Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38686 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38686 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Mano Salvatore Gerardo, n. a Catania 1’8.3.63,
avverso l’ordinanza del 26.2-8.3.13 del Tribunale di Catania, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata
ordinanza limitatamente all’adeguatezza della misura e per il rigetto del ricorso
nel resto.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26.2-8.3.13 il Tribunale di Catania, sezione riesame,
confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2.2.13 dal GIP
dello stesso Tribunale nei confronti di Salvatore Gerardo Mano per concorso in
estorsione continuata (dal 2004 al 28.1.13) e pluriaggravata (anche ex art. 7 legge
n. 203/91 per l’utilizzo del metodo mafioso e per la finalità di agevolare
l’associazione di tipo mafioso denominata clan Santapaola — Ercolano), ai danni
dei titolari del Bar Napoleon sito nel quartiere Librino di Catania.

Data Udienza: 17/09/2013

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Ricorreva personalmente il Mano contro detta ordinanza, di cui chiedeva
l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:
a) inosservanza dell’art. 192 c.p.p. per avere sia il GIP che il Tribunale del
riesame omesso di valutare l’attendibilità intrinseca, oggettiva e soggettiva, dei
collaboratori Salvatore Torrente e Santo La Causa, limitandosi a sottolineare i
riscontri esterni del loro narrato e senza accertare che le loro dichiarazioni fossero

strumentalizzazione o di una mera concertazione; per altro, le dichiarazioni dei
collaboratori erano approssimative e, in particolare per il Torrente, non
coincidenti nelle due occasioni in cui era stato sentito; quanto al La Causa, egli
aveva riferito di circostanze apprese de relato e le sue dichiarazioni erano prive di
riscontri individualizzanti;
b) inutilizzabilità, per violazione dell’art. 63 co. 2° c.p.p., delle dichiarazioni dei
soggetti passivi Consoli e Patania, che una prima volta sentiti dalla polizia
giudiziaria avevano negato di essere stati sottoposti ad estorsione: pertanto,
poiché le loro prime dichiarazioni integravano il delitto di favoreggiamento ex art.
378 c.p., nel momento in cui avevano poi reso le — successive – dichiarazioni
accusatorie il Consoli e il Patania dovevano essere sentiti in qualità di persone
sottoposte ad indagini; poiché ciò non era avvenuto, la loro dichiarazioni erano
processualmente inutilizzabili;
c) insussistenza dell’aggravante dell’art. 7 d.l. n. 152/91 e inosservanza degli
artt. 292 e 275 c.p.p. perché l’impugnata ordinanza non aveva delineato quali
fossero state le modalità utilizzate per arrecare vantaggio all’organizzazione
mafiosa, né aveva chiarito in cosa fosse consistito il metodo mafioso; l’aggravante
in discorso era esclusa dalla stessa genesi della presunta estorsione (le parti offese
si erano rivolte a Raimondo Maugeri, che conoscevano come appartenente alla
famiglia Santapaola e che era stato da poco scarcerato), nonché dal fatto che
quando i due gestori del bar decisero di non pagare più la tangente non subirono
alcuna azione ritorsiva; ad escludere, infine, le massime esigenze cautelari
concorreva anche il decorso del tempo dal presunto reato, atteso che la stessa
impugnata ordinanza sottolineava che il contributo offerto dall’indagato risaliva
ad epoca anteriore al 2009; infine, in assenza di contestazioni in ordine al delitto
di cui all’art. 416 bis c.p. successive al periodo coperto dal giudicato (2003), il
Tribunale non avrebbe potuto parlare di presunzione di adeguatezza della custodia

state rese in modo indipendente e che non fossero, invece, il frutto di una

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cautelare intramuraria, ma avrebbe dovuto indicare ulteriori elementi da cui
desumere detta adeguatezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1 – Il motivo che precede sub a) è infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’impugnata ordinanza ha, con

