Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38722 del 06/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 38722 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
REDI LEDA N. IL 26/03/1943
avverso la sentenza n. 1858/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
17/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MIRELLA
CERVADORO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 06/06/2014

Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dr.Piero Gaeta , il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

OSSERVA

Con sentenza in data 17.10.2013, la Corte d’Appello di Genova rigettava

sentenza del Tribunale di Arezzo con la quale la stessa è stato condannata
per il reato di appropriazione indebita, rilevando che le prove dedotte dalla
difesa non sono nuove, e che comunque le stesse non hanno certamente
carattere decisivo.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione la condannata, deducendo
la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione ex art.606 lett. e) c.p.p. in relazione all’art.630
lett.c c.p.p., avendo la Corte errato nel non considerare “nuova prova” la
testimonianza di Do Rosario, atteso che la testimonianza della medesima non
è mai stata acquisita agli atti, in quanto a causa della sua irreperibilità essa
non fu sentita neanche nel corso delle indagini preliminari. La prova è poi
rilevante, ed idonea a determinare il proscioglimento della Redi.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1.La difesa della Redi ha richiesto la revisione della sentenza di
condanna ex art.630 lett.c) c.p.p, deducendo la possibilità di assumere la
testimonianza della Do Rosaria, ammessa dal giudice ma non escussa a
cagione della sua irreperibilità; infatti, la Do avrebbe reso testimonianza in
una successiva causa civile, nel corso della quale avrebbe riconosciuto di
avere sottoscritto l’impegno a restituire o a pagare i gioielli ricevuti in visione
dalla Pellegrini per un’ora. La prova in quanto ammessa ma non acquisita
nel precedente giudizio va considerata “nuova”, e sarebbe tale da portare al

l’istanza di revisione proposta nell’interesse di Redi Leda nei confronti della

proscioglimento della condannata, in quanto con l’accordo in questione la Do
avrebbe assunto su di sé un’obbligazione alternativa.
2. Nell’atto di ricorso, con l’unico motivo dedotto, la Redi censura la
sentenza in relazione al fatto che non ha considerato “nuova” la prova
addotta, ma nulla dice circa la rilevanza di tale prova in relazione alle altre
prove già acquisite; il motivo, oltre che manifestamente infondato è pertanto
privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591

lett. c) c.p.p.
3. Quando la richiesta di revisione è fondata sull’asserita esistenza di
una prova nuova, il giudice deve valutare non solo l’affidabilità della stessa,
ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto già acquisito in sede
di cognizione e deve stabilire se i nuovi elementi offerti siano in concreto
idonei ad incidere, in senso favorevole alla prospettazione dell’istante, sulla
valutazione delle prove a suo tempo raccolte. I criteri di ragione in base ai
quali svolgere valutazioni di affidabilità, persuasività e congruenza della
fonte di prova postulano la comparazione delle nuove prove con quelle su
cui si fonda la condanna irrevocabile, di cui occorre, quindi, identificare il
tessuto logico-giuridico (cfr.Cass.Sez.I, Sent. n. 29486/2008 Rv. 242331).
4. Premesso che la valutazione in ordine alla rilevanza della prova si
sottrae alla censura in sede di legittimità allorché la stessa abbia formato
oggetto di motivazione adeguata ed immune da vizi logici, rileva il Collegio
che, in sede di revisione, il diritto alla prova deve essere interpretato nei
limiti delle ragioni proprie del processo revisionale, per cui, ove le “nuove
prove” risultano inidonee ad inficiare l’accertamento del fatto fondato sulle
prove già acquisite nel precedente giudizio, il giudice della revisione è
legittimato a non ammetterle ed a dichiarare inammissibile o rigettare la
richiesta (in tal senso, v.Cass. Sez.III, Sent.n. 20467/2007, Rv. 236673).
5. Nel caso, in esame, la Corte territoriale non ha ammesso ed espletato
la prova richiesta dall’istante, sulla base di una valutazione non solo sulla
pretesa novità della prova ma anche e soprattutto per l’ irrilevanza della
prova stessa. Quindi, indipendentemente dal carattere di novità (comunque
escluso) degli elementi introdotti dall’istante, la Corte ha affermato che
2

stessi non sono tali da elidere quelli posti a fondamento della decisione di
condanna, argomentando compiutamente sul punto e facendo, pertanto,
corretta applicazione dei criteri ermeneutici indicati da questa Corte.
La Corte d’appello, in osservanza dell’obbligo generale stabilito dall’art.
125 c.p.p., comma 3, ha quindi fornito una sia pur sintetica giustificazione
logica, dimostrando di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua

dedotte, alla luce di quelle già valutate nel giudizio di cognizione, inidonee a
smentire il quadro probatorio su cui si è basata la sentenza di condanna.
Infatti, la circostanza che la Do dovrebbe confermare (ovvero di aver ricevuto
in visione i gioielli dalla vittima e di aver assunto l’obbligo di restituirli o di
pagarli dopo un’ora) è circostanza “pacifica: essa è acquisita al processo
attraverso le altre testimonianze assunte…I gioielli sono stati consegnati
dalla vittima alla Do Rosaria, che si è assunta l’impegno, tuttavia la Redi è
stata condannata per averli trattenuti, una volta saputo che erano della
Pellegrini. Su questa circostanza la Do, stando al ricorso, non avrebbe nulla
da aggiungere” (v.pag.2 della sentenza impugnata).
Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le
censure della ricorrente (che sul punto muove solo rilievi generici, basati
essenzialmente sulla circostanza che il Tribunale in sentenza aveva
affermato che il processo scontava – con la mancata escussione della Do l’assenza di un tassello sicuramente importante) non valgono minimamente
a scalfire.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la ricorrente che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

decisione ed ha indicato i motivi per i quali ha ritenuto le prove nuove

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 6.6.2014.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA