Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38712 del 23/01/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38712 Anno 2013
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VILLIRILLO GIUSEPPE N. IL 10/07/1952
avverso l’ordinanza n. 22/2012 TRIBUNALE di CROTONE, del
17/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. E ti\ ,
la.:

Uditi difensor Avv.;

LA i

Data Udienza: 23/01/2013

RILEVATO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Crotone in data 16.2.2009, confermata dalla Corte d’appello di
Catanzaro con sentenza in data 25.11.2010 e divenuta definitiva a seguito della sentenza in
data 30.11.2011 della Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso,
VILLIRILLO GIUSEPPE è stato condannato alla pena di anni 2, mesi 8 di reclusione ed euro
668,00 di multa per il delitto di ricettazione, con l’aggravante della recidiva reiterata.
Il Pubblico Ministero non ha sospeso la pena ex art. 656 c.p.p., causa la suddetta recidiva, ed
ha emesso ordine di carcerazione.

della commissione del reato di ricettazione (22.8.1997) non aveva riportato alcuna condanna
definitiva, e quindi per errore era stata ritenuta sussistente la recidiva; ha chiesto la
sospensione dell’ordine di carcerazione, al fine di poter chiedere al Tribunale di sorveglianza
una misura alternativa alla detenzione in carcere, ed ha inoltre chiesto una dichiarazione di
ineseguibilità (per prescrizione del reato) o rideterminazione della pena inflitta, tenuto conto
della insussistenza della recidiva.
Il Tribunale di Crotone, in veste di giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 17.4.2012, ha
accolto l’istanza di sospensione, ordinando l’immediata scarcerazione del Villirillo, dopo aver
accertato che alla data della commissione del reato di ricettazione non era stata emessa alcuna
condanna penale definitiva a carico del predetto.
Non ha, invece, accolto la seconda richiesta, ritenendo che fosse insuperabile l’intervenuto
giudicato, non potendosi definire illegale la pena inflitta, in quanto per specie e quantità
rientrava nei limiti di legge previsti per il delitto di ricettazione.
Nella sentenza di primo grado, peraltro, era contenuta la giustificazione dell’aumento per la
recidiva con la frase: “tenuto conto della contestata recidiva ai sensi dell’art. 99 c.p., nella
vecchia formulazione più favorevole all’imputato”.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l’annullamento, nella parte in cui rigettava la richiesta di ineseguibilità o rideterminazione della

Il Villirillo, tramite il difensore, ha sollevato incidente di esecuzione, sostenendo che all’epoca

pena, per erronea applicazione dell’art. 99 c.p. e manifesta illogicità della motivazione.
Il giudice di primo grado aveva determinato la pena di anni due e mesi 8 di reclusione senza
specificare quale fosse la pena base e quale aumento fosse stato apportato per la recidiva.
Nessuna indicazione sull’aumento operato per la recidiva poteva trarsi dalla motivazione della
sentenza d’appello, in quanto nella stessa non vi era alcun riferimento alla recidiva.
La questione sulla sussistenza della recidiva, sollevata davanti alla Corte di cassazione, era
stata dichiarata inammissibile perché non era stata proposta al giudice di secondo grado.
Il giudice dell’esecuzione aveva riconosciuto che, alla data del commesso reato, il Villirillo non
aveva riportato alcuna condanna definitiva, e quindi non poteva essere considerato recidivo,
ma aveva ritenuto che all’errore commesso nel corso del giudizio di cognizione non potesse
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porsi rimedio in sede di esecuzione, in quanto la pena inflitta non poteva essere considerata
illegale.
Secondo il ricorrente, nel caso di specie almeno parte della pena doveva essere ritenuta
illegale, perché la recidiva era stata ritenuta sussistente in base ad un errore macroscopico al
quale non era stata data alcuna giustificazione con un percorso motivazionale, seppure
discutibile.
Si doveva anche considerare che, esclusa la recidiva perché mancavano i presupposti di legge
per applicarla, il reato era prescritto, in quanto il termine massimo della prescrizione era

d’appello.
Pertanto il giudice dell’esecuzione, anche escludendo la declaratoria di ineseguibilità della
pena, avrebbe dovuto quanto meno individuare o determinare la porzione di pena
corrispondente all’aumento di pena per la recidiva, dichiarando detto aumento non eseguibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha sempre ammesso che, anche in sede di esecuzione,
possa essere rilevata l’illegittimità della pena, ma solo quando la stessa sia una pena non
prevista dall’ordinamento giuridico oppure eccedente per specie e quantità il limite legale, dato
che il principio di legalità della pena, enunciato dall’art. 1 cod. pen. ed implicitamente dall’art.
25, secondo comma, Cost. informa di sè tutto il sistema penale e non può ritenersi operante
solo in sede di cognizione. Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene
pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di legge, anche se
inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione ordinaria, possa avere esecuzione,
essendo avulsa da una pretesa punitiva dello Stato (V. Sez. 5 sentenza n. 809 del 29.4.1985,
Rv. 169333).
Si deve precisare, però, che si è di fronte ad una pena illegale solo nei limiti sopra indicati, con
riferimento al reato per il quale è stata pronunciata condanna ed alla pena inflitta per detto
reato, così come indicata nel dispositivo della sentenza, mentre non può essere riconsiderato in
sede esecutiva il calcolo attraverso il quale il giudice è pervenuto a determinare la pena (a
meno che non sia frutto di un errore macroscopico, senza che vi sia stata una qualche
valutazione sul punto da parte del giudicante – cfr. Sez. 1 sentenza n. 12453 del 3.3.2009, Rv.
243742), essendo detto calcolo modificabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione
della sentenza.
Il calcolo con il quale il Tribunale di Crotone ha inflitto per il delitto di ricettazione la pena di
anni 2, mesi 8 di reclusione ed euro 668,00 di multa è errato, poiché dalla motivazione si
evince che è stato apportato un aumento di pena per la contestata recidiva, nonostante
l’insussistenza della predetta aggravante, essendo l’imputato ancora incensurato all’epoca in
cui aveva commesso il reato di ricettazione.
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maturato per la ricettazione non aggravata il 22.8.2009, prima della pronuncia della sentenza

Tuttavia la pena inflitta per il reato di cui all’art. 648 c.p. rientra per specie e quantità nei limiti
della pena edittalmente prevista per il suddetto reato, e quindi non può essere considerata
pena illegale.
Il giudice, inoltre, pur con un ragionamento non corretto, ha ritenuto sussistente la recidiva
(sulla base di condanne riportate dall’imputato dopo la commissione del delitto di ricettazione)
ed ha precisato che l’aumento di pena per detta aggravante doveva essere calcolato secondo
la normativa previgente, più favorevole all’imputato.
E’ quindi evidente che l’errore del giudice, frutto di un ragionamento sbagliato, doveva essere

sentenza, non essendo illegale, per specie e quantità, la pena inflitta per il delitto di
ricettazione.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 23 gennaio 2013
Il Consigliere estensore

Il Pr sidente

denunciato con i motivi d’appello e non è più rilevabile dopo il passaggio in giudicato della

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