Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38706 del 05/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38706 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRUNO GIUSEPPE, nato il 06/08/1978
avverso la sentenza n. 1991/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 02/11/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 05/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gabriele
Mazzotta, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente.

Data Udienza: 05/03/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 novembre 2011, la Corte d’appello di Palermo ha
confermato la sentenza del 7 aprile 2010, che aveva dichiarato Bruno Giuseppe
responsabile del delitto previsto dagli artt. 1 legge n. 895 del 1967 e 1 legge n.
110 del 1975 per avere introdotto nello Stato, senza licenza dell’Autorità, parti di
arma da guerra atte all’impiego, e in particolare la canna e il calcio di una

l’aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro mille di multa,
disponendo la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale sulla base delle risultanze del
verbale di sequestro in atti e della deposizione dibattimentale del teste D’Agata,
all’epoca dei fatti direttore della sezione doganale dell’aeroporto di Punta Raisi,
condivisa dalla Corte di merito, il 9 ottobre 1999 erano stati rinvenuti nel
bagaglio dell’imputato proveniente dagli Stati Uniti, nel corso del controllo
doganale, le parti di arma di cui alla imputazione, risultate dalla perizia balistica
in “perfetto stato di conservazione” e dotate di “piena attitudine all’impiego”.
1.1. Dette emergenze integravano gli estremi del delitto contestato, senza
che, secondo la Corte, potesse pervenirsi a diverse conclusioni alla luce della
deduzione difensiva dell’acquisto delle parti di arma come souvenir di viaggio,
ritenuta non credibile anche tenuto conto dei precedenti penali dell’imputato per
porto di armi, e alla luce dell’affermazione difensiva della loro denuncia
spontanea all’arrivo a Palermo, essendo, invece, risultato che l’indicazione delle
parti di arma era stata fatta dal medesimo quando gli era stato chiesto se avesse
qualcosa nel bagaglio da dichiarare.
Né aveva pregio l’assunto difensivo in merito alla necessità della verifica
della intervenuta denuncia negli Stati Uniti dell’acquisto dei pezzi della
mitraglietta, poiché rilevava la violazione da parte dell’imputato della normativa
italiana in materia di armi.
L’imputato, peraltro, non solo aveva richiamato per escludere la sua
responsabilità dichiarazioni (rese da Caruso e Giordano) non presenti agli atti del
fascicolo di primo grado, ma aveva dato una versione dei fatti inidonea per la
esclusione della sua responsabilità, avendo solo affermato di avere diciannove
anni e di volere mostrare ai “suoi” i pezzi dell’arma.
1.2. Era ritenuto anche infondato il motivo di appello concernente il diniego
delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo alla gravità del fatto e alla
pericolosità dell’imputato, resa evidente dai precedenti penali anche specifici.

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mitraglietta semiautomatica marca “Uzi” modello A-9 mm PARA IMI Israel, e

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, Bruno Giuseppe, che ne chiede l’annullamento sulla base di tre
motivi con i quali denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la carenza nella motivazione
dei necessari passaggi logici e delle argomentazioni indispensabili per rendere
comprensibile, verificabile e completo l’iter logico seguito, poiché la Corte ha
acriticamente condiviso le conclusioni della perizia balistica redatta da tale

stato di conservazione e l’efficienza dei pezzi sequestrati, senza indicare quale
fosse la funzionalità pratica e con quali pezzi potesse essere conseguita, dopo
che gli addetti alla Dogana avevano ritenuto i pezzi inservibili e inidonei ad
arrecare offesa, con conseguente irrilevanza della condotta.
2.2. Con il secondo motivo il vizio di motivazione è dedotto con riguardo
all’elemento psicologico del reato per carenza del dolo, sulla base del rilievo che
l’imputato, imbarcando i souvenir all’aeroporto di New York non ha incontrato
alcuna obiezione, e, giunto a Palermo, li ha spontaneamente dichiarati all’atto
del controllo doganale, mentre, se avesse voluto tenere una condotta illecita, li
avrebbe occultati e non autodenunciati, o se li sarebbe procurati in loco con i
comuni canali della malavita.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche, poiché, alla luce dei principi di diritto in materia, si doveva
considerare il fatto nelle sue componenti oggettive e soggettive, e tenere, in
particolare, conto della omissione di alcun artificio per occultare gli oggetti
indicati.

CONSIDERARTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2 Quanto ai primi due motivi che attengono all’affermazione della
responsabilità, deve premettersi in diritto che questa Corte ha più volte
affermato che la detenzione di parti di armi comporta l’obbligo di denuncia pur
quando esse, nel loro insieme, non riescano a comporre un’arma, poiché le
norme contenute nelle leggi n. 895 del 1967, n. 497 del 1974 e n. 110 del 1975
non pongono alcun problema di assemblaggio, ma fanno divieto di detenzione
illegale anche delle parti di armi, in qualunque misura, pur se esse non siano
sufficienti alla ricomposizione di un’arma intera (da ultimo, Sez. 1, n. 39090 del
24/06/2011, dep. 27/10/2011 Convertino, Rv. 251167).

Manetto Biagio, che, privo di competenza specifica, ha concluso per il perfetto

Integra, in particolare, gli estremi del reato di detenzione illegale di parte di
arma la detenzione abusiva della canna di un’arma da sparo, perché essa è da
qualificarsi come parte dell’arma stessa e non mero accessorio (tra le altre, Sez.
1, n.25047 del 09/02/2012, dep. 22/06/2012, P.G. in proc. Scotto, Rv. 253769;
Sez. 6, n. 2115 del 24/01/1995, dep. 28/02/1995, Ponente, Rv. 200559).
Possono, infatti, considerarsi “accessorio” solo le parti di mera rifinitura o di
ornamento che non abbiano alcun riflesso, diretto o indiretto, sul funzionamento

potenzialità, il raggio d’azione, la precisione nella mira, mentre costituiscono
“parte” di un’arma, di cui è vietata l’autonoma detenzione, quelle indispensabili
al funzionamento della stessa, quelle che contribuiscono a renderla più
pericolosa e quelle che, comunque, le conferiscono maggiore potenzialità,
precisione di tiro o rapidità di esplosione.
Ciò perché la ratio del divieto di autonoma detenzione di parti di arma non
denunziate va ravvisata nell’esigenza di impedire che, attraverso la
scomposizione e la separata detenzione, si possano eludere le disposizioni
concernenti l’arma nel suo complesso (Sez. 1, n. 17105 del 22/09/1989, dep.
06/12/1989, Piva, Rv. 182752).
2.1. Di tali principi la sentenza impugnata ha fatto esatta interpretazione e
corretta applicazione.
La Corte ha, infatti, ritenuto integrati gli estremi del delitto di cui all’art. 1
legge n. 895 del 1967 (come sostituito dall’art. 9 legge n. 497 del 1974), e
all’art. 1 legge n. 110 del 1975, rilevando con logiche argomentazioni, congrue ai
dati fattuali richiamati, che nel bagaglio dell’imputato, sottoposto a controllo
doganale, presso l’aeroporto di Punta Raisi, all’atto del rientro in Italia
proveniente dagli Stati Uniti, sono stati rinvenuti la canna e il calcio di una
mitraglietta semiautomatica, specificamente descritta, fabbricata dalla I.M.I.
Israel Military Industries, e che la perizia balistica, disposta dal Tribunale, ha
accertato che i pezzi di arma da guerra erano in perfetto stato di conservazione
ed erano dotati di piena attitudine all’impiego.
Né la Corte ha prescisso dal correlarsi con le osservazioni e deduzioni
difensive, coerentemente rimarcando la inverosimiglianza di quelle volte a
rappresentare le parti di arma come un ricordo di viaggio, alla luce dei
precedenti specifici dell’imputato; il contrasto di quelle riferite alla spontanea
denuncia del loro possesso al momento dell’atterraggio a Palermo con la
condotta tenuta dall’imputato, che le ha indicate solo quando è stato richiesto in
sede di controllo se avesse qualcosa nel bagaglio da dichiarare; la irrilevanza di
quelle riferite alla dedotta denuncia del loro acquisto alle autorità statunitensi a
fronte della incorsa violazione della normativa italiana in materia di armi; la
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o sulla pericolosità della arma stessa, nel senso che non ne aumentino la

genericità del richiamo alle dichiarazioni dei testi Caruso e Giordano, non
rinvenute agli atti, e la inidoneità della versione dei fatti resa dall’imputato a
escluderne la responsabilità.
2.2. Le ragioni argomentate della decisione, esenti da vizi logici e giuridici,
resistono alle censure svolte con il ricorso, che ripropongono, senza opporre una
diversa fondata analisi del quadro normativo, la tesi della inoffensività dei pezzi
di armi sequestrati, introducendo generiche critiche di merito alle risultanze della
perizia balistica e richiamando generici giudizi, attribuiti agli addetti alla Dogana,

rilettura degli elementi di conoscenza apportati ai giudici di merito dalle
risultanze acquisite e in una differente analisi ricostruttiva e valutativa della
vicenda, che, inerendo non ai possibili vizi del percorso formativo del
convincimento, ma agli aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità
nella valutazione degli elementi di prova e degli apprezzamenti di fatto, sono
estranee al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura
di legittimità.

3. Del tutto infondato è anche il terzo motivo che riguarda il trattamento
sanzionatorio nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti
generiche.
In conformità con i principi di diritto più volte affermati da questa Corte (da
ultimo, Sez. 1, n. 3356 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, P.G. in proc.
Biancofiore, Rv. 247959), la sentenza impugnata ha esplicitato, dopo le
determinazioni in punto responsabilità, le ragioni che giustificavano la scelta
giudiziale riconoscendo rilievo preponderante alla gravità del delitto e alla
spiccata pericolosità sociale dell’imputato, attestata dai precedenti penali
specifici e gravi, e considerando del tutto adeguata la pena come determinata in
misura corrispondente al minimo edittale.
A fronte di dette ragionevoli e corrette argomentazioni, il ricorrente oppone
censure che, prive di alcuna specificità nel riferimento alla necessaria valutazione
della effettiva “quantità del reato”, con richiami generici a precedenti
giurisprudenziali, sono invasive del merito nella parte in cui evocano la sua
condotta di immediata denuncia degli oggetti sequestrati, non artificiosamente
occultati, in contrapposizione argomentativa all’apprezzamento fattone in sede di
merito.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
A tale dichiarazione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di
elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di

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sulla inservibilità dei pezzi stessi, e tendono a impegnare questa Corte in una

inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro
1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2013

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