dell’estorsione continuata è stata confermata dalle credibili dichiarazioni dei
collaboratori, dall’arresto in flagranza del correo Davide Enrico Finocchiaro,
dagli esiti delle indagini di p.g. (arricchite anche da riprese effettuate da apposite
telecamere installate all’interno del Bar Napoleon) e dalle due condanne definitive
riportate dal Marro per partecipazione ad associazione mafiosa.
Si tratta di rilievi che riscontrano le dichiarazioni delle persone offese (ancorché
non ve ne sia bisogno, non applicandosi in tal caso i canoni dei commi 2° e 3°
dell’art. 192 c.p.p.), che individuano specificamente il Mano come uno degli
autori dell’estorsione, collocandone nel tempo l’attiva partecipazione a più
riprese, insieme con altri indagati inseriti nel suddetto sodalizio mafioso, quanto
meno fino al 2009 (epoca in cui, avendo saputo della collaborazione del Torrente
con gli inquirenti, aveva intimato al Consoli e al Patania di non riferire alcunché
dell’estorsione in corso).
In breve, bastano per individuare gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’odierno ricorrente le dichiarazioni delle persone offese, rispetto alle quali
quelle provenienti dai collaboratori fungono da meri (per altro neppure necessari)
riscontri.
Per il resto, le argomentazioni svolte in ricorso sollecitano, in sostanza, solo una
terza lettura in punto di fatto delle risultanze processuali, così collocandosi
all’esterno dell’area di cui all’art. 606 co. 1° c.p.p.

2- Anche il motivo che precede sub b) è infondato.
Si consideri che, per configurarsi la sanzione dell’inutilizzabilità erga omnes ex
art. 63 co. 2° c.p.p. in riferimento alle dichiarazioni rese da una persona offesa,
deve sussistere un collegamento tra il reato a suo carico astrattamente ipotizzabile
e quello precedentemente commesso da altri in danno del dichiarante medesimo.

motivazione immune da vizi logico-giuridici, evidenziato che l’esistenza

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Orbene, questa Corte Suprema ha già avuto modo di precisare che
“l’inutilizzabilità nei confronti dei terzi prevista dall’art. 63 c.p.p. per le
dichiarazioni rilasciate da persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere
sentita in qualità di indagato o imputato è subordinata, in ogni caso, alla
condizione che il dichiarante sia colpito da indizi in ordine al medesimo reato
ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo”, con la conseguenza che

l’autore di una (anche solo tentata) estorsione (cfr. Cass. Sez. H n. 2539 del
5.5.2000, dep. 25.5.2000, Papa, CED-216299; cfr. nello stesso senso Cass. Sez.
III n. 18765 del 26.2.03, dep. 18.4.03; Cass. Sez. H n. 45566 del 21.10.09, dep.
26.11.09).
Ciò emerge altresì dalla sentenza Carpanelli delle Sezioni Unite (Cass. S.U.
9.10.96 n. 1282, dep. 13.2.97, Carpanelli, CED-206846), secondo cui “Le
dichiarazioni della persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita come
indagata o imputata sono inutilizzabili anche nei confronti dei terzi, sempre che
provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al
medesimo reato ovvero a reato connesso o collegato con quello attribuito al
terzo, per cui dette dichiarazioni egli avrebbe avuto il diritto di non rendere se
fosse stato sentito come indagato o imputato; restano invece al di fuori della
sanzione di inutilizzabilità comminata dall’art. 63 c.p.p., comma 2 le
dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non
connessi o collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano fin dall’inizio
indizi a suo carico, poiché rispetto a questi egli si trova in una posizione di
estraneità ed assume la veste di testimone”.

La motivazione di tale pronuncia (seguita da nutrita e conforme giurisprudenza
di questa S.C., rispetto alla quale non si ravvisa motivo di discostarsi) precisa che
le norme che disciplinano la posizione dell’imputato e del coimputato dello stesso
reato e dell’imputato di reato connesso o collegato attuano il principio del diritto
al silenzio.
L’art. 63 co. 2° c.p.p. rende operante tale diritto in un momento antecedente a
quello dell’assunzione formale della qualità di indagato od imputato, costituendo
in tal modo un fronte avanzato di tutela. L’incapacità a testimoniare di tali
soggetti (nonché la correlativa disciplina del loro esame con le garanzie difensive
e la facoltà di non sottoporvisi) riguarda l’intero contenuto dei temi oggetto di

devono ritenersi utilizzabili le dichiarazioni rese dal soggetto passivo contro

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esame, quindi sia ciò che attiene alla propria posizione, sia i fatti che riguardano il
terzo che assuma la veste di coimputato dello stesso reato o di imputato di reato
connesso o collegato.
Invero, taluno di questi soggetti, nel momento in cui rende dichiarazioni
accusatorie nei confronti degli altri che si trovano in una posizione processuale in
vario modo legata alla propria (concorso nel reato, attribuzione di reato connesso

l’interdipendenza tra il fatto proprio e quello altrui, possono coinvolgere la sua
responsabilità ed indurlo, anche per questo solo motivo, ad esercitare il diritto al
silenzio, che gli viene riconosciuto in virtù del principio nemo tenetur se detegere.
Ciò non si verifica nell’ipotesi in cui il soggetto sia imputato, nello stesso o in
altro processo, per un reato o per reati che non abbiano alcun legame processuale
con quelli per cui si procede, rispetto ai quali la posizione del dichiarante è di
totale estraneità ed indifferenza ed è, quindi, quella del testimone.
Da ciò discende che in tanto può intervenire il regime di inutilizzabilità assoluta
di cui all’art. 63 co. 2° c.p.p. in quanto le dichiarazioni provengano da persona a
carico della quale sussistevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso
o collegato attribuito al terzo, dichiarazioni che avrebbe avuto il diritto di non
rendere se fosse stato sentito come indagato od imputato.
Nel caso specifico del soggetto passivo di estorsione che dapprima neghi di
esserne vittima e, poi, ritratti la precedente dichiarazione accusando gli autori del
reato v., ex aliis, la già citata Cass. Sez. H n. 2539/2000, nonché Cass. Sez. VI n.
33836 del 13.5.08, dep. 25.8.08, che escludono l’inutilizzabilità assoluta di cui
all’art. 63 co. 2° c.p.p. delle dichiarazioni rese dal soggetto passivo del reato p. e
p. ex art. 629 c.p.
La stessa sentenza Carpanelli sopra ricordata conclude il discorso affermando
che la sanzione dell’inutilizzabilità ex art. 63 co. 2° c.p.p. deve essere mantenuta
entro limiti rigorosi, perché solo in quei limiti si può dire che essa sia dettata in
funzione deterrente rispetto alla prassi di sentire una persona senza le garanzie
dell’imputato o dell’indagato (al fine di poter continuare a svolgere indagini
informali, ignorando deliberatamente l’esistenza di indizi di reità a suo carico) e
che persegua lo scopo di evitare il pericolo di dichiarazioni compiacenti o
negoziate a carico di terzi. E ciò per l’evidente ragione che colui che ha la veste di
testimone in rapporto alle persone nei cui confronti rende dichiarazioni

o collegato), può riferire circostanze che, per l’intima connessione e

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accusatorie non ha bisogno di alcuna tutela difensiva e non può perciò diventare
oggetto di alcuna ipotetica strumentalizzazione da parte degli organi inquirenti.
Orbene, non è chi non veda come non possa rientrare sotto la previsione dell’art.
63 co. 2° c.p.p. la posizione del soggetto passivo del delitto di tentata estorsione
che dapprima neghi di esserne vittima, poi — ritrattando la precedente
dichiarazione — accusi l’autore del reato: in siffatta evenienza non si tratta di

eventuale favoreggiamento), né per reato connesso ex art. 12 c.p.p. a quello
attribuito ad altri; né fra i due reati vi è collegamento probatorio (l’estorsione non
è dimostrata dall’altrui favoreggiamento) né l’un reato è presupposto giuridico
dell’altro (possono coesistere l’uno indipendentemente dall’altro); si tratta solo di
due prove distinte ed autonome che – pur derivando contemporaneamente dalla
stessa fonte – non hanno alcuna influenza reciproca, posto che nessuna delle due
rafforza od inficia la valenza dell’altra. Ed è appena il caso di sottolineare che il
derivare la prova di più reati, anche solo in parte, dalla stessa fonte non costituisce
collegamento tra reati, ma soltanto collegamento tra indagini, essendo previsto
non già dall’art. 371 co. 2° lett. b) c.p.p. (richiamato dