scritture contabili di So.co.mar. tali da inficiare la
veridicità delle valorizzazioni poste a base della cessione e della mancata
valorizzazione dell’avviamento. Al riguardo, le doglianze di cui al terzo motivo del

differenza (di circa 104 mld. di lire) nella stima delle rimanenze dei lavori tra i
dati di bilancio al 31/12/1994 e l’apertura dei conti al 01/01/1995 al diverso
criterio di esposizione delle rimanenze utilizzato, ripropongono una tema già
compiutamente vagliato dal primo giudice (pag. 25 della sentenza di primo
grado), che aveva rilevato l’inidoneità del rilievo difensivo ad inficiare la valenza
probatoria offerta dall’atto stragiudiziale di rettifica, ossia dall’atto che, come
rimarcato dalla Corte di appello, ha esplicitato la necessità di rettifica in aumento
delle poste dell’attivo ceduto. Per il tramite dell’atto, i cui contenuti essenziale
sono riportati dal primo giudice, So.co.mar. (appena dieci mesi dopo la
stipulazione del negozio di cessione) dichiarava a Europea Costruzioni «la
necessità giuridica ed economica (…) di rettificare in aumento … le relative poste
dell’attivo ceduto alla Europea Costruzione» mediante opportune rettifiche
contabili atte a «incrementare il valore dell’avviamento aziendale alla luce della
considerazione, in luogo della redditività complessiva aziendale dell’ultimo
quinquennio, del dato ben più congruo e relativo al solo ramo aziendale ceduto …
ad incrementare il valore delle partecipazioni in funzione dei profitti attesi dagli
appalti alle stesse commessi, posto che i profitti attesi in L. 613.697.314 non
riguardano i lavori di cui all’allegato D, per cui palesemente erronea e riduttiva si
dimostra la valutazione al costo delle partecipazioni … ». Anche l’ulteriore
censura incentrata sulla considerazione che la rettifica è stata promossa quando
già gli organi della procedura di amministrazione straordinaria si erano insediati
presso gli uffici del Gruppo Costanzo, assumendo, di fatto, il governo della
società (sicché l’affermazione della incongruenza del prezzo viene dalla parte che
ha dato origine al procedimento penale e che, per le sue funzioni, doveva avviare
tutte le iniziative proprie delle procedur concorsuali) era già stata
esaurientemente esaminata e motivatamente disattesa dal giudice di primo
grado, che ha rilevato come detta notazione non tocchi in alcun modo “il merito”
delle contestazioni, potendo, semmai, valere a rafforzarne il significato,
dovendosi evidenziare, sotto tale profilo, che è stato necessario aspettare
l’entrata in azione degli organi della procedura per adottare le necessarie

24

ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo, nella parte in cui riconducono la

iniziative di rettifica di un operato – quello originario di So.co.mar e degli altri
soggetti coinvolti – palesemente erroneo e pregiudizievole e che,
verosimilmente, non avrebbe trovato altrimenti autonoma correzione. Nell’una e
nell’altra direzione, dunque, le censure di cui al terzo motivo del ricorso
nell’interesse di Pasquale Costanzo riflettono doglianze dell’atto di appello, che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice (Sez. 2,
n. 19619 del 13/02/2014 – dep. 13/05/2014, Bruno e altri, Rv. 259929), il che
esclude la riconoscibilità del vizio denunciato.

esclude l’accoglibilità delle censure (articolate, in particolare, dal ricorso
nell’interesse di Pasquale Cistanzo, dal ricorso nell’interesse di Vincenzo
Costanzo, da quello di Antonino Angelo Cavallaro e da quello di Giuseppe
Cavallaro con riferimento alla “continuazione” dell’attività di So.co.mar.
attraverso il relativo commissario in virtù dei vantaggi economici scaturiti
dall’operazione) incentrate sui prospettati vantaggi economici (in punto, ad
esempio, accollo di debiti) prodotti dall’operazione a vantaggio della cedente,
vantaggi economici la cui prospettazione non risulta idonea ad inficiare la tenuta
argomentativa della ritenuta incongruenza del prezzo della cessione.
Sempre con riguardo alle censure relative alla congruità del prezzo di
cessione del ramo di azienda, deve rilevarsi che la doglianza di omessa
valutazione del denunciato travisamento della prova circa la mancata risposta
della perizia disposta dal G.i.p. in ordine alla congruità del prezzo proposta dal
primo motivo del ricorso nell’interesse di Vincenzo Costanzo è inammissibile per
difetto di specificità: infatti, lungi dall’offrire un quadro esaustivo della
testimonianza dibattimentale del perito Giuffrida citata a sostegno della censura
e svolgere, in riferimento a tale analitico e completo quadro di riferimento, le
critiche alla decisione, il ricorso si limita a segnalare, in modo del tutto
frammentario, alcuni profili di tale testimonianza, così rimettendo, in buona
sostanza, al giudice di legittimità una inammissibile rivalutazione generale e
complessiva del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito: il ricorso si
è quindi sottratto all’onere di completa e specifica individuazione degli atti
processuali che intende far valere, non essendo sufficiente «la citazione di alcuni
brani» dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S.,
Rv. 252349) per l’apprezzamento del vizio dedotto (e, in particolare, per la
valutazione della non manifesta infondatezza del vizio denunciato al giudice di
appello, in presenza della quale il mancato esame non potrebbe comunque
comportare l’annullamento della sentenza di secondo grado). Esigenza, questa di
una completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere, tanto
più stringente, nel caso di specie, in considerazione delle conclusioni della perizia

25

La valenza probatoria riconosciuta dell’atto stragiudiziale del 13/11/1996

stessa riportate dalla sentenza di primo grado, laddove si evidenzia che «le
somme incassate dai committenti in conti anticipi, per un ammontare
complessivo di L. 104.355.678.758, non sono transitate nelle scritture contabili,
né come incremento delle disponibilità liquide, né come incremento dei crediti
verso clienti»; sulla base di tale indicazione, la sentenza di primo grado ha
precisato che dette risultanze «intaccano irrimediabilmente l’attendibilità dei
valori esposti nell’atto di cessione del ramo di azienda, impedendo la
determinazione del valore di avviamento da attribuire al comparto aziendale

questo punto, l’atto stragiudiziale di rettifica in data 13/11/1996 come elemento
probatorio idoneo a comprovare la non congruità del prezzo di cessione del ramo
di azienda. La stessa sentenza di primo grado, dunque, non aveva mancato di
rimarcare l’impossibilità di determinare il «valore di avviamento da attribuire al
comparto aziendale ceduto» e, quindi, «i dati dell’intera operazione», il che
rende palese, per un verso, la consapevolezza dell’incertezza dei «dati dell’intera
operazione» in linea con la denunciata “incertezza” della perizia e, per altro
verso, la rimarcata decisività della rilevanza probatoria attribuita all’atto
stragiudiziale di rettifica in data 13/11/1996: sotto questo profilo, pertanto, vale
per la censura in esame quanto già rilevato in precedenza, ossia la sostanziale
riconoscibilità, già nella sentenza di primo grado, di una risposta esaustiva alla
doglianza proposta con l’atto di appello.
Devono essere parimenti rigettate le doglianze, comuni a vari ricorsi,
incentrate sulla prospettata riconducibilità della cessione del ramo di azienda al
c.d. Piano Pasfin e sul ruolo rivestito dai rappresentanti del pool di banche
creditrici in seno alle società del Gruppo Costanzo. Sul punto, la Corte dì appello,
in sintesi, muovendo dalla considerazione che il Piano Pasfin era finalizzato ad
affrontare la crisi finanziaria del Gruppo Costanzo attraverso il
ridimensionamento strutturale e la riduzione delle società operative, ha rilevato
l’estraneità a tale prospettiva di un’operazione distrattiva concretizzatasi nella
rapida costituzione di Europa Costruzione s.p.a. destinata a fornire «una comoda
ricettività di attività del Gruppo», sottraendole ai creditori e senza effetti di
recupero economico. Nei termini indicati, la sentenza impugnata è esente dal
vizio di omessa motivazione, avendo argomentato circa le ragioni del mancato
accoglimento delle censure difensive. Tale motivazione, inoltre, non si espone
alle ulteriori censure dei ricorrenti, posto che il riconoscimento della natura
distrattiva della cessione del ramo di azienda neutralizza, sul piano della
ricostruzione dell’elemento oggettivo della fattispecie, qualsiasi valutazione circa
la pertinenza dell’operazione rispetto al piano concordato con le banche
creditrici. Né in senso contrario, può argomentarsi sulla base del ruolo dei

26

ceduto e, in definitiva, inficiano i dati dell’intera operazione», richiamando, a

rappresentanti del pool delle banche creditrici o dell’argomento (valorizzato in
particolare dal ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo) secondo cui un atto
pregiudizievole per i creditori non avrebbe trovato il consenso delle medesime
banche: la sentenza impugnata, infatti, richiamando specifiche risultanze
dibattimentali (dichiarazioni del teste Moscato), ha escluso che il ruolo dello staff
incaricato dalle banche creditrici avesse connotazioni operative o comunque
decisionali, rilievo, questo, non oggetto di puntuali deduzioni critiche. A diversa
conclusione non può giungersi sulla base del riferimento del ricorso nell’interesse

caso di cessione del ramo di azienda: la doglianza – oltre che non proposta con i
motivi di appello – è del tutto generica, prescindendo dalla compiuta
ricostruzione (e dai connessi oneri di allegazione) dei contenuti del regolamento
negoziale (che avrebbe potuto prevedere la liberazione dell’alienante dai debiti).
Il quadro probatorio complessivamente delineato dai giudici di merito, avuto
riguardo anche agli elementi ritenuti significativi ai fini della prova del carattere
distrattivo della cessione del ramo di azienda (tra i quali, la deliberazione
dell’operazione da parte di Europea Costruzioni s.p.a. e la stessa stipula del
negozio quando la società cessionaria non era stata ancora omologata) non presi
in considerazione dai ricorrenti, rende del tutto inidoneo il denunciato
travisamento della prova in ordine al perfezionamento della cessione quando
l’istruttoria prefallimentare era in corso a disarticolare l’intero ragionamento
svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così
da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc.
Longo, Rv. 251516)
4.3. Anche le doglianze attinenti alla posizioni dei singoli imputati non
possono essere accolte.
Le censure articolate dai ricorsi nell’interesse di Pasquale Costanzo e di
Vincenzo Costanzo in ordine alla specifica posizione di ciascuno sono
manifestamente infondate, posto che la Corte di appello ha delineato la posizione
dei ricorrenti evidenziandone la qualità rivestita – rispettivamente, presidente del
c.d.a di Zeutron s.p.a. e amministratore unico di Sagama s.r.I.. partecipanti al
capitale sociale di So.co.nnar. – e la effettiva partecipazione, in tali qualità, alla
formazione della volontà assembleare in cui venne determinata la cessione da
parte di So.co.mar. del ramo di azienda. Del tutto inidonee ad inficiare le
conclusioni dei giudici di merito sono le censure difensive circa la modesta entità
della partecipazione di Zeutron e di Sagama al capitale di So.co.mar., censure,
queste, che non scalfiscono la rilevanza del contributo concorsuale di ciascun
imputato e ciò anche a prescindere da qualsiasi rilievo – pure sviluppato dalla

27

di Giuseppe Cavallaro alla responsabilità solidale tra cedente e cessionario in

Corte di merito – sul contesto fattuale in cui si è svolta l’operazione e sui legami
tra i vari concorrenti. Le ulteriori deduzioni articolate dal ricorso nell’interesse di
Pasquale Costanzo sono del tutto generiche (la descrizione come “uomo di
cantiere”), ovvero ripropongono questioni già esaminate e disattese (il dedotto
“esautoramento” da parte delle banche, la conformità della cessione alle logiche
del piano di salvataggio del gruppo, nel ricorso nell’interesse di Pasquale
Costanzo; gli aspetti positivi della cessione, la favorevole valutazione delle
banche, nel ricorso nell’interesse di Vincenzo Costanzo).

propria posizione di concorrente e con riguardo alla sussistenza dell’elemento
psicologico del reato sono manifestamente infondate. La Corte di appello ha sì
fatto riferimento al «circuito familiare di appartenenza», riferimento più
analiticamente descritto dalla sentenza di primo grado, che, per un verso, ha
spiegato come i tre fratelli Cavallaro (Antonino Angelo, Giuseppe e Alfio, nei cui
confronti è stata dichiarata l’estinzione del reato per morte dell’imputato) fossero
figli di Carmela Costanzo, sorella dei fondatori del gruppo Carmelo e Pasquale e,
per altro verso, ha sintetizzato l’esito dell’operazione, concretizzatasi
nell’«attribuzione esclusiva al ramo familiare Cavallaro di un intero comparto
aziendale scorporato dal gruppo Costanzo, ormai conclatamente in crisi»: lungi,
tuttavia, dal limitarsi a tale riferimento, i giudici di merito – delineato, nei termini
già esaminati, il profilo oggettivo della fattispecie – hanno ricostruito il contributo
partecipativo del ricorrente, mettendo in luce (nel contesto della costituzione di
Europea Costruzioni s.p.a. e del perfezionamento del negozio di cessione
secondo le modalità e la tempistica sopra descritta) la sua qualità di azionista
della – appena costituita – società cessionaria e di amministratore unico della
medesima società, come si rileva, oltre che dal capo di imputazione, dalla
sentenza di primo grado, che evidenzia anche l’attività tecnica svolta
dall’imputato all’interno del Gruppo fin dal 1975, come da sua stessa
ammissione, circostanze, queste, riassunte dalla Corte di merito nel riferimento
alla “intraneità” al Gruppo Costanzo. Gli elementi valorizzati a sostegno della
ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato e quelli più da vicino
afferenti al ruolo concorsuale dell’imputato rendono ragione della manifesta
infondatezza della – peraltro, del tutto generica – doglianza attinente
all’elemento psicologico, tanto più che il delitto di bancarotta fraudolenta per
distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto,
non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez.
5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto e altri, Rv. 253932).

28

Le doglianze proposte dal ricorso di Antonino Angelo Cavallaro in ordine alla

Anche il primo motivo del ricorso nell’interesse di Giuseppe Cavallaro e le
doglianze articolate nel secondo in merito al contributo concorsuale contestatogli
non sono fondate. Il capo di imputazione riportato nella sentenza di primo grado
attribuisce a Giuseppe Cavallaro – così come ad Antonino Angelo e ad Alfio
Cavallaro – la condotta concorsuale consistita nell’aver costituito Europea
Costruzioni s.p.a., nei tempi e con le modalità evidenziati, in modo da rendere
possibile alla società di nuova costituzione l’acquisto del ramo di azienda di
So.co.mar.; a Giuseppe Cavallaro, inoltre, si attribuisce la partecipazione di fatto

socio della Zeutron». Ora mentre il riferimento alla partecipazione alle trattativa
si ricollega, come si evince dalla sentenza di primo grado, all’espressa
ammissione da parte dell’imputato di aver preso personalmente contatto con
l’amministratore di So.co.mar. e con il liquidatore di Fimaz per rappresentare
l’interesse dei fratelli Cavallaro all’acquisto dell’azienda e per avviare le
successive trattative, la Corte di appello ha espunto dal proprio argomentare
qualsiasi riferimento alla qualità dell’imputato di socio di Zeutron, indicandolo
correttamente come azionista di Europea Costruzioni, in linea con l’imputazione e
in termini pienamente idonei a dar conto del contributo concorsuale realizzato e
del relativo elemento psicologico. A fronte, dunque, della corretta indicazione di
quest’ultima qualità nel capo di imputazione e nella sentenza impugnata e della
riferibilità dell’ulteriore circostanza riportata nell’imputazione (la partecipazione
alle trattative) deve escludersi che il riferimento alla qualità di socio di Zeutron,
espunto dalla ricostruzione della Corte di appello, integri il vizio denunciato. La
definizione nei termini appena indicati del ruolo di Giuseppe Cavallaro quale
azionista della società cessionaria del ramo di azienda rende manifestamente
infondate le ulteriori doglianze che fanno leva sull’assenza, in capo all’imputato,
di ruoli rivestiti nel Gruppo Costanzo (laddove il richiamo al «circuito familiare di
appartenenza» contenuto nella sentenza di appello si ricollega a quanto si è
detto a proposito del fratello) e sulla non specifica riferibilità alla sua persona
delle deduzioni del giudice civile circa l’azione revocatoria.

5. I motivi concernenti il capo B) del procedimento n. 2137/98 (Vicenda La
Perla Jonica), ascritto a Pasquale Costanzo, a Giuseppe Costanzo (classe 1946),
a Liliana Carmela Lombardo e a Claudio Cordasco (quarto motivo del ricorso
nell’interesse di Pasquale e Giuseppe Costanzo; secondo e terzo motivo del
ricorso nell’interesse di Liliana Carmela Lombardo Lombardo; ricorso
nell’interesse di Claudio Cordasco) sono in parte da rigettare, in parte da
accogliere.

29

alle trattative per addivenire alla cessione del ramo di azienda «in qualità di

5.1. Muovendo dai profili oggettivi del reato e procedendo all’esame delle
varie doglianze in ordine di priorità logico-giuridica e seguendo le scansioni della
vicenda così come ricostruite dai giudici di merito, occorre muovere dalla censura
– proposta dal terzo motivo del ricorso nell’interesse di Claudio Cordasco
(censura rilevante per le posizioni di tutti i coimputati e, quindi, da valutare
anche se, come si vedrà, con riferimento a detto ricorrente la sentenza
impugnata deve essere annullata) – di indeterminatezza dell’imputazione e di
omesso esame da parte della Corte di appello del relativo motivo di gravame. La

ascritta all’imputato in relazione all’art. 223 I. fall., è manifestamente infondata,
in quanto, premesso che, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere
riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge
violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata
individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità,
salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa
(Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 – dep. 04/02/2014, Russo, Rv. 258920), nel
caso di specie l’imputazione non solo faceva riferimento al delitto di cui agli artt.
216 e 223 I. fall, ma indicava in termini inequivoci il fatto di bancarotta consistito
nella distrazione dal patrimonio di Zeutron s.p.a. (dichiarata in stato di
insolvenza il 09/07/1996) e dal patrimonio di Fin.It (controllata da Zeutron
s.p.a.) delle rispettive quote di partecipazione in La Perla Ionica s.r.I.: pertanto,
deve, a tutta evidenza, escludersi che la denunciata nullità, contenendo
l’imputazione i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da
consentire all’imputato di difendersi (Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013 – dep.
10/02/2014, Morante, Rv. 258948). Né la doglianza può essere accolta sotto il
profilo del denunciato omesso esame da parte del giudice di appello, posto che,
in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della
sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti
manifestamente infondato (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012 – dep. 20/06/2013,
Tannoia e altro, Rv. 256314).
Infondata, sotto il profilo oggettivo, è la doglianza – articolata nel quarto
motivo del ricorso nell’interesse di Claudio Cordasco – incentrata sulla congruità,
rilevata dalla perizia disposta dal G.i.p., del prezzo stabilito per la cessione del
5% delle quote di partecipazione al capitale sociale di La Perla ionica di proprietà
di Fin.It. a Liliana Carmela Lombardo (950 quote) e a Caterina Maugeri (50
quote). Al riguardo la Corte di appello ha rilevato che la cessione, in data
18/03/1996, delle quote di Fin. It. «preludeva all’assemblea straordinaria (del
20/03/1996) in cui si deliberarono (…) il ripianamento delle perdite mediante
l’azzeramento delle riserve, l’abbattimento del capitale sociale e la sua

30

doglianza, che fa leva sulla dedotta mancata specificazione della condotta

ricostruzione, sottoscritto dalla Lombardo in proporzione delle quota detenuta ed
elevata al 95%»: il capitale sociale è stato così «surrettiziamente traslato in
favore della Lombardo mediante la sua sottoscrizione di quote della Perla Jonica,
implementata dalla rinuncia all’acquisto da parte di Costanzo Giuseppe». Nella
ricostruzione della Corte di merito, dunque, il primo passaggio di quote da Fin.
It. principalmente a Liliana Carmela Lombardo è strumentale al successivo
passaggio, teso all’acquisizione del capitale di La Perla Jonica a seguito della
rinuncia da parte di Giuseppe Costanzo (liquidatore di Zeutron s.p.a., che

quote, il che consentì che le stesse venissero sottoscritte, in larga misura, dalla
moglie Liliana Carmela Lombardo, con conseguente – per riprendere ancora le
parole della sentenza impugnata – «svuotamento patrimoniale della Zeutron»: il
carattere di strumentalità tra la cessione di quote da parte di Fin. It. e la
successiva acquisizione, a seguito della rinuncia operata da Giuseppe Costanzo,
delle quote di Zeutron, ossia il rappresentare la prima il mero “preludio” della
seconda, è puntualmente descritto nell’imputazione (dove si specifica che la
cessione operata da Cordasco ha consentito alle nuove socie subentranti di
compiere l’operazione descritta) e rende ragione dell’inconferenza, sul piano
oggettivo, dalla congruità del prezzo corrisposto per tale cessione (così valutato
dai periti per la scarsa significatività della quota dal punto di vista del controllo
assembleare) rispetto al perfezionamento della fattispecie distrattiva: in altri
termini, nel percorso argomentativo della Corte di merito, la congruità del prezzo
di cessione del primo pacchetto di quote non priva l’operazione complessiva incentrata sulla dismissione dell’intero capitale di La Perla Jonica a seguito della
rinuncia all’opzione del liquidatore di Zeutron – della sua natura distrattiva. La
considerazione della complessiva valenza distrattiva dell’operazione rende
ragione della non accoglibilità delle censure incentrate sulla rinuncia al diritto di
opzione per la sottoscrizione del ricostituito capitale della Perla Jonica s.r.l. da
parte degli organi rappresentativi e di amministrazione di Zeutron (valorizzata
dai ricorrenti anche nella prospettiva dell’esito della revocatoria), rinuncia che,
nel percorso tracciato dalla sentenza impugnata, deve essere collocata nel più
ampio quadro delineato dalla serrata successione delle varie tappe della vicenda.
Vicenda, questa, di cui anche la sentenza di primo grado aveva valorizzato
tempistica e soggetti. Dopo la dichiarazione di insolvenza della F.11i Costanzo
s.p.a. (intervenuta con sentenza del 02/03/2006) e la messa in liquidazione della
holding del gruppo Zeutron s.p.a. il 15/03/1996 (seguita dalla dichiarazione di

insolvenza della stessa il 09/07/1996), nell’arco di tre giorni (18 – 20/03/1996)
gli imputati hanno posto in essere una tempestiva operazione di “salvataggio”
della Perla Jonica, svoltasi in due fasi strettamente connesse e in rapida

31

deteneva il 95% del capitale) al diritto di opzione per l’acquisto delle nuove

successione temporale, in modo da rendere possibile la sottoscrizione dell’intero
capitale sociale da parte dei nuovi soci, Liliana Carmela Lombardo e Caterina
Maugeri, rispettivamente moglie e amica di famiglia di Giuseppe Costanzo
(classe 1946), come dallo stesso espressamente ammesso, e da eliminare la
partecipazione di Zeutron, che, versando in stato di decozione, avrebbe
inevitabilmente attratto nella procedura concorsuale anche La Perla Jonica; con
tale espediente, tale società usciva dal Gruppo Costanzo per rimanere sotto il
controllo esclusivo della famiglia Costanzo che, con l’esborso di poco più di venti

1995, aveva superato i dieci miliardi di lire, ciò con grave pregiudizio dei creditori
di Zeutron s.p.a. ai quali veniva sottratta una importante e cospicua fonte di
reddito.
Al riguardo, rileva altresì il Collegio che la surrettizia traslazione «in favore
della Lombardo mediante la sua sottoscrizione di quote della Perla Jonica,
implementata dalla rinuncia all’acquisto da parte di Costanzo Giuseppe» e il
conseguente «svuotamento patrimoniale della Zeutron» evidenziati dalla Corte di
appello rendono congruamente ragione del contributo concorsuale dell’imputata
e della consapevolezza in capo alla stessa dei connotati della vicenda, sicché non
meritano accoglimento le doglianze articolate al riguardo dalla ricorrente nel
secondo e nel terzo motivo.
Tornando ai profili oggettivi del reato, molteplici doglianze – articolate anche
sotto il profilo dell’omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine a
censure articolate con i motivi di appello – chiamano in causa la stima del valore
di La Perla Joníca e la dedotta mancanza di interesse, in capo alle società del
Gruppo Costanzo, a conservare la titolarità della società: si sono così censurate
l’erronea prospettiva della perizia che non ha considerato le conseguenze della
permanenza della società nel gruppo Costanzo e i lavori per oltre 9 mld. dì lire
cui si era impegnata La Perla Jonica (ricorso nell’interesse di Pasquale e
Giuseppe Costanzo); il carattere solo ipotetico degli utili di Perla Jonica così
come ricostruiti dalla perizia e la mancata considerazione dei rilievi della
consulenza di parte circa il breve arco temporale considerato e le perdite di
bilancio della società, nonché la carenza, in capo a Zeutron, di risorse finanziarie
e di capacità tecniche per continuare la gestione imprenditoriale (ricorso
nell’interesse di Liliana Carmela Lombardo). Le questioni poste dalle doglianze
sinteticamente richiamate erano già state compiutamente esaminate dalla
sentenza di primo grado, che ha rilevato come la perizia, abbia evidenziato come
all’atto della dismíssione operata con la rinuncia al diritto di opzione fosse del
tutto palese che la gestione del complesso turistico-alberghiero della Perla Jonica
era destinata a produrre consistenti utili di esercizio, utili ipotizzati in I. 400

32

milioni di lire, acquisiva il controllo di una società il cui fatturato complessivo, nel

milioni sulla base del calcolo dell’utile netto medio, al netto dei costi di gestione e
previo abbattimento del 40% per gli oneri fiscali. La sentenza di primo grado ha
inoltre rilevato che: l’abbandono del diritto di opzione avvenne senza alcun
corrispettivo o contropartita patrimoniale o finanziaria, con una semplice
dichiarazione abdicativa che consentì a soggetti estranei al gruppo (ma “intranei”
alla famiglia) di acquisire per intero La Perla Jonica mediante l’esborso di appena
I. 19 milioni per la sottoscrizione del residuo 90% del capitale al mero valore
nominale; è implausibile che un gruppo economico dalle dimensioni del gruppo

Perla 3onica; anche qualora Zeutron avesse ritenuto di non poter più gestire il
complesso alberghiero della Perla Jonica, avrebbe dovuto curarne la collocazione
sul mercato per un adeguato corrispettivo, mai comunque abbandonarlo a titolo
sostanzialmente gratuito (argomento, questo, che neutralizza i rilievi difensivi
circa la “convenienza” o “indispensabilità” della fuoriuscita della società dal
Gruppo Costanzo); il complesso alberghiero della Perla Jonica costituiva un asset
di primaria importanza stimato, in sede di amministrazione straordinaria, in 78
nnld. di lire, sicché non può essere in assoluto economicamente ingestibile, come
dovrebbe ineludibilmente affermarsi alla stregua delle conclusioni del consulente
di parte, trattandosi, al contrario, di un cespite ad altissima redditività. Si tratta
dunque di doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta
esaustiva nella sentenza del primo giudice (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 dep. 13/05/2014, Bruno e altri, Rv. 259929), il che esclude la riconoscibilità del
vizio denunciato.
Ulteriori censure fanno leva sull’orientamento già richiamato (Sez. 5, n.
47502 del 24/09/2012 – dep. 06/12/2012, Corvetta e altri, Rv. 253493), sicché,
al riguardo, valgono le considerazioni e le conclusioni di cui sopra.
5.2. Se, dunque, la sentenza impugnata non merita censure in ordine alla
pozione di Giuseppe Costanzo (classe 1946) e Liliana Carmela Lombardo, a
diverse conclusioni deve giungersi con riferimento ai due coimputati Pasquale
Costanzo e Claudio Cordasco.
5.2.1. Quanto al primo, l’atto di appello (pag. 23) aveva specificamente
dedotto che alla data della rinuncia dell’esercizio del diritto di opzione, il c.d.a. di
cui Pasquale Costanzo era presidente non era più in carica ed era stato sostituito
dal liquidatore, sicché lo stesso Pasquale Costanzo non aveva più la possibilità
giuridica di interferire nella condotta del liquidatore stesso. La sentenza
impugnata ha omesso di valutare compiutamente la censura, senz’altro dotata
dei connotati della specificità e della potenziale decisività, sicché, in parte qua,
essa deve essere annullata.

33

Costanzo non potesse reperire la somma di I. 19 milioni per ricapitalizzare La

5.2.2. Analoghe considerazioni valgono per la posizione di Claudio Cordasco,
il cui atto di appello (pag. 25) aveva specificamente censurato la parte della
sentenza di primo grado relativa alla sussistenza del dolo in capo all’imputato,
richiamando la congruità del prezzo della cessione del 5% e la mancata
conoscenza della finalità distrattiva, laddove sentenza impugnata, limitandosi a
richiamare la qualità dell’imputato di amministratore unico di Fin. It., ha omesso
di valutare compiutamente la censura.
Rispetto alla posizione di detto ricorrente, tuttavia, è assorbente

Al riguardo, rileva il Collegio che il primo motivo del ricorso nell’interesse di
Cordasco è inammissibile: la Corte di appello (pagg. 5 e 6) ha motivato il rigetto
dell’analogo motivo di appello, rilevando che una notifica successiva a quella
oggetto dell’eccezione difensiva venne effettuata dal Tribunale presso il domicilio
ed ivi effettuata. Il ricorso omette di confrontarsi con le ragioni della decisione
impugnata, sicché, essendo carente della necessaria correlazione tra le
argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo,
Rv. 253849), la doglianza è inammissibile.
E’ invece fondato il secondo motivo: sussiste il vizio della notifica del decreto
di citazione per il giudizio di appello e, anche a voler qualificare detto vizio come
nullità a regime intermedio, la stessa risulta tempestivamente dedotta. La
sentenza pertanto, in parte qua, deve essere annullata, restando assorbiti gli
ulteriori motivi del ricorrente.

6. Le censure relative alle ulteriori imputazioni devono, nei termini di seguito
specificati, essere accolte.
6.1. Le doglianze relativa al capo C) del procedimento n. 2137/98, ascritto a
Giuseppe Costanzo, oltre che a Paolo Aricò, sono fondate. La sentenza di primo
grado aveva sottolineato la collocazione dell’operazione oggetto di imputazione
nel “periodo sospetto”, essendo intervenuta entro l’anno precedente la
dichiarazione dello stato di insolvenza di R.T.A. s.p.a.; richiamate le
problematiche gestionali relative ai canoni e alle manutenzioni di cui si ha traccia
nella corrispondenza scambiatasi nel tempo tra la affittuaria e la proprietà, la
sentenza di primo grado ha poi evidenziato che prima dell’operazione in
questione non si era mai pensato di rideterminare il canone, posto che nel 1992
si era solo provveduto a “spalmarlo” in più esercizi. L’atto di appello proposto
nell’interesse di Giuseppe Costanzo, oltre a denunciare il carattere semplicistico
ed illogico della valutazione dei periti (che hanno stimato i futuri utili fino al 2005
in misura pari ai risultati che, fino al 1997, sarebbero stati conseguiti se il

34

l’accoglimento di una delle due questioni processuali denunciate.

canone di affitto fosse stato inferiore), mettevano in evidenza, tra l’altro, che il
canone non era passato da lire 2.500.000.000 a lire 500.000 in un’unica
soluzione: in realtà, il canone era stato di lire 2.500.000.000 fino al 1992, di lire
500.000.000 per il 1993, di lire 840.000.000 per il 1994 e il 1995, di lire
500.000.000 per gli anni successivi. Le doglianze, specifiche e potenzialmente
decisive ai fini della verifica rimessa al giudice di appello, così come altre
prospettate dall’appellante, non sono state valutate dalla sentenza impugnata,
che dunque, sul punto deve essere annullata.

nell’interesse di Pasquale Costanzo relativo al capo D) del procedimento n.
2137/98 (vicenda Owar S.A.). L’atto di appello dell’imputato aveva denunciato
l’insussistenza della fattispecie distrattiva per il carattere solo astratto dell’ipotesi
formulata dai periti e condivisa dal primo giudice e per il dato oggettivo
rappresentato dal fatto che il cessionario aveva pagato lire 62.750.000 per un
bene stimato lire 12.000.000.000, ma gravato da ipoteca di primo grado per lire
24.000.000.000, il che, rilevava ancora il gravame, equivaleva nella sostanza
all’accollo, da parte del cessionario, di un carico effettivo pari a lire
24.062.750.000. A fronte delle doglianze, specifiche e potenzialmente decisive ai
fini della verifica rimessa al giudice di appello, la Corte di appello si è limitata a
riprodurre, pressoché alla lettera, parti della motivazione della sentenza di primo
grado: sussiste, dunque, il vizio di mancanza di motivazione, sicché, con
riferimento al capo in esame, la sentenza impugnata deve essere annullata.
6.3. Anche le censure relative al capo A) del procedimento n. 2193/98
(vicenda Ediltekna), ascritto a Pasquale Costanzo, a Giuseppe Costanzo (classe
1946) e a Giuseppe Cavallaro sono, in parte, fondate.
In ordine di priorità logico-giuridica, occorre muovere dalla denuncia di
difetto di correlazione tra accusa e sentenza riproposta nel ricorso nell’interesse
di Pasquale Costanzo e di Giuseppe Costanzo (punto 3.7.3. del Ritenuto in fatto).
La sentenza di primo grado, pur richiamando anche una pronuncia in tema di
causazione dolosa del fallimento, fa riferimento all’orientamento secondo cui
integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’operazione di
diminuzione patrimoniale senza apparente corrispettivo, ancorché effettuata a
favore di società del medesimo gruppo, qualora gli ipotizzati benefici indiretti
della fallita non risultino effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo
del gruppo e non siano idonei a compensare efficacemente gli effetti
immediatamente negativi dell’operazione compiuta (Sez. 5, n. 41293 del
25/09/2008 – dep. 05/11/2008, Mosca, Rv. 241599). Ritiene il Collegio, sulla
base di una valutazione complessiva della pronuncia di primo grado, che essa
non abbia ritenuto la sussistenza della diversa fattispecie: univoco, ad esempio,

35

6.2. Per le medesime ragioni è fondato il sesto motivo del ricorso

è il riferimento all’attività di distrazione (pag. 79) e quello alla incontestabile
integrazione del fatto oggettivo di distrazione descritto dall’imputazione (p. 68).
Il denunciato difetto di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non
sussiste.
I medesimi ricorrenti hanno altresì dedotto la necessità di valutare il
“disegno imprenditoriale” e l’esistenza di “vantaggi compensativi” in capo al
gruppo e quindi a Ediltekna, che, essendo la “cassaforte” del gruppo per le sue
possidenze immobiliari, diventa il polmone finanziario e che sarebbe stata

insolvenza di queste. L’atto di appello (pagg. 33 ss.) aveva diffusamente
affrontando il tema, denunciando che la sentenza di primo grado aveva in modo
ingiustificato escluso la rilevanza del c.d. “interesse di gruppo”, proponendo le
argomentazioni poi riproposte nel ricorso. La sentenza di appello omette
qualsiasi riferimento alla doglianza, limitandosi ad evidenziare che i mutui non
erano finalizzati allo sviluppo delle attività istituzionali di Ediltekna (riferimento,
questo, che ribadisce, in positivo, la mancata valutazione delle questioni sottese
al gruppo). Sotto un diverso profilo, l’atto di appello nell’interesse di Pasquale
Costanzo e di Giuseppe Costanzo aveva espressamente dedotto la configurabilità
della bancarotta preferenziale, evidenziando come, con l’operazione dei mutui
contratti da Ediltekna, il banco di Sicilia avesse consolidato con le ipoteche il suo
credito “blindandolo” rispetto alle pretese degli altri creditori. La sentenza
impugnata fa riferimento al problema solo con riguardo ad altre imputazioni
(Socomar, Perla Jonica, Owar), ma nulla dice a proposito di Ediltekna.
Trattandosi, ancora una volta, di doglianze, specifiche e potenzialmente decisive,
sussiste il vizio di mancanza di motivazione, che impone con riferimento al capo
in esame, la sentenza impugnata deve essere annullata
6.4. In merito al capo F) del procedimento n. 2193/98 (vicenda Ediltekna):
ascritto a Giuseppe Costanzo, l’ottavo motivo di ricorso è in parte fondato.
Sotto il profilo oggettivo, la doglianza non merita accoglimento. La Corte di
appello, richiamando adesivamente le valutazioni della sentenza di primo grado,
ha evidenziato l’estraneità alla logica aziendale di un comodato su un immobile
di rilevante valore, così confermando la configurabilità, nel caso di specie, della
contestata condotta dissipativa. Le doglianze articolate al riguardo del ricorrente
ripropongono le giustificazioni addotte dalla difesa (opportunità di non procedere
alla locazione dell’immobile per agevolarne la vendita) già compiutamente
esaminate dalla sentenza di primo grado. Manifestamente infondata è la censura
sulla prospettata configurabilità della diversa ipotesi di causazione dolosa del
fallimento, in quanto i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.F.) e quello di bancarotta

36

immediatamente attaccata dalle esposizioni debitorie delle controllanti in caso di

*

impropria di cui alli art. 223 comma secondo, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi: il
primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari
ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo
da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare
pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano
prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente
intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono
distrazione o dissipazione di attività – né si risolvono in un pregiudizio per le
verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture
contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento (Sez. 5, n.
24051 del 15/05/2014 – dep. 09/06/2014, Lorenzini e altro, Rv. 260142).
Deve essere accolta, invece, la doglianza incentrata sul prospettato difetto
di dolo: il relativo motivo di appello (p. 42) aveva valorizzato, nella critica
specificamente mossa alla sentenza di primo grado, l’entità del patrimonio
complessivo del gruppo (stimato in circa 700 mld. di lire), l’epoca della stipula
del contratto di comodato (risalente al 1986) e la circostanza che il contratto
stesso era stato posto in essere da altra società solo successivamente
incorporata da Ediltekna, tutte circostanze conferenti, nella prospettazione
difensiva, nella direzione di escludere che l’imputato avesse avuto contezza del
fatto. La Corte di appello ha omesso l’esame del motivo di gravame, sicché, in
parte qua, la sentenza impugnata deve essere annullata.

7. Il nono motivo del ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo e di
Giuseppe Costanzo è inammissibile. Una parte della motivazione della sentenza
impugnata è effettivamente ed erroneamente dedicata alla conferma della
condanna per i capi C) ed E) del procedimento n. 2193/98 per i quali vi era stata
assoluzione in primo grado, non impugnata dal P.M. Si tratta, tuttavia, di errore
della motivazione che non ha avuto alcuna influenza sul dispositivo, che ha
confermato la sentenza di primo grado e, rispetto ad esso, i ricorrenti neppure
hanno dedotto la sussistenza di un interesse all’impugnazione.

8. Le doglianze relative alla circostanza aggravante di cui all’art. 219 I. fall da esaminarsi con riferimento alle imputazioni e ai ricorrenti per i quali la
sentenza impugnata non è stata annullata, restando, negli altri casi, assorbite
dall’annullamento – non sono fondate.
8.1. Alcune censure (prima parte del decimo motivo del ricorso nell’interesse
di Pasquale Costanzo; quarto motivo del ricorso di Liliana Carmela Lombardo)
chiamano in causa, in sintesi, la genericità della contestazione delineata dai capi
di imputazione. La doglianze sono manifestamente infondate, in quanto il

37

,

.

,

congiunto riferimento all’art. 219 I. fall. e al grave pregiudizio per i creditori che
caratterizza tutte le imputazioni rende palesemente idonee le stesse alla valida
contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, I.
fa Il.
8.2. Altre censure (secondo motivo del ricorso nell’interesse di Vincenzo
Costanzo; quarto motivo del ricorso di Giuseppe Cavallaro), che contestano
l’applicabilità della circostanza aggravante de qua alla bancarotta impropria,
sono manifestamente infondate (sicché non costituisce causa di annullamento

manifestamente infondato). Del tutto consolidato è, nella giurisprudenza di
questa Corte il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari,
la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui
all’art. 219, comma primo, I. fall., è applicabile all’ipotesi di bancarotta
impropria, considerato che l’art. 223, comma primo, I. fall., – prevedendo che
agli amministratori di società dichiarate fallite, i quali abbiano commesso alcuno
dei fatti previsti dall’art. 216 I. fall., si applicano le pene ivi stabilite – rinvia in
ordine alla determinazione della pena per i reati commessi ai sensi dell’art. 223,
comma primo, I. fall. alle pene previste dall’art. 216 I. fall. per la bancarotta
propria, pene che si determinano tenendo conto non solo dei minimi e dei
massimi edittali contemplati dall’art. 216 I.fall., ma anche delle attenuanti e
aggravanti speciali previste per tali reati, con la conseguenza che il rinvio in
ordine alla determinazione della pena deve ritenersi integrale e basato sul
presupposto della identità oggettiva delle condotte (Sez. 5, n. 127 del
08/11/2011 – dep. 09/01/2012, Pennino e altri, Rv. 252664). L’indirizzo
espresso da un’isolata pronuncia di segno contrario (Sez. 5, n. 8829 del
18/12/2009 – dep. 05/03/2010, Truzzi e altri, Rv. 246154) è stato superato dalla
successiva giurisprudenza, che ha ribadito come la circostanza aggravante del
danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219, comma primo, I. fall.,
sia applicabile alle ipotesi di bancarotta impropria (Sez. 5, n. 10791 del
25/01/2012 – dep. 19/03/2012, Bonomo e altro, Rv. 252009; conformi: Sez. 5,
n. 18695 del 21/01/2013 – dep. 26/04/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978
del 16/07/2013 – dep. 20/09/2013, Fregnan, Rv. 257762; Sez. 5, n. 2903 del
22/03/2013 – dep. 22/01/2014, P.G. e Venturato, Rv. 258446; Sez. 5, n. 17690
del 18/02/2010 – dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv.
247320).
8.3. Non meritano, del pari, accoglimento, le ulteriori doglianze relative alla
configurabilità, nel casi di specie, dell’aggravante in parola (decimo motivo del
ricorso nell’interesse di Pasquale Costanzo; quarto motivo del ricorso di Liliana
Carmela Lombardo). Ai fini dell’applicazione della circostanza in esame, la

38

della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti

*

valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o
alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione (non percentuale, ma
globale) che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che
sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti
(Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000 – dep. 23/11/2000, Di Muni, Rv. 217403),
ossia al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione
concorsuale (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009 – dep. 28/12/2009, Olivieri, Rv.
245822). Del principio di diritto correttamente richiamato dalla sentenza

risultando detto valore univocamente dalla ricostruzione delle singole vicende.
Peraltro, le doglianze proposte sul punto dai ricorrenti avevano già trovato
puntuale risposta nella sentenza di primo grado, che, con specifico riferimento al
capo A) del procedimento n. 2137/98 (Vicenda So.co.rnar.), ha richiamato
l’ingente valore patrimoniale distratto (indicato nell’atto di cessione nel
sottostimato ammontare di oltre un miliardo di lire), e, con riferimento al capo B)
del procedimento n. 2137/98 (Vicenda La Perla Jonica), ha rimarcato l’ingente
valore reddituale ascrivibile alla gestione del complesso alberghiero.

9. Le censure proposte nei ricorsi nell’interesse di Liliana Carmela Lombardo
(quinto motivo) e da Antonino Angelo Cavallaro (secondo motivo) in ordine al
diniego del giudizio di prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti
generiche (prospettato dal primo ricorso anche con riguardo alla mancanza di
pronuncia da parte della Corte di appello) sono inammissibili.
La sentenza di primo grado (pag. 97) aveva riconosciuto ai due ricorrenti e agli altri coimputati diversi da Pasquale Costanzo, Giuseppe Costanzo e
Giuseppe Cavallaro – le circostanze attenuanti generiche (valorizzando l’unicità
degli episodi delittuosi a ciascuno ascritto) ritenute equivalenti alla contestata
aggravante, a differenza che per Alfio Cavallaro dato il ruolo secondario da
questi specificamente rivestito nel fatto a lui imputato, così, all’evidenza,
escludendo il carattere secondario della condotta della Lombardo e di Antonino
Angelo Cavallaro. A fronte della motivazione del primo giudice, mentre l’appello
nell’interesse di Antonino Angelo Cavallaro non aveva dedotto la questione, il
gravame proposto nell’interesse della Lombardo si limitava ad affermare che “nel
riconoscere l’odierna appellante meritevole della concessione delle circostanze
attenuanti generiche, il Tribunale avrebbe dovuto dichiararle prevalenti sulla
contestata aggravante e, conseguentemente, ridurre la pena in concreta
irrogata”, sicché l’evidente genericità della doglianza, priva di qualsiasi
correlazione con le ragioni argomentative del primo giudice, la rendeva
inammissibile.

39

impugnata le concordi valutazioni dei giudici di merito hanno fatto buon governo,

10. L’undicesimo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Pasquale
Costanzo e di Giuseppe Costanzo investe il diniego dell’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche. A detti ricorrenti, nonché a Giuseppe Cavallaro
non sono state applicate le circostanze attenuanti generiche in quanto la
sentenza di primo grado ha messo in rilievo la pluralità delle condotte delittuose
a ciascuno di essi attribuite e il ruolo centrale rivestito nella commissione degli
illeciti, laddove la Corte di appello ha fatto riferimento all’insussistenza dei

possono coincidere con l’incensuratezza. Il riferimento, nella

ratio decidendi

delineata sul punto dalla sentenza di primo grado (confermata da quella di
appello), anche alla pluralità delle condotte delittuose per le quali era intervenuta
condanna impone – in considerazione dell’annullamento della sentenza
impugnata nei confronti dei ricorrenti per alcune delle imputazioni a ciascuno di
essi ascritte – di ritenere assorbito il motivo in esame nell’annullamento parziale
della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame anche sul punto.

11. Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei
confronti di Paolo Aricò in quanto il reato è estinto per morte dell’imputato.
Nei confronti di Pasquale Costanzo la sentenza deve essere annullata
limitatamente ai capi B) e D) del procedimento n. 2137/98 e al capo A) del
procedimento n. 2193/98, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di
Catania per nuovo esame su tali capi e per la determinazione del complessivo
trattamento sanzionatorio, mentre, nel resto, il ricorso deve essere rigettato. Nei
confronti di Giuseppe Costanzo la sentenza deve essere annullata limitatamente
al capo C) del procedimento n. 2137/98 e ai capi A) ed F) procedimento n.
2193/98, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania per nuovo
esame su tali capi e per la determinazione del complessivo trattamento
sanzionatorio, mentre, nel resto, il ricorso deve essere rigettato. Nei confronti di
Giuseppe Cavallaro la sentenza deve essere annullata limitatamente al capo A)
del procedimento n. 2193/98, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di
Catania per nuovo esame su tale capo e per la determinazione del complessivo
trattamento sanzionatorio, mentre, nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
La sentenza impugnata deve poi essere annullata nei confronti di Claudio
Cordasco, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di
Catania.
I ricorsi di Vincenzo Costanzo, di Antonino Angelo Cavallaro e Liliana
Carmela Lombardo devono essere rigettati, mentre i ricorrenti devono essere
condannati singolarmente al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla

40

presupposti per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che non

rifusione delle spese della parte civile Amministrazione straordinaria della F.11i
Costanzo s.p.a., da liquidarsi in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come
per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Paolo Aricò senza rinvio per
essere il reato estinto per morte dell’imputato.

limitatamente ai capi B) e D) del procedimento n. 2137/98 e al capo A) del
procedimento n. 2193/98 e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di
Catania per nuovo esame su tali capi e per la determinazione del complessivo
trattamento sanzionatorio; rigetta nel resto il ricorso di Pasquale Costanzo.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Giuseppe Costanzo
limitatamente al capo C) del procedimento n. 2137/98 e ai capi A) ed F)
procedimento n. 2193/98 e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di
Catania per nuovo esame su tali capi e per la determinazione del complessivo
trattamento sanzionatorio; rigetta nel resto il ricorso di Giuseppe Costanzo.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Giuseppe Cavallaro
limitatamente al capo A) del procedimento n. 2193/98 e rinvia ad altra Sezione
della Corte di appello di Catania per nuovo esame su tale capo e per la
determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio; rigetta nel resto il
ricorso di Giuseppe Cavallaro.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Claudio Cordasco e rinvia per
nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.
Rigetta i ricorsi di Vincenzo Costanzo, di Antonino Angelo Cavallaro e Liliana
Carmela Lombardo, che condanna singolarmente al pagamento delle spese
processuali, nonché in solido alla rifusione delle spese della parte civile
Amministrazione straordinaria della F.11i Costanzo s.p.a., che liquida in
complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18/11/2014

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Pasquale Costanzo

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA