Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38730 del 05/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38730 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRESTIERI ANTONIO, nato il 17/02/1980
avverso l’ordinanza n. 252/2012 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA
di ROMA, del 01/06/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale dott. Francesco
Salzano, che ha chiesto rigettarsi il ricorso e condannarsi il
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Data Udienza: 05/03/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’i giugno 2012, il Tribunale di sorveglianza di Roma,
decidendo nel procedimento instaurato a seguito di istanza di affidamento in
prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà, avanzata da
Prestieri Antonio in relazione alla pena scadente il 12 febbraio 2016, residua
rispetto a quella di anni otto di reclusione inflitta con sentenza del 6 aprile 2011

affidamento in prova al servizio sociale e di semilibertà e ha respinto la domanda
di detenzione domiciliare.
Il Tribunale, a ragione della decisione, rilevava che, essendo stata la
condanna inflitta per reato di cui all’art.

4-bis, prima fascia, Ord. Pen., la

domanda di detenzione domiciliare era l’unica concedibile in deroga ex art. 16nonies d.l. n. 8 del 1991,` rappresentava che il detenuto, collaboratore di giustizia

dall’aprile 2008, ammesso a programma definitivo di protezione dal 15 gennaio
2009 e beneficiario della circostanza attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del
1991, aveva tenuto una condotta in regime di arresti domiciliari corretta e
conforme al suo status, e richiamava il parere della Direzione Nazionale
Antimafia, “favorevole alla luce dello spessore della collaborazione fino ad oggi
prestata, della corretta condotta processuale e della rescissione dei collegamenti
con la criminalità organizzata”.
Secondo il Tribunale, tuttavia, a fronte del gravissimo reato in espiazione,
dell’appartenenza dell’istante dal 2003 a un gruppo criminale particolarmente
agguerrito e della scelta collaborativa abbastanza recente, non potevano trarsi
elementi sufficienti per valutare la sussistenza della rivisitazione critica, rispetto
al passato deviante, dalla collaborazione con la giustizia e dalla mera condotta
regolare tenuta, e doveva essere effettuata, pertanto, una verifica, attraverso un
periodo di osservazione intramuraria della personalità del condannato,
dell’effettivo percorso di revisione critica intrapreso.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, Prestieri Antonio, che ne chiede l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc.
pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli
artt. 47-ter Ord. Pen. e 16-nonies legge n. 82 del 1991, nonché mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto alle risultanze
processuali inerenti alla richiamata normativa speciale.
2.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale, prescindendo dai requisiti previsti
dall’art.

16-nonies legge n. 82 del 1991 per l’accesso al beneficio della

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della Corte d’assise d’appello di Napoli, ha dichiarato inammissibili le domande di

detenzione domiciliare, tutti sussistenti, ha finito con il disattendere la ratio della
legislazione premiale, valutando la sua domanda, con stringata e infondata
argomentazione, unicamente sulla base della condotta antecedente al reato, e
non assolvendo all’onere primario di esaminare il comportamento successivo al
reato e di valutare gli altri elementi di giudizio altamente significativi.
Né, ad avviso del ricorrente, l’ordinanza ha operato alcun richiamo ai
requisiti normativi di cui all’art. 16-nonies legge n. 82 del 1991, alla relazione del
Servizio Centrale Protezione e al parere della Direzione Nazionale Antimafia, da

puntuale rispetto dei requisiti di legge, e non ha indicato perché la sua cessata
pericolosità sociale, la sua assoluta correttezza comportamentale, la costanza,
rilevanza e proficuità della sua collaborazione e il suo puntuale rispetto degli
obblighi di legge non possono essere indicativi di una rivisitazione critica da
parte sua del proprio passato deviante.
2.2. Il Tribunale neppure ha considerato, secondo il ricorrente, che tra i fatti
negativi che hanno portato alla condanna (16 aprile 2003) e il momento
valutativo afferente alla concessione del beneficio (1 giugno 2012) sono trascorsi
circa dieci anni, durante i quali egli ha mantenuto condotta irreprensibile, si è
dissociato sin dal 2004 dal contesto criminale di riferimento e ha dato corso poi,
da libero, a una rilevantissima collaborazione con la giustizia, come reso
evidente dal contenuto del parere della Direzione Nazionale Antimafia del 24
maggio 2012, decisamente favorevole, e della relazione comportamentale del
Servizio Centrale Protezione, “inopportunamente svilita a inutile risultanza di
contorno”.
Rispetto al valore assoluto di tali valutazioni, il giudizio del Tribunale è
incomprensibile e ingiustificabile nelle sue affermazioni, in contrasto palese con
le risultanze processuali e con i principi dell’ordinamento penitenziario.
2.3. L’ordinanza è illegittima anche quanto al giudizio operato circa il
ravvedimento, che deve essere commisurato e rapportato ai requisiti di cui
all’art. 16-nonies Ord. Pen. e al limitato beneficio invocato, al quale non si è fatto
alcun riferimento.
Né è richiesto il completo ravvedimento, bastando, secondo il costante
orientamento di questa Corte, l’inizio di un percorso di ravvedimento, sussistente
in concreto alla luce delle acquisite delucidazioni comportamentali.
2.4. Il Tribunale, infine, ad avviso del ricorrente, ha tratto dal parere della
Direzione Nazionale Antimafia solo la parte relativa al positivo contributo
collaborativo da lui prestato, la cui portata sostanziale ha gratuitamente messo
in dubbio, omettendo di considerare, pur essendo prevista come necessaria
l’acquisizione di detto parere, le puntuali deduzioni in ordine alla resipiscenza, al
ravvedimento e al comportamento irreprensibile da lui tenuto dopo la

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cui è emersa la sua consapevole partecipazione all’opera di rieducazione e il

commissione del reato, poiché la stessa Direzione Nazionale Antimafia ha
rimarcato la “bontà, serietà e costanza della scelta collaborativa” e ha dato atto
della intervenuta cessazione della sua pericolosità sociale.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.

1. Il ricorso non è fondato.

2. Questa Corte ha più volte affermato che, ai fini della concessione dei
benefici penitenziari in favore dei collaboratori di giustizia, il requisito del
“ravvedimento” previsto dall’art. 16-nonies d.l. n. 8 del 1991 n. 8, convertito
nella legge n. 82 del 1991, come introdotto dall’art. 14 legge n. 45 del 2001, non
può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base
dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del
condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori,
specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo,
sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (tra le
altre, Sez. 1, n. 48505 del 18/11/2004, dep. 16/12/2004, Furioso, Rv. 230137;
Sez. 1, n. 34283 del 12/07/2005, dep. 23/09/2005, Pepe, Rv. 232219; Sez. 1,
n. 1115 del 27/10/2009, dep. 13/01/2010 Brusca, Rv. 245945).
Si è, infatti, puntualizzato che la facoltà di ammettere alle misure alternative
soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 82 del
1991 anche in deroga alle disposizioni vigenti (come già previsto dall’art. 13-ter,
comma 2, della detta legge, abrogato dall’art. 7 legge n. 45 del 2001, e ora
dall’art. 16-nonies, comma 4, introdotto dall’art. 14 stessa legge) riguarda
soltanto le limitazioni in tema di condizioni di ammissibilità, ma non si estende ai
presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro
stabile rieducazione, previsti dalle norme dell’ordinamento penitenziario e
rimessi alla valutazione discrezionale della magistratura di sorveglianza (Sez. 1,
n. 665 del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Tibaldi, Rv. 215495), né si sottrae al
criterio della valutazione discrezionale da parte del giudice, che deve riguardare,
al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità,
l’opportunità del trattamento alternativo e concernere le premesse meritorie e
l’attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato
(Sez. 1, n.5523 de124/10/1996, dep. 04/12/1996, Chiofalo, Rv. 206185; Sez. 1,
n. 3367 del 18/10/2000, dep. 29/01/2001, P.G. in proc. Nistri, Rv. 218043).

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ravvedimento, previsto dall’art. 16-nonies legge n. 8 del 1991, postula, in
particolare, una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da
accertare se l’azione rieducativa, complessivamente svolta (realizzata anche in
virtù della corretta gestione di tutti i benefici penitenziari già fruiti) abbia
prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo. Tra i vari elementi di
valutazione del sicuro ravvedimento del reo e del suo riscatto morale vanno presi
in considerazione, in via esemplificativa, i rapporti con i familiari, il personale
carcerario e i compagni di detenzione, nonché lo svolgimento di un’attività

critica della sua vita anteatta e una reale ispirazione al suo riscatto morale (Sez.
1, n. 3675 del 16/01/2007, dep. 31/01/2007, Tedesco, Rv. 235796; Sez. 1, n.
9887 del 01/02/2007, dep. 08/03/2007, Pepe, Rv. 236548), o manifestazioni di
resipiscenza, tra le quali concrete iniziative riparatorie nei confronti di chi ha
subito le conseguenze dei reati commessi, dotate di forza e ampiezza tali da
rivelare un serio intento di riconciliazione con la società civile gravemente offesa
(Sez. 1, n. 1115 del 27/10/2009, citata).

3. Di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, il provvedimento
impugnato ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Il Tribunale ha rilevato, illustrando, con congrua e articolata
motivazione, i dati fattuali tratti dagli atti nella sua disponibilità, che nei confronti
del Prestieri, collaboratore di giustizia dall’aprile 2008, ammesso al programma
definitivo di protezione dal 15 gennaio 2009 e beneficiario della circostanza
attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991, non poteva essere formulata
una prognosi di affidabilità esterna, nonostante la correttezza della condotta
tenuta in regime di arresti domiciliari e la sua conformità allo

status di

collaboratore, riferite dal Servizio Centrale Protezione, e che era necessario un
periodo di osservazione intramuraria della personalità del medesimo, che non
aveva mai fatto ingresso in carcere e il cui titolo di condanna era stato sospeso
ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen., volta a verificare l’inizio e lo
stato di un “effettivo percorso di revisione critica del passato deviante”.
Nel suo percorso argomentativo il Tribunale, che non ha prescisso dal
rilevare la ricorrenza dei presupposti di ammissibilità della misura della
detenzione domiciliare in deroga, ai sensi dell’indicato art.

16-nonies, e dal

richiamare il parere favorevole espresso dalla Direzione Nazionale Antimafia,
fondato sullo spessore della collaborazione prestata, sulla condotta processuale
tenuta e sulla rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata, ha
valorizzato la gravità dei reati in esecuzione (omicidio e violazione della legge
sulle armi), l’appartenenza dell’istante dal 2003 a un gruppo criminale
particolarmente agguerrito (clan Di Lauro), egemone nel quartiere di Scampia
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lavorativa o di studio onde verificare se c’è stata da parte del reo una revisione

fino alla fine del 2004 quando era iniziata la c.d. faida di Scampia,
contraddistinta da plurimi omicidi, la recente sopravvenienza della scelta
collaborativa, la pendenza di vari procedimenti penali e, tra questi, di un
procedimento per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti,
definito in primo grado con la condanna dell’istante alla pena di anni cinque e
mesi quattro di reclusione, e ha rimarcato che, a fronte di detti dati fattuali, non
vi erano elementi, traibili dalla collaborazione con la giustizia e dalla doverosa
regolarità della condotta tenuta in regime di arresti domiciliari, oggetto delle

ravvedimento, non risolvibile nella scelta collaborativa che non è dimostrativa di
per sé, in relazione alla sua non escludibile strumentalità al conseguimento dei
benefici premiali, di premesse meritorie e di un intrapreso percorso di revisione
critica, e bisognevole, per l’effetto, di più significative manifestazioni di
resipiscenza, non offerte né emerse allo stato.
3.2. Le valutazioni di merito, condotte dal Tribunale, esenti da vizi logici e
giuridici per la loro adeguata congruenza rispetto alle illustrate emergenze
fattuali e per la loro ragionevole coerenza rispetto al sistema delle misure
alternative e delle loro finalità anche in presenza della disciplina derogatoria per i
collaboratori di giustizia, e correttamente improntate al principio della gradualità
del trattamento e dell’osservazione nella concessione di benefici penitenziari,
ripetutamente affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 5689 del
18/11/1998, dep. 26/03/1999, Foti, Rv. 212794; Sez. 1, n. 20551 del
04/02/2011, dep. 24/05/2011, P.G. in proc. D’Ambrosio, Rv. 250231), resistono
alle censure svolte con il ricorso.
3.3. Le obiezioni e osservazioni difensive, esprimendo un diffuso dissenso
rispetto alle ragioni argomentate della ordinanza impugnata, non solo invadono
un ambito di merito già adeguatamente giudicato, riproponendo un’alternativa
lettura dei dati utilizzati, ma, non correlandosi ai passaggi motivi e agli sviluppi
logici della decisione, infondatamente non considerano che la valutazione svolta
è stata condotta dal Tribunale alla stregua della non trascurata normativa
speciale, riconoscendosi la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della
domanda di detenzione domiciliare e indicandosi specificamente i dati
riconducenti il ricorrente e la sua richiesta nei limiti di applicabilità della legge;
né tengono conto infondatamente dello sviluppo dell’analisi complessiva svolta
della condotta del ricorrente non limitata a quella antecedente al reato in
esecuzione; né considerano infondatamente che il parere della Direzione
Nazionale Antimafia e la relazione del Servizio Centrale Protezione, i cui
contenuti sono stati richiamati, non esauriscono l’ambito della valutazione
demandata al Tribunale che deve riguardare, come ha riguardato, al di là
dell’accertamento delle condizioni di ammissibilità della richiesta, l’opportunità
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relazioni acquisite, sufficienti per ritenere sussistente il presupposto del

del trattamento alternativo richiesto, la finalità dell’emenda con esso
perseguibile, l’esistenza di un serio processo di revisione della condotta deviante
e la concreta praticabilità del beneficio stesso, secondo i principi generali che
presiedono alla concessione dei benefici penitenziari.

4. Il ricorso, destituito di fondamento, deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ìI ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2013

proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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