Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38707 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38707 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZOCCO GIUSEPPE N. IL 25/09/1976
avverso l’ordinanza n. 1394/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
18/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lotte/sentite le conclusioni del PG Dott.1—–1,, ce,3co

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Uditi difensor Avv.;

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(ca.co efi-C.

Data Udienza: 11/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in esito all’udienza camerale celebratasi in data 18.9.2012, il
Tribunale del Riesame di Catania annullava, limitatamente al reato di associazione per delinquere
finalizzato ad organizzare e controllare la gestione dell’immigrazione clandestina di cittadini
extracomunitari verso l’Italia ed altri paesi europei (capo A della rubrica), il provvedimento
applicativo della custodia cautelare in carcere, emesso il 20.8.2012 dal locale G.I.P. nei confronti di
ZOCCO Giuseppe, che confermava in relazione al residuo reato di favoreggiamento

d), 3-bis, 3-ter lett. b) D.L.vo n. 286/98: capo B).
1.1. Le indagini culminate nel fermo dello ZOCCO avevano preso avvio dall’ascolto di
conversazioni intercettate, nell’ambito di altro procedimento penale pendente presso la Procura
della Repubblica di Modica per traffico di stupefacenti e rapine, sull’utenza telefonica in uso allo
stesso indagato, conversazioni che avevano, poi, giustificato l’intercettazione dell’utenza in uso ai
coindagati ANGILERI Donato e SAIDANI Mohamed, nonché la captazione delle conversazioni tra
presenti all’interno dell’autovettura nella disponibilità dell’ANGILERI.
Dai dialoghi intercettati emergeva con chiarezza l’interessamento dei due italiani e di alcuni
soggetti di origine extracomunitaria, poi identificati in KRIFA Mohamed e BOURBIA Mohamed,
interlocutori telefonici del SAIDANI, ad uno sbarco di clandestini programmato per i primi giorni di
agosto 2012.
L’esplicito contenuto delle conversazioni registrate nel corso della serata del 6.8.2012
permetteva ai militari della Capitaneria di Porto di predisporre un’articolata attività di osservazione
delle spiagge di Ispica e Pozzallo a partire dalle ore 21 mediante ausilio di elicotteri e natanti, uno
dei quali, quello della Guardia di Finanza di Messina, aveva il compito di monitorare a distanza
l’imbarcazione con i clandestini a bordo.
Così, alle ore 4.25 del 7.8.2012, all’interno delle acque territoriali, veniva fermato il barcone
carico di migranti, che veniva condotto dai militari al porto di Pozzallo.
Due dei 57 di costoro, identificati in Amir Yousif Alim e Chnouda Ayed Abd Seyd Krollos
Ferjani Helmi, sentiti quali indagati del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato, rendevano
informazioni utili sulle modalità del viaggio, riconoscendo in fotografia i componenti dell’equipaggio.
In esito alle perquisizioni donniciliari contestualmente effettuate, venivano rinvenute nella
disponibilità degli indagati le schede telefoniche utilizzate nelle conversazioni intercettate, mentre,
in esito a perquisizione dell’autovettura in uso allo ZOCCO, venivano rinvenuti 10 filoni di pane e 24
bottiglie d’acqua della capacità di due litri; infine, la perquisizione eseguita nella casa di campagna
dell’ANGILERI, portava al rinvenimento di materassi e tappetini destinati a fungere da giaciglio per i
clandestini.
In base alle circostanze oggettivamente accertate dagli operanti di P.G., alle intercettazioni
svolte e alle concordi dichiarazioni rese dai due menzionati indagati di reato connesso, i Giudici del
riesame ravvisavano a carico dello ZOCCO, in sintonia con il G.I.P., i gravi indizi di colpevolezza del
reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato.

1

dell’immigrazione clandestina aggravato in concorso (artt. 110 c.p. e 12 commi 1, 3 lett. a), b), c) e

In

particolare,

l’indagato,

insieme

all’ANGILERI,

risultava

essersi

occupato

dell’organizzazione delle fasi immediatamente successive all’arrivo in terraferma dei clandestini,
ovvero del trasferimento degli stessi a bordo di furgoni dalla spiaggia alla casa di campagna dove
avrebbero dovuto nascondersi, di sistemare il loro ricovero, di acquistare il cibo da offrire ai
clandestini, poi rinvenuto nel bagagliaio della vettura a lui in uso.
Escludevano, viceversa, i Giudici la configurabilità del reato associativo contestato al capo
A), in assenza di un patto stabile fra i coindagati volto alla commissione di una pluralità di delitti.
1.2. Dalla gravità del delitto di favoreggiamento di cui al capo B) e dalla caratura criminale

Collegio del riesame desumeva la sussistenza del rischio di recidiva, fronteggiabile solo con la
misura di massimo rigore.
2. Ha proposto ricorso per cassazione ZOCCO Giuseppe, per il tramite del suo difensore di
fiducia.
2.1. Con il primo motivo, deduce l’inutilizzabilità “delle intercettazioni in atti e di cui in
motivazione” sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
Il Tribunale del riesame aveva utilizzato gli esiti delle intercettazioni ambientali e telefoniche
non ponendosi la questione della loro legittima utilizzabilità procedurale.
Doveva, quindi, eccepirsi, con riferimento ai decreti autorizzativi:
– l’insussistenza dei presupposti indiziari richiesti per l’inizio dell’attività captativa;
– la motivazione con clausole di stile dei provvedimenti di proroga;
– la carenza di motivazione relativa al presupposto dell’urgenza, giustificato con il mero
riferimento alla “gravità dei fatti”;
– la carenza di giustificazioni circa l’impiego di banchi di ascolto esterni alla Procura della
Repubblica;
– l’anomalo ricorso al criterio della motivazione

per relationem.

Quanto al primo punto, il G.I.P. non aveva fornito adeguata motivazione sulla sufficienza
degli indizi di reato e la necessità delle intercettazioni. D’altro canto, nel momento coincidente con
l’autorizzazione alle intercettazioni, non era emerso alcun elemento idoneo a far ritenere che fosse
in corso un’attività illecita, tanto meno in forma organizzata; successivamente, nessun indizio
autonomo rispetto a quelli acquisiti con l’attività di intercettazione era stata posto a fondamento
della richiesta di intercettazione.
Esaminando la struttura della motivazione dei provvedimenti, rileva il ricorrente come il P.M.
e il G.I.P. si fossero limitati a riportare pedissequamente nel decreto autorizzativo quanto riferito
nella richiesta degli organi investigativi, senza alcun vaglio critico degli elementi forniti dalle
indagini.
I decreti autorizzativi non avevano fornito adeguata motivazione in ordine all’urgenza e alla
indisponibilità degli impianti in dotazione all’Ufficio della Procura.
La semplice asserzione della “insufficienza di postazioni”, ripetitiva della formula legislativa,
contenuta nel decreto autorizzativo integrava una motivazione incompleta, rendendosi necessario
specificare le ragioni dell’insufficienza.

2

dello ZOCCO, già condannato per plurimi reati e sottoposto a ulteriori procedimenti in atto, il

Sotto altro profilo, il decreto del P.M. si era limitato a un riferimento del tutto apodittico alle
situazioni di urgenza, senza indicare i fatti che avrebbero legittimato una deroga al regime previsto
dalla legge.
2.2. Con il secondo motivo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al tema delle esigenze cautelari.
Il Tribunale non aveva adeguatamente considerato che l’esclusione del reato associativo
avrebbe dovuto giustificare l’applicazione di una misura gradata quale quella degli arresti

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce l’inutilizzabilità “delle intercettazioni in
atti e di cui in motivazione”, è inammissibile per genericità.
1.1. Va, in primo luogo, ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte
che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per
genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul
complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al
provvedimento impugnato (per tutte, Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv.
243416).
1.2. Ciò posto, questa Corte ha più volte affermato (e il Collegio condivide l’assunto) che,
con riferimento al divieto di utilizzazione del risultato delle intercettazioni eseguite fuori dai casi
preveduti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall’art. 267 c.p.p.
e art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, (art. 271 c.p.p., comma 1), il relativo motivo di ricorso può essere
esaminato solo a condizione che l’atto asseritamene inutilizzabile (o dal quale consegua
l’inutilizzabilità della prova) sia stato specificamente indicato e faccia parte del fascicolo trasmesso
al giudice di legittimità, atteso che – pur trattandosi di motivo di carattere processuale e, pertanto,
pur essendo alla Corte consentito di esaminare il fascicolo del procedimento – l’applicazione di tale
principio presuppone in concreto che da parte del ricorrente venga quantomeno indicato l’atto
viziato e che esso sia contenuto nel fascicolo: in difetto, il motivo è inammissibile per genericità,
non essendo consentito alla Corte di cassazione di individuare l’atto affetto dal vizio denunciato
(vedi, tra le più recenti, Sez. 2, Sentenza n. 44221 del 18/10/2013, Capizzi e altri, Rv. 257667;
Sez. 2, Sentenza n. 24925 dell’ 11/4/2013, Cavaliere e altri, Rv. 256540; Sez. 6, Sentenza n.
25254 del 24/1/2012, Alcaro e altri, Rv. 252895; Sez. 5, Sentenza n. 37694 del 15/7/2008, Rizzo,
Rv. 241300).
1.3. Nel caso in esame, il ricorrente muove censure che affasciano, indistintamente e
genericamente, “tutti” i decreti emessi – quelli adottati dal P.M. d’urgenza, quelli autorizzativi e
quelli di proroga del G.I.P. – senza, tuttavia, assolvere all’onere di allegarli al ricorso (che neppure
indica dove tali atti siano allocati).
1.4. Il motivo di ricorso non evidenzia, inoltre, la rilevanza degli elementi indiziari desumibili
dalle conversazioni intercettate con riferimento alla posizione specifica dell’indagato.

3

domiciliari, capace di soddisfare tutte le esigenze previste dall’art. 274 c.p.p..

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violazione di norma processuale o

un’erronea applicazione di legge penale in quanto da tale violazione o da tale errore di diritto derivi
un effettivo e reale pregiudizio per il ricorrente, che s’intende evitare attraverso il raggiungimento di
un risultato non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente e concretamente favorevole
(art. 568 c.p.p., comma 4).
Orbene, dall’ipotetica fondatezza delle censure del ricorrente non potrebbe derivare
l’annullamento del provvedimento impugnato se dal contenuto delle conversazioni intercettate non
emergessero elementi rilevanti ai fini del quadro accusatorio.

non viene offerto alcun elemento per ritenere che dall’utilizzazione delle conversazioni captate
deriverebbe un mutamento del quadro accusatorio tale da influire sulla valutazione circa la
sussistenza o meno di elementi per sostenere la responsabilità dell’indagato.
Ne consegue che la genericità di questo motivo di ricorso non consente al Collegio neppure
di apprezzare il concreto e attuale interesse del ricorrente.
1.5. Altro profilo di inammissibilità del primo motivo di ricorso discende dal carattere
onnicomprensivo della censura, relativa, cioè, in modo indistinto a tutto il materiale intercettativo,
dal momento che l’incolpazione a carico dello ZOCCO è fondata su elementi indiziari diversi e
ulteriori rispetto alle intercettazioni (esito delle perquisizioni con il rinvenimento di schede sim
corrispondenti alle utenze intercettate e di cibo e acqua da destinare ai clandestini immigrati) e la
genericità della formulazione della questione impedisce a questa Corte di effettuare la prova di
resistenza.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, a proposito della scelta della misura
cautelare adottata, sviluppa censure in punto di fatto, nonché meramente assertive.
3. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro
1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, 1’11 aprile 2014

Il Consigliere tensor

D E P ■t■ S I TATA

Il Presidente

Ma di tale contenuto conoscitivo la difesa ricorrente omette ogni indicazione e a questa Corte

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