Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38707 del 05/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38707 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROTONDI DAVIDE, nato il 03/11/1961
avverso l ‘ordinanza del 15/05/2012 e la sentenza del 28/05/2012 n.
20/2012 CORTE ASSISE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in pubblica udienza del 05/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Gabriele Mazzotta,
che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
udito l ‘Avvocato dello Stato Fabrizio Urbano Neri per la parte civile
Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha chiesto respingersi il
ricorso perché inammissibile e infondato, con condanna
dell ‘imputato alla rifusione delle spese del giudizio.
preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente.

Data Udienza: 05/03/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 maggio 2012 la Corte d’assise d’appello di Milano,
decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento parziale disposto da
questa Corte, sezione quinta penale, con sentenza del 21-23 febbraio 2012, ha
parzialmente riformato la sentenza della Corte d’assise di Milano in data 13
giugno 2009 (così corretta con ordinanza del 29 maggio 2012 della stessa Corte

24 giugno 2010″), emessa nei confronti degli imputati Bortolato Davide, Caprio
Amarilli, Davanzo Alfredo, Gaeta Massimiliano, Ghirardi Bruno, Latino Claudio,
Mazzamauro Alfredo, Rotondi Davide, Scantamburlo Andrea, Scivoli Salvatore,
Sisi Vincenzo e Toschi Massimiliano, e in particolare ha assolto Scivoli Salvatore
dal delitto a lui contestato al capo B) (di cui agli artt. 110, 306, commi 1, 2 e 3,
cod. pen., in relazione all’art. 270-bis cod. pen.), perché il fatto non costituisce
reato; ha riqualificato la condotta associativa contestata agli altri imputati al
capo A) come banda armata finalizzata alla commissione del delitto di cui all’art.
270 cod. pen.; ha escluso l’aggravante di cui all’art. 1 legge n. 15 del 1980
contestata in relazione ai restanti capi di imputazione; ha rideterminato le pene
inflitte a ciascuno degli imputati, escluso Scivoli; ha sostituito la pena accessoria
inflitta a Gaeta e a Toschi con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; ha
revocato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni nei
confronti di Caprio, Mazzamauro, Rotondi e Scantamburlo, e ha confermato le
statuizioni civili in favore della parte civile Pietro Ichino, mentre ha ridotto ad
euro 400.000,00 l’importo liquidato in favore della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, costituita parte civile per il tramite dell’Avvocatura dello Stato.

2. Con la indicata sentenza del 21-23 febbraio 2012 questa Corte aveva
demandato al giudice di rinvio, per quanto qui interessa, di stabilire la corretta
qualificazione dei fatti (delitto ex art. 270 cod. pen. o ex art. 270-bis cod. pen.)
cui era preordinata la banda armata contestata al capo A) delle imputazioni, la
cui sussistenza era stata accertata dai giudici del merito con motivazione ritenuta
rigorosa e analitica che aveva dato conto dell’esistenza di «una struttura
operativa, sufficientemente gerarchizzata al suo interno, ispirata da un ben
preciso credo politico, tesa alla realizzazione di un programma “rivoluzionario”
che prevedeva l’uso sistematico della violenza», e che, in vista del
conseguimento di tale obiettivo, «si era dotata di un considerevole quantitativo
di armi micidiali» (pag. 34).
Questa Corte aveva in particolare rilevato con diffuse argomentazioni, che,
dopo l’introduzione dell’art. 270-bis cod. pen., l’unica interpretazione che potesse
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l’indicazione contenuta nel dispositivo “Corte d’assise d’appello di Milano in data

giustificare il permanere nell’ordinamento dell’art. 270 cod. pen. era quella che
valorizzava la rilevanza della natura della violenza che caratterizzava il progetto
sovversivo della banda armata, «violenza generica nel caso dell’art. 270 c.p. e
violenza terroristica nel caso dell’art. 270-bis c.p.» (p. 42), e aveva rimarcato
che la violenza terroristica, che si intrecciava con la natura della violenza
teorizzata o realizzata dall’associazione, si connotava per la finalità terroristica
intesa come «un mezzo, o più correttamente, una strategia che si caratterizza
per l’uso indiscriminato o polidirezionale della violenza», che funge da

efferato», e che, anche rivolta

in incertam personam,

«diffonde il panico,

colpendo anche persone e beni non direttamente identificabili con l’avversario o
riferibili allo stesso, per imporre una soluzione che, in condizioni normali, non
avrebbe accettato » (p. 42).
2.1. Il nodo della esatta qualificazione giuridica del delitto di cui al capo A)
non era stato, tuttavia, compiutamente e correttamente sciolto in sede di merito,
poiché, ferma restando la imputazione di banda armata, si doveva chiarire se la
stessa fosse strumentale all’una o all’altra fattispecie delittuosa, accertando:
– se l’associazione di cui al capo A), avente iniziale denominazione PCPM partito comunista politico militare, che certamente aveva l’intenzione e la
capacità di esercitare la violenza, anche con l’uso di armi, avesse anche
«intenzione e possibilità di utilizzare metodi terroristici (nel senso dell’art. 270sexies) per conseguire il suo programma di eversione dell’ordine costituzionale»;
– se nei suoi programmi e nei suoi effettivi progetti rientrasse il «proposito
di intimidire indiscriminatamente la popolazione, l’intenzione di esercitare
costrizione sui poteri pubblici, la volontà di distruggere (o quantomeno di
destabilizzare) gli assetti istituzionali del nostro Paese»;
– che cosa si dovesse intendere per «propaganda armata che figura nelle
linee programmatiche del PCPM», e, in particolare, se essa dovesse essere
rivolta verso obiettivi di “elezione”, innestando magari meccanismi di
emulazione, oppure se a tutti i costi si volessero raggiungere determinati risultati
di destabilizzazione accettando anche il rischio di vittime collaterali, o se,
addirittura si volesse colpire indiscriminatamente la popolazione per suscitare
terrore, panico, insicurezza;

se la violenza programmata, pur integrando azioni violente con

riconoscibili finalità eversive, «sarebbe stata qualificata o meno da modalità
terroristiche».
2.2. Inoltre, in sede di rinvio, la Corte di merito, che doveva segnatamente
esaminare la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di concorso esterno,
di cui al capo B), contestato a Scivoli, doveva anche stabilire la configurabilità
della c.d. aggravante del terrorismo di cui all’art. 1 legge n. 15 del 1980 in

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t/

«strumento di pressione, da metodo di lotta, da modus operandi particolarmente

relazione ai reati per i quali era stata contestata, poiché, essendo la violenza
terroristica entrata a far parte della struttura del delitto previsto dall’art. 270-bis
cod. pen., l’indicata aggravante era inapplicabile tanto a detta figura
incriminatrice, essendone elemento costitutivo, quanto al delitto di cui all’art.
270 cod. pen., integrando il quid plurís costituente la nota di specialità distintiva
dei due delitti, mentre poteva trovare pacificamente applicazione con riferimento
ai delitti-fine che si ponessero in relazione con il delitto associativo.
2.3. Questa Corte, che aveva annullato la sentenza impugnata anche con

danneggiata dal reato, in relazione all’accertamento del danno patito e al
rapporto causale tra lo stesso e la condotta degli imputati, e aveva rilevato che
l’entità del danno da risarcire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri poteva
essere rideterminata all’esito del nuovo giudizio di merito, aveva ritenuto
assorbite le ulteriori censure mosse dagli imputati e riguardanti il complessivo
trattamento sanzionatorio (omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e/o parametri commisurativi della pena) e il mancato riconoscimento
della continuazione chiesta dal ricorrente Ghirardi con i reati oggetto di
precedenti sentenze di condanna.

3. La Corte d’assise d’appello di Milano, a ragione della decisione assunta,
indicata sub 1), illustrava la vicenda giudiziaria, le decisioni di merito
intervenute, la pronuncia di legittimità e le questioni di diritto con la stessa
fissate ai sensi dell’art.627 cod. proc. pen.; rappresentava che, con ordinanze
allegate ai verbali di udienza del 15 e 22 maggio 2012, aveva esaminato le
censure relative alla nullità del decreto di citazione degli imputati perché da essa
spedito prima della ricezione della motivazione della sentenza di annullamento,
alle istanze di natura cautelare e a questioni afferenti l’assistenza difensiva degli
imputati Sisi e Davanzo, e adottava specifici provvedimenti con riguardo ai profili
sottoposti al suo nuovo esame.
3.1. Con riferimento alla qualificazione della condotta contestata al capo A),
la Corte di merito richiamava preliminarmente i principi fissati dalla sentenza di
annullamento in merito agli elementi qualificanti i delitti previsti rispettivamente
dagli artt. 270 e 270-bis cod. pen. e osservava che l’opera di «destabilizzazione
e/o distruzione dei fondamenti politico-costituzionali e/o socio-economici di uno
Stato», richiamata dall’art. 270-sexies cod. pen., era la sovversione o eversione
violenta di cui alla disposizione normativa contenuta nell’art. 270 cod. pen., che
descriveva la condotta come diretta ad attentare agli ordinamenti economici e
sociali dello Stato.
L’eversione, consistente nella volontà di destabilizzare e sovvertire con
metodo violento l’assetto dello Stato, rappresentava un obiettivo presente nella
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riguardo alla costituzione di parte civile di Pietro Ifichino, persona fisica

condotta descritta dall’art. 270 cod. pen., ma anche nella condotta descritta
dall’art. 270-bis cod. pen., comparendo anche nella sua rubrica.
La delimitazione concettuale tra i due reati andava, quindi, ravvisata, ad
avviso della Corte, in linea con il nucleo del principio di diritto consegnato al
giudice di rinvio per la sua concreta applicazione, nella natura della violenza che
si intendeva esercitare (terroristica o comune), da verificarsi attraverso l’analisi
del metodo e delle “modalità” con le quali gli attentati alle figure emblematiche
avrebbero dovuto essere portati ad esecuzione.
270-sexies

cod. pen.) e le modalità terroristiche – cioè quelle che « accettano il rischio di
vittime collaterali o che colpiscono indiscriminatamente la popolazione per
suscitare terrore, panico ed insicurezza» – che facevano trasmigrare la condotta
eversiva e sovversiva nella sfera ricoperta dall’art.

270-bis cod. pen. In tale

contesto, i progetti di attentato al prof. Ichino e al dirigente Schirone o il
danneggiamento allo “sportello Biagi” esprimevano l’essenza e la natura
sovversiva dell’associazione per delinquere in esame, trattandosi di azioni
violente con riconoscibili finalità eversive, dirette contro l’ordine costituzionale.
Con riferimento a dette azioni era, quindi, necessario compiere un duplice
accertamento al fine di stabilire, da un lato, se l’associazione, con metodo
terroristico, coltivasse nei suoi programmi e nei suoi effettivi progetti il proposito
di intimidire indiscriminatamente la popolazione, l’intenzione di esercitare
costrizione sui pubblici poteri, la volontà di distruggere (o quantomeno di
destabilizzare) gli assetti istituzionali del nostro Paese e, dall’altro, se la strategia
attuativa si caratterizzasse per il ricorso a modalità terroristiche per l’uso
indiscriminato e polidirezionale della violenza, rivolta anche

in incertam

personam, con accettazione degli “effetti collaterali” per ingenerare panico e
terrore.
3.2. Secondo la Corte del rinvio, dall’analisi della documentazione
sequestrata condotta in base a questi strumenti ermeneutici emergeva che sia la
«guerra popolare prolungata» (sullo sfondo del progetto rivoluzionario del
costituendo «partito politico militare») sia la «propaganda armata», volta a
diffondere il «messaggio rivoluzionario» e a spingere «le masse proletarie verso
una nuova consapevolezza di classe oppressa», pur evocando il ricorso ad azioni
collettive di violenza armata, individuavano un solo ostacolo alla conquista del
«potere del proletariato», ossia lo «Stato borghese da abbattere», e non
attribuivano alle azioni armate in incertam personam un valore funzionale al
perseguimento degli obiettivi della lotta, perché inidonee a creare
«organizzazione e coscienza rivoluzionaria nelle masse proletarie».
La Corte, che si soffermava a lungo nella trattazione di questi concetti,
considerava significativa espressione di quanto rilevato gli scritti (in particolare
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Erano, infatti, i metodi terroristici (nel senso indicato nell’art.

numeri O e 3 del foglio “Aurora”, stampati fra l’estate 2002 e la primavera 2006)
in cui, dopo l’arresto di Mario Galesi e Nadia Lioce, erano state poste le «distanze
politiche rispetto alle BR», all’interno della cui teorizzazione venivano individuati
elementi di «sconnessione e di sfasamento».
In tali fogli divulgativi di propaganda, che pure esaltavano la violenza, non
vi era tuttavia alcun accenno ad azioni violente contro persone o beni non
direttamente identificabili con l’avversario o riferibili allo stesso o a operazioni
concepite per ingenerare panico o terrore e produttive di «effetti collaterali».

associazione per delinquere (quali l’attentato contro il palazzo dell’Eni in S.
Donato Milanese, quello allo sportello “Marco Biagi” di via Savona a Milano,
l’attentato incendiario contro il grande magazzino “Delcom”, l’attentato a Vito
Schirone, dirigente della “Breda”, quello alla sede del quotidiano “Libero”) non
evidenziava, pur mettendo in luce la natura del metodo violento, che gli associati
intendevano imprimere ai loro attentati eversivi l’ideazione di azioni
caratterizzate dall’uso indiscriminato o polidirezionale della violenza e volte a
diffondere il panico, il terrore e un diffuso senso di insicurezza della popolazione,
colpendo anche persone e beni diversi dall’obiettivo prescelto.
All’esito dell’accertamento condotto, la conclusione della Corte d’assise
d’appello era nel senso che, nelle teorizzazioni e nella progettazione degli
attentati concepiti dalla banda armata, pur ispirati da una visione eversiva e
sovversiva, non erano ravvisabili i tratti del metodo e delle modalità terroristiche
che tipizzavano la figura delittuosa di cui all’art. 270-bis cod. pen., ma i caratteri
di una violenza generica.
3.3. La Corte di merito riteneva preclusa ogni questione relativa alla
sussistenza della struttura associativa e alla partecipazione alla stessa degli
imputati, trattandosi di punti già decisi dalla Corte di Cassazione, ex art. 628,
comma 2, cod. proc. pen., e per effetto della regola della formazione progressiva
del giudicato, disattendendo, tra le altre, le censure proposte al riguardo dalla
difesa di Rotondi.
L’aggravante della finalità di terrorismo prevista dall’art. 1 legge n. 15 del
1980 veniva ritenuta inapplicabile sia al delitto di cui all’art. 270 cod. pen.,
perché, ove ritenuta sussistente, avrebbe integrato la fattispecie delittuosa
disciplinata dall’art. 270-bis cod. pen., invece non configurabile, sia ai reati
diversi da quelli contestati ai capi A) e B) in virtù della stretta connessione
finalistica posta tra il delitto di cui all’art. 270 cod. pen. e i c.d. reati-fine
mediante i quali l’associazione aveva dato concretezza al piano delittuoso.
La posizione di Scivoli Salvatore, ampiamente sviluppata, veniva definita con
la sua assoluzione in ordine al delitto di cui al capo B), per essere rimasta
indimostrata la consapevolezza del medesimo di fornire, con le sue condotte, un
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Anche l’esame degli attentati progettati dal gruppo eversivo costituitosi in

apporto alla struttura associativa ed eversiva come qualificata ai sensi dell’art.
270 cod. pen.
3.4. Era ritenuta ammissibile la costituzione di parte civile di Pietro Ichino persona fisica danneggiata dal reato – considerato dall’associazione eversiva uno
degli obiettivi politici da colpire per il carattere simbolico del suo ruolo
dirigenziale presso l’Enav, assunto dopo l’assassinio, avvenuto il 20 maggio
1999, del giuslavorista Massimo D’Antona, che in precedenza lo ricopriva, e fatto
oggetto di minacce all’integrità fisica e limitato nella sua libertà di movimento e

conversazioni intercettate, che venivano richiamate, e il cui contenuto era stato
portato a conoscenza del predetto, sia pure in modo non dettagliato, e aveva
orientato le decisioni del competente organismo provinciale per l’ordine e la
sicurezza pubblica. Era, in particolare, ritenuto sussistente e risarcibile il danno
non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona
riconosciuti dalla Costituzione, eziologicamente correlato alle attività eversive
degli imputati nella entità corrispondente a quella già ritenuta dal primo Giudice
(centomila euro), considerata congrua in relazione alla intensità della
compressione dei diritti fondamentali e della minaccia alla integrità fisica, nonché
alla durata delle attività eversive (riferite al periodo settembre 2006/giugno
2009 sulla base di circa tremila euro al mese).
La pretesa risarcitoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri (un milione
di euro) veniva ridimensionata (a quattrocentomila euro), escludendosi la
risarcibilità del danno materiale, non provato, e tenendosi conto dell’avvenuta
qualificazione ex art. 270 cod. pen. dei fatti cui era finalizzata la banda armata e
dei metodi e delle modalità caratterizzanti la stessa.
In ordine al trattamento sanzionatorio erano valorizzate la gravità delle
condotte poste in essere, il loro disvalore e l’intensità del dolo che le aveva
sorrette, rideterminandosi le pene in relazione alla operata riqualificazione del
reato più grave di cui al capo A), tenendosi conto del ruolo e della funzione
rivestita da ciascuno nell’associazione, come già definiti nei precedenti gradi di
giudizio, e riducendosi l’aumento per i reati ritenuti in continuazione anche in
relazione alla esclusa sussistenza dell’aggravante del terrorismo.
Quanto a Rotondi, in particolare, chiamato a rispondere quale partecipe del
solo reato di cui al capo A), come riqualificato, la pena base per la banda armata
era fissata nel minimo edittale di anni tre di reclusione, con riduzione ad anni
due per le generiche, e con aumento di mesi due per il reato di cui all’art. 270
cod. pen. fino ad anni due e mesi due di reclusione.

4. I ricorsi per cassazione proposti avverso detta sentenza dal Procuratore
Generale presso la Corte d’appello di Milano e, tramite i rispettivi difensori di
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di locomozione e nella vita di relazione, alla luce delle emergenze delle

fiducia, dagli imputati Bortolato Davide, Caprio Amarilli, Davanzo Alfredo,
Ghirardi Bruno, Latino Claudio, Mazzamauro Alfredo, Scantamburlo Andrea, Sisi
Vincenzo e Toschi Massimiliano sono stati decisi da questa Corte con sentenza
n. 45002 dell’Il settembre 2012.
Con detta sentenza è stato, per quanto qui interessa, dichiarato
inammissibile il ricorso del Procuratore Generale che, con il primo motivo, aveva
contestato anche nei confronti di Rotondi Davide, per violazione di legge e vizio
di motivazione, la qualificazione dei reati perseguiti dalla banda armata

dell’aggravante prevista dall’art. 1 legge n. 15 del 1980 con riguardo alle
restanti imputazioni.

5. Con atto trasmesso a mezzo raccomandata del 17 settembre 2012,
pervenuto nella Cancelleria della Corte d’assise d’appello di Milano il 28
settembre 2012, Rotondi Davide ha proposto ricorso per cassazione avverso la
stessa sentenza d’appello del 28 maggio 2012, depositata I’ll giugno 2012 e
notificata il 2 luglio 2012, e contro l’ordinanza del 15 maggio 2012, che aveva
rigettato l’eccezione di nullità del decreto di citazione per violazione del
combinato disposto degli artt. 601 e 429 lett. a) cod. proc. pen. e l’eccezione di
incompetenza funzionale della Corte d’assise d’appello di Milano per violazione
dell’art. 625 cod. proc. pen. in relazione all’art. 178 lett. a) cod. proc. pen.,
chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e della sentenza con ogni conseguenza
di legge e, in ogni caso, la riduzione della pena al minimo edittale, articolando
due motivi.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, quanto alla ordinanza del 15
maggio 2012 impugnata con la sentenza, l’incompetenza funzionale della Corte
d’assise d’appello di Milano.
Secondo il ricorrente, che richiama le previsioni normative degli artt. 623 e
625 cod. proc. pen., che attengono rispettivamente all’annullamento con rinvio e
agli adempimenti successivi alla pronuncia, sussiste la nullità assoluta del
decreto di citazione per l’udienza del 15 maggio 2012 nel giudizio di appello,
svoltosi in sede di rinvio, rilevabile anche d’ufficio.
Detto decreto è stato, infatti, emesso da parte del Presidente della Seconda
Sezione della Corte d’assise d’appello di Milano in data 28 marzo 2012, ovvero
anteriormente al deposito, avvenuto il 2 aprile 2012, della sentenza pronunciata
il 23 febbraio 2012 dalla Quinta Sezione Penale di questa Corte, e quindi prima
di essere investito del procedimento, quale giudice di rinvio, con la trasmissione
degli atti del processo con la copia della sentenza, comprensiva necessariamente
della motivazione, costituente parte integrante del provvedimento deliberato, e
atto conclusivo della fase del giudizio.

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contestata al capo A) ai sensi dell’art. 270 cod. pen. e l’esclusione

In base all’art. 625, comma 1, cod. proc. pen., che fissa modalità tassative
di trasmissione del fascicolo, come già rilevato da questa Corte con sentenza n.
4050 del 2 novembre 2000 pronunciandosi in materia di competenza del giudice
di rinvio in tema di misure cautelari, gli atti devono restare presso la Corte di
Cassazione finché la sentenza non sia depositata, dovendo considerarsi pendente
il procedimento relativo al ricorso fino al compimento di detto atto processale,
mentre l’invio del solo dispositivo al giudice del rinvio non equivale a conclusione
della fase processuale, salva l’ipotesi di motivazione contestuale, nel caso di

Né, ad avviso del ricorrente, rileva il riferimento all’art. 615, comma 1, cod.
proc. pen., contenuto nell’ordinanza del 15 maggio 2012, in quanto la
pubblicazione e il deposito delle sentenze assolvono a finalità diverse: la prima
conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra la decisione
definitiva non più modificabile, mentre il secondo serve a mettere l’atto a
disposizione delle parti e segnare i tempi della impugnazione o di altre
determinazioni di ordine processuale.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, quanto alla sentenza,
inosservanza o erronea applicazione della legge penale, e più in particolare
dell’art. 270 cod. pen., e mancanza assoluta e manifesta illogicità della
motivazione.
Secondo il ricorrente, la Corte ritenendo di non entrare nel merito della
prospettata insussistenza dell’associazione eversiva e della sua partecipazione
alla fattispecie delittuosa, perché già esplicitamente sancita in sede di legittimità,
è incorsa nei vizi denunciati, poiché:
– esso ricorrente fino alla pronuncia della sentenza di annullamento parziale
del 23 febbraio 2012 è rimasto imputato del delitto di cui all’art. 270-bis cod.
pen.;
– tale articolo, che si differenzia dall’art. 270 cod. pen. perché richiede la
violenza terroristica, configura una ipotesi diversa di reato, a ciò conseguendo
che, esclusa la sussistenza della ipotesi delittuosa contestata ai sensi dell’art.
270-bis cod. pen, doveva necessariamente essere verificata la sussistenza degli
elementi costitutivi del ritenuto reato di cui all’art. 270 cod. pen.;
– non poteva, quindi, configurarsi un giudicato per una ipotesi delittuosa mai
contestata, mentre la sola diversa qualificazione del fatto-reato avrebbe dovuto
comportare la pronuncia di sentenza di annullamento senza rinvio con definizione
dell’intero giudizio;
– la Corte di merito, escludendo il compimento di atti di violenza con finalità
di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, doveva verificare se vi
erano atti o fatti diretti e idonei a integrare la fattispecie ritenuta, in relazione

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specie non ricorrente.

alla loro adeguatezza causale e alla loro attitudine a creare situazione di pericolo
del bene tutelato;
– i fatti emergenti dal carteggio processuale (abbozzato danneggiamento del
palazzo dell’ENI, prospettato danneggiamento dello “sportello Marco Biagi”,
progetto in fieri di danneggiamento del grande magazzino Delcom, progettazione
di un attentato al dirigente della Breda, prospettato danneggiamento della sede
del giornale Libero, e il discusso e mai progettato attentato al professore Ichino)
non potevano ritenersi idonei a mettere in pericolo gli ordinamenti economici e

5.3. Secondo il ricorrente, la sentenza ha anche omesso di motivare in
ordine all’aumento applicato per la continuazione e alla sua entità, all’evidenza
eccessiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. Quanto al primo motivo, che attiene alla dedotta nullità della ordinanza
del 15 maggio 2012, resa nel giudizio di appello in sede di rinvio e impugnata
unitamente alla sentenza conclusiva del medesimo, si rileva che questa Corte ha
già affermato che non viola i diritti difensivi dell’imputato la fissazione
dell’udienza del giudizio di rinvio sulla base del solo estratto del dispositivo della
sentenza di annullamento, letto e depositato nella cancelleria di questa Corte e
trasmesso al giudice di merito (Sez. 1, n. 45002 del 11/09/2012, dep.
19/11/2012, P.G. in proc. Bortolato e altri).
2.1. Tale principio, che il Collegio condivide e riafferma, è in linea con i
principi affermati dalle sezioni unite di questa Corte sul tema della scindibilità
temporale tra il momento deliberativo della decisione, attestato dal dispositivo
letto in udienza, o, quanto alle procedure camerali, depositato immediatamente
in cancelleria e comunicato alle parti, e quello, eventualmente successivo, del
deposito del provvedimento completo di motivazione.
Si è al riguardo osservato, che il dispositivo «costituisce una realtà a sé
stante, diversa e dalla decisione e dalla motivazione» e avente «la sua
autonomia», potendo al suo deposito in cancelleria e alle immediate
comunicazioni di rito conseguire, anche prima che venga redatta la motivazione,
l’effetto di rendere certo agli interessati che, entro quel termine, la decisione è
intervenuta con un determinato, irreversibile contenuto, e di rendere possibili i
provvedimenti occorrenti (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, dep. 03/07/1996, Moni,
Rv. 205255-257), e si è rimarcato che dal contesto normativo emerge che il
dispositivo rappresenta un nucleo che «costituisce il contenuto e l’oggetto della

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sociali dello Stato né tantomeno a sopprimere l’ordinamento politico e giuridico.

manifestazione autoritativa» e «conferisce al provvedimento giuridica esistenza e
identità», rispetto al quale la motivazione, che consiste nelle ragioni che stanno
a fondamento della scelta enunciata nel dispositivo, ovvero operata nel
dispositivo, ancorché successiva al decisum, «non vale a spostare il momento
deliberativo dal tempo in cui esso risulta ormai collocato per l’avvenuto esercizio
della potestas iudicandi» (Sez. U, n. 11 del 25/03/1998, dep. 02/06/1998,
Manno e altro, Rv. 210607).
2.2. Di tali principi, affermati con riguardo alla specifica materia delle

possibilità e all’ammissibilità della scissione temporale fra l’autonomo momento
deliberativo, che si evidenzia nel dispositivo, il quale può essere depositato
immediatamente in cancelleria e comunicato agli interessati, e il successivo
deposito del provvedimento completo di motivazione che conclude il processo
formativo della decisione (Sez. U, n. 14451 del 27/03/2003, dep. 27/03/2003,
Previti, Rv. 223633, che ha applicato il principio in tema di rimessione del
processo), e con riguardo agli stessi si è evidenziata la coerenza della prassi
delle sezioni di questa Corte, alla cui stregua l’atto dell’immediato deposito in
cancelleria del solo dispositivo risulta attestato dal provvedimento sottoscritto
dal presidente del collegio sul ruolo d’udienza, sì che, qualora dalla decisione
debba conseguire l’esecuzione, possa trasmettersene l’estratto «senza ritardo»”
(artt. 15, comma 2, e 28 reg. es . cod. proc. pen.) al competente ufficio presso il
giudice di merito (Sez. U, n. 14451 del 27/03/2003, citata; Sez. 1, n. 45002 del
11/09/2012, citata), traendosi l’ulteriore corollario che il dispositivo
immediatamente compilato a margine del ruolo di udienza e sottoscritto dal
presidente prevale, in caso di difformità, rispetto a quello riprodotto nella parte
finale del provvedimento successivamente redatto e depositato (Sez. 1, n 25730
del 05/06/2008, dep. 25/06/2008, Ciulla, Rv 24042; Sez. 1. n. 10278 del
25/02/2010, dep. 15/03/2010, Attanasio, Rv. 246787), e introduce, qualora sia
stato disposto l’annullamento (totale o parziale) con rinvio, la nuova fase
processuale (Sez. 1, n. 45002 del 11/09/2012, citata).
2.3. In tale contesto si colloca la questione, cui questa Corte ha dato
coerente risposta positiva con il principio suindicato (sub 2 del “considerato in
diritto”), dei poteri spettanti al giudice competente alla celebrazione del giudizio
di rinvio, individuato con la sentenza di annullamento, quando al medesimo sia
pervenuto il solo estratto del dispositivo prima del deposito della relativa
motivazione. È, infatti, correlata all’intervento del momento deliberativo,
attestato dal dispositivo, l’emissione da parte del giudice del rinvio, già
individuato, del decreto di fissazione dell’udienza, il cui contenuto propulsivo e
strumentale alla celebrazione del giudizio di rinvio la rende espressione di un
potere neutro, esercitabile anche a prescindere dal deposito della motivazione,
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ordinanze de libertate, si è anche sottolineata la portata più generale riferita alla

invece necessario quando si deve procedere alla notifica del medesimo decreto,
che segna il dies a quo per la predisposizione, nelle forme e nei termini di legge,
della possibili iniziative difensive.
Nella specie, il Presidente della seconda sezione della Corte d’assise
d’appello, tabellarmente competente essendo stata annullata la sentenza della
prima sezione della stessa Corte, ha emesso il 28 marzo 2012 il decreto di
fissazione dell’udienza facendo espresso riferimento alla sentenza di questa
Corte del 23 febbraio 2012, che aveva annullato parzialmente e con rinvio la

2.4. Né il ricorrente, che si è limitato a dedurre l’anteriorità della emissione
del decreto di citazione a giudizio rispetto alla data del deposito della sentenza di
annullamento, avvenuto il 2 aprile 2012, ed evocare riferimenti al diverso
principio di diritto nella differente materia della competenza a provvedere in
materia di misure cautelari nella fase compresa tra la pronunzia di questa Corte
di annullamento con rinvio e la trasmissione degli atti (Sez. 6, n. 4050 del
02/11/2000, dep. 30/12/2000, Di Maio, Rv. 217747), ha opposto l’anteriorità
alla predetta data della notifica in suo favore dell’indicato decreto e ha dedotto
alcuna lesione dei suoi diritti di difesa e, comunque, indicato, anche in questa
sede, in relazione alla sua specifica posizione, quale concreto pregiudizio sia
derivato a un suo interesse protetto e rappresentato la sussistenza di un
interesse – concreto e attuale – alla prospettazione della eccepita inosservanza di
norme processuali (Sez. U, n. 19251 del 17/10/2006, dep. 09/03/2007,
Michaeler, Rv. 235698; Sez. 3, n. 8698 del 17/01/2008, dep. 27/02/2008,
Mancini, Rv. 238995; Sez. 1, n. 21054 del 04/03/2010, dep. 04/06/2010, Bruno
e altro, Rv. 247573).

3. Il secondo motivo attiene alla dedotta incorsa violazione di legge e al
denunciato vizio di motivazione per avere la Corte del giudizio di rinvio omesso
di svolgere alcuna considerazione in ordine alla contestata sussistenza della
fattispecie delittuosa di cui all’art. 270 cod. pen. e alla partecipazione a essa del
ricorrente, movendo dall’erroneo rilievo che la sentenza di annullamento di
questa Corte aveva esplicitamente e definitivamente sancito la sussistenza
dell’associazione eversiva e non individuando correttamente l’ambito del
devolutum, che imponeva, al contrario, di verificare – una volta venuta meno
l’ipotesi delittuosa originariamente contestata ai sensi dell’art. 270-bis cod. pen.
– se vi fossero atti o fatti idonei a integrare l’ipotesi delittuosa, mai contestata,
di cui all’art. 270 cod. pen. e a porre in pericolo il bene protetto da detta norma.
3.1. L’infondatezza del motivo consegue alla lettura della sentenza di
annullamento, il cui dispositivo deve essere letto e interpretato congiuntamente
alla motivazione che rappresenta un imprescindibile elemento di integrazione, in

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sentenza impugnata, introducendo la nuova fase processuale.

quanto concorre a illustrare e chiarire i termini del devolutum e a specificare i
capi e i punti su cui si è formato il giudicato (Sez. 6, n. 27318 del 14/05/2010,
dep. 14/07/2010, Ragosta, Rv. 251402; Sez. F, n. 45002 del 11/09/2012, dep.
19/11/2012, P.G. in proc. Bortolato e altri, Rv. 253835)
Tale sentenza, il cui dispositivo ha

previsto, per tutti gli imputati,

l’annullamento della sentenza impugnata «limitatamente ai capi A) e B), come
loro rispettivamente ascritti», ha chiarito in più parti della motivazione (in
particolare, pagg. 34-40, 43, 44, 45 ) e sinteticamente nella parte conclusiva

l’altro, «alla imputazione del capo B) (per Scivoli) e del capo A) (per tutti gli altri
imputati) per l’esigenza di nuovo esame in ordine alla corretta qualificazione
giuridica del fatto nei limiti sopra specificati».
3.2. Deve osservarsi in diritto che questa Corte ha precisato che, in
relazione allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere
una formazione non simultanea, ma progressiva, e «ciò può accadere sia quando
nel processo confluiscono più azioni penali, suscettibili di autonoma decisione, sia
quando il procedimento riguarda un solo reato attribuito a un solo soggetto,
perché anche in quest’ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risultante
di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi di
impugnazione» (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 16/01/1991, P.G. in proc.
Agnese, Rv. 186165). L’irrevocabilità della sentenza può essere, in tal modo, «il
risultato finale di un percorso frammentato, segnato da una pluralità di decisioni
cristallizzate su singoli punti in fasi e gradi diversi del processo, in
corrispondenza di una graduale e simmetrica riduzione della regiudicanda, fino a
quando questa, nella sua interezza, diventa irretrattabile e immutabile e
acquista, cioè, il crisma della irrevocabilità, essendo consumato il potere
decisorio del giudice della cognizione sull’oggetto del giudizio. È questo il
momento in cui la res iudicanda diventa res iudicata»

(Sez. U, n. 1 del

19/01/2000, dep. 28/06/2000, Tuzzolino A., Rv. 216239).
La cosa giudicata si forma, in particolare, sul capo della sentenza, che concretato da ogni singolo reato oggetto di imputazione, e coincidente con le
parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio sullo
stesso (accertamento della responsabilità e determinazione della pena) rappresenta l’atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche
separatamente, il contenuto di una sentenza, mentre il concetto di “punto della
decisione” ha una portata più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni
suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione
completa su un capo (quali l’accertamento del fatto, la sua attribuzione
all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la
colpevolezza, l’accertamento delle circostanze aggravanti e attenuanti e la
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(pag. 47) che il nuovo esame cui atteneva il disposto rinvio era riferito, tra

relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale
di essa), e può essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto
devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase
delle impugnazioni (Sez. U, n. 1 del 2000, Rv. 216239, citata).
3.3. È coerente con detti principi, che attengono alla formazione progressiva
del giudicato, e con la indicata specifica delimitazione del

devolutum

l’apprezzamento della Corte d’assise d’appello di Milano che, con la sentenza
impugnata in questa sede, ha ritenuto che l’oggetto del giudizio in relazione al

fatti eversivi cui era finalizzata la banda armata, e non il nuovo esame degli
elementi costitutivi dei reati associativi contestati o dei dati probatori fondanti la
responsabilità di ciascuno degli imputati.
In ordine a tali questioni, ampiamente affrontate dal precedente giudice
d’appello, è stato correttamente rilevato che ostava al nuovo esame il già
intervenuto parziale rigetto dei ricorsi degli imputati e specificamente
dell’odierno ricorrente (pag. 34 della sentenza d’appello e pag. 35 della sentenza
di annullamento), cui sono conseguite – alla luce dei richiamati principi di diritto
e della conseguita irrevocabilità della sentenza per le parti diverse da quelle
annullate e non necessariamente alle stesse connesse – la formazione del
giudicato quanto al delitto di banda armata di cui all’art. 306 cod. pen.,
contestato al capo A), e la preclusione alla valutazione dei fatti e delle
responsabilità quanto all’altra condotta associativa pure contestato al capo A),
oggetto di ulteriore esame limitatamente al punto della sua qualificazione
giuridica.

4. Del tutto infondato è il motivo attinente alla eccessività della pena riferita
nella esposizione del motivo all’aumento applicato per la continuazione e nelle
conclusioni alla pena della quale è chiesta la riduzione al minimo edittale.
L’applicazione della disciplina della continuazione ha, infatti, sotto il profilo
sostanziale, l’unico limite stabilito dall’art. 81 cod. pen., alla cui stregua la pena
prevista per il reato più grave può essere aumentata sino al triplo. La
determinazione della misura dell’aumento della pena per la continuazione, con
tale limite, e la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientrano nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale
assolve il suo compito, anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli
elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (tra le altre, Sez. 4, n. 41702 del
20/09/2004, dep. 26/10/2004, Nuciforo, Rv. 230278), ove non si discosti
eccessivamente dai limiti edittali (tra le altre, Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007,
dep. 03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008,

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capo A) delle imputazione riguardava solo la corretta qualificazione giuridica dei

dep. 15/09/2008, Bonarrigo e altri, Rv. 241189; Sez. 2, n. 36245 del
26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
Nella specie, il Giudice d’appello, in coerente applicazione di tali principi e
con motivazione esaustiva e logica, che si sottrarre alle generiche censure
mosse, ha richiamato i parametri di cui all’art. 133, comma 1, n. 1 e 2, cod.
pen., sia nella individuazione della pena base per il delitto di cui all’art. 306,
ritenuto più grave rispetto alla violazione dell’art. 270 cod. pen., sia nella
ponderazione dell’aumento per la continuazione per detto reato, e, richiamata la

della sua personalità, come descritte e risultanti nei precedenti gradi del giudizio,
ha determinato la pena base per la banda armata in misura pari al minimo
edittale di anni tre di reclusione, non ulteriormente discutibile e, ridotta detta
pena ad anni due per le già concesse attenuanti generiche, ha determinato nella
congrua misura di mesi due di reclusione l’aumento per l’art. 270 cod. pen.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente deve essere condannato anche alla rifusione delle spese
sostenute nel grado dalla costituita parte civile, Presidenza del Consiglio dei
Ministri, rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, che si liquidano nella somma
di euro 1.800,00 (milleottocento), oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile
rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, che liquida in euro 1.800,00, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 5 marzo 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

qualifica di partecipe rivestita dal ricorrente nell’associazione e la valutazione

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