Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38756 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38756 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FOTI FILIPPO N. IL 02/11/1975
avverso l’ordinanza n. 985/2014 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 12/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
Lette/se

Uditi-dif-0448

Data Udienza: 14/05/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. M. Pinelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito
altresì per il ricorrente l’avv. Scudellari, in sostituzione l’avv. Giurato, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza deliberata il 12/02/2015, il Tribunale del riesame di Reggio

e 13/10/2014 con le quali il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di
Reggio Calabria aveva rigettato le istanze volte alla dichiarazione di inefficacia e
alla revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata a Foti Filippo
per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti,
nonché per i tentativi di furto e il furto ai danni di una gioielleria e di abitazioni.
Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria ha proposto
ricorso per cassazione Foti Filippo, attraverso i difensori avv. D. Giurato e avv. E.
V. Giurato, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 297, comma 3, e 125 cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 12 cod. proc. pen. e 81 cod. pen., e vizio di
motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della connessione tra reato
oggetto del primo titolo custodiale e il reato associativo. L’ordinanza impugnata
ha escluso la sussistenza di qualsiasi forma di connessione qualificata tra il reato
oggetto della prima ordinanza cautelare (tentato furto aggravato in data
09/11/2011) e il reato associativo contestato, tra gli altri, nella seconda
ordinanza applicativa. Se non può dirsi sussistente in via automatica la
connessione tra reato associativo e reati-fine, non può ritenersi l’automatismo
contrario, in base al quale la connessione debba essere preventivamente
esclusa, tanto più che il reato associativo ha natura permanente, sicché
l’elaborazione dei reati-fine che si sviluppi nel corso della permanenza avvalora il
nesso tra i due reati. Non si può predeterminare singolarmente ogni reato-fine
fin dal momento della fondazione della

societas sceleris,

altrimenti

verosimilmente neppure si configurerebbe un’associazione per delinquere con le
caratteristiche tipiche della fattispecie.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 297, comma 3, e 125 cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 12 cod. proc. pen. e 81 cod. pen., e vizio di
motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della connessione tra reato
oggetto del primo titolo custodiale e i reati fine oggetto del secondo. Il Tribunale
del riesame ha omesso di specificare le ragioni per le quali la connessione

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Calabria ha rigettato l’appello proposto avverso le ordinanze in data 02/08/2014

qualificata dovrebbe escludersi con riguardi ai reati-fine di cui alla seconda
ordinanza cautelare, ossia un furto e un tentato furto aggravati dalle stesse
modalità di esecuzione (uso della violenza e del mezzo fraudolento), commessi in
concorso con le stesse persone e nel medesimo arco temporale (coincidente con
l’operatività della presunta associazione per delinquere) rispetto al reato oggetto
della prima ordinanza applicativa. Il tentato furto oggetto della prima ordinanza
applicativa nei confronti di Foti è oggetto della contestazione cautelare nei
confronti di altri soggetti nell’ambito del presente procedimento. La separazione

marzo del 2012 fu il frutto di una precisa scelta del P.M.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 297, comma 3, e 125 cod.
proc. pen., in relazione alla desumibilità degli atti posti a sostegno della seconda
ordinanza custodiale prima dell’emissione del primo o del rinvio a giudizio
relativo a giudizio relativo al primo reato. La difesa ha prodotto al Tribunale del
riesame due informative di P.G., quella richiamata dall’ordinanza impugnata (in
data 09/09/2012) e quella del 29/10/2011 precedente di 20 giorni l’arresto per il
tentato furto di cui alla precedente ordinanza di identico contenuto, sicché
l’informativa che compendia tutte le attività investigative compiute è anteriore
all’arresto per il primo episodio e il pubblico ministero aveva a disposizione tutti
gli elementi per emettere un’unica ordinanza cautelare. In contrasto con i
princìpi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, il Tribunale del riesame ha
interpretato il concetto di “desumibilità” intendendola come “rielaborazione
sistematica”.
Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 274 e 125 cod. proc. pen. A
Foti sono ascritti fatti commessi nell’arco di tempo che va dal maggio al
novembre del 2011 e per il periodo successivo nessuna contestazione gli è stata
mossa e non risultano precedenti, neppure di polizia; per il tentato furto del
09/11/2011 è stato in custodia in carcere dal 09/11/2011 al 30/05/2012 e,
quindi, gli è stata applicata la misura degli arresti domiciliari con facoltà di uscire
nelle ore diurne per svolgere attività lavorativa; durante l’applicazione di
quest’ultima misura, nessuna irregolarità gli è stata contestata. Alla luce di tali
circostanze, la motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine all’attualità e alla
concretezza del pericolo di reiterazione del reato è illogica e, a tratti, apparente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo non merita accoglimento. Come questa Corte ha avuto
modo di affermare, è configurabile la continuazione tra reato associativo e reati-

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della posizione di Foti da quella degli altri due coimputati Belgio e Talinucci nel

fine esclusivamente qualora questi ultimi siano stati programmati nelle loro linee
essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso (Sez. 1, n.
8451 del 21/01/2009 – dep. 25/02/2009, Vitale, Rv. 243199); infatti,
normalmente, al momento della costituzione dell’associazione, i reati-fine sono
previsti solo in via generica e programmatica (Sez. 6, n. 3960 del 15/10/1997 dep. 12/11/1997, Tagliamento, Rv. 208833), sicché è ipotizzabile la
continuazione tra reato associativo e reati-fine, a condizione che il giudice
verifichi puntualmente che i reati-fine siano stati programmati al momento della

27/09/2013, Corigliano, Rv. 257253). Il Tribunale del riesame ha fatto buon
governo di questi princìpi, laddove il ricorrente non deduce la sussistenza di
elementi – relativi alle fattispecie concrete – idonei a dar conto della
programmazione dei reati fine al momento della costituzione dell’associazione.
Né in tal senso può argomentarsi sulla base del carattere permanente del reato
associativo, posto che, ai fini dell’individuazione dell’identità del disegno
criminoso, occorre individuare una coincidenza tra la programmazione dei reati
fine, nelle loro linee essenziali, e la costituzione dell’associazione.
Anche il secondo motivo non può essere accolto. Con riferimento ai diversi
reati-fine, l’ordinanza impugnata ha fatto riferimento a furti – consumati e
tentati – commessi da diverse composizioni personali degli individui agenti nelle
differenti occasioni, con diverse modalità esecutive, non riconducibili, pertanto,
in termini di connessione al fatto oggetto del primo titolo cautelare. Le doglianze
articolate dal ricorrente non sono idonee a compromettere la tenuta logicoargomentativa dell’ordinanza impugnata. In primo luogo, deve osservarsi che il
rilievo del ricorrente secondo cui i furti erano aggravati dalle stesse circostanze
(uso della violenza e del mezzo fraudolento) – oltre che non correlato alla
specifica descrizione delle diverse imputazioni provvisorie – non inficia
l’argomentare del giudice dell’appello cautelare, incentrato sulla diversità delle
modalità di esecuzione dei vari fatti-reato, diversità cui può corrispondere una
omogenea configurabilità delle aggravanti. Le ulteriori deduzioni circa la
commissione in concorso con le stesse persone e l’identità dell’arco temporale
sono articolate in assenza di puntuale disamina dei vari reati-fine oggetto delle
due ordinanze applicative, il che attribuisce carattere di genericità alle censure,
inidonee, pertanto, a far emergere travisamenti motivazionali del provvedimento
impugnato.
Il terzo motivo non è fondato. L’ordinanza impugnata ha correttamente
richiamato quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, ossia che «non
giustifica di per sè la retrodatazione, perché non è di per sè indicativo di una
scelta indebita, il fatto che l’ordinanza, emessa nel secondo procedimento, si

costituzione dell’associazione (Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013 – dep.

fondi su elementi già presenti nel primo, perché in molti casi gli elementi
probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro
significato: essi spesso devono essere interpretati, specie quando si tratta, come
di frequente accade, di colloqui intercettati e avvenuti in modo criptico. Perciò il
solo fatto che essi fossero già in possesso degli organi delle indagini non
dimostra che questi ne avessero individuato tutta la portata probatoria e fossero
venuti a conoscenza delle notizie di reato per le quali si è proceduto, in un
secondo momento, separatamente. A volte infatti la presa di conoscenza e la

tempi non brevi, che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra
l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale» (Sez. U, n.
14535 del 19/12/2006 – dep. 10/04/2007, Librato). Nell’escludere la desumibilità
dei fatti di cui alla seconda ordinanza cautelare dagli atti già acquisiti al
momento dell’emissione della prima, l’ordinanza impugnata ha fatto riferimento
all’informativa di polizia giudiziaria del 09/09/2012 (successiva all’ordinanza del
12/11/2011) le cui risultanze investigative sono scaturite anche a seguito
dell’esecuzione della prima ordinanza, così confermando quelle che, in quel
momento, rappresentavano ipotesi investigative; sottolinea ancora il Tribunale di
Reggio Calabria come la circostanza che negli atti di polizia acquisiti in
precedenza si facesse riferimento ad indagini volte ad identificare i componenti
di una banda dedita al furto e che emergesse un ruolo specifico di Foti e di altri
possibili correi dimostri solo l’attivazione dell’apparato investigativo per la
compiuta configurazione in fatto delle condotte criminali, sicché solo la
protrazione delle indagini e la loro elaborazione sistematizzata ha fatto emergere
chiari elementi indiziari in ordine ai reati di cui alla seconda ordinanza cautelare.
Nei termini indicati, l’ordinanza impugnata ha reso motivazione incensurabile in
ordine alla insussistenza, nel caso di specie, del requisito della “desumibilità dagli
atti”, requisito delineato in termini coerenti con il principio di diritto sopra
richiamato.
Del pari infondato è il quarto motivo. L’ordinanza impugnata ha motivato in
ordine alla sussistenza dei requisiti

ex artt. 274 e 275 cod. proc. pen.

richiamando il pericolo di reiterazione del reato desunto dalla personalità
dell’indagato, così come emergente dalle modalità di realizzazione dei fatti di cui
alle plurime imputazioni provvisorie, e l’adeguatezza – oltre alla proporzionalità della sola custodia carceraria, ritenendo, in particolare, inadeguata la meno
afflittiva misura degli arresti domiciliari alla luce della possibilità, da essa non
preclusa, di riallacciare i contatti con l’ambiente criminale in cui sono stati
organizzati e commessi i reati. A fronte della motivazione del provvedimento
impugnato, le doglianze del ricorrente fanno leva, in buona sostanza, sulla

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elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede

considerazione della pregressa vicenda cautelare relativa al tentato furto di cui
alla prima ordinanza applicativa, argomentando da essa per escludere il pericolo
di reiterazione e per ritenere l’adeguatezza di misura meno afflittiva: il giudice
dell’appello cautelare, tuttavia, si è confrontato con tali argomenti,
escludendone, con motivazione immune da cadute di conseguenzialità logiche, la
decisività alla luce della diversa, più grave, posizione dell’indagato così come
risultante, anche sul piano della proiezione circa la valutazione della sua
personalità, dai fatti emersi con la successiva ordinanza.

condannato al pagamento delle spese processuali; la cancelleria curerà gli
adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma
1 ter disp. att. c.p.p.
Così deciso il 14/05/2015.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere

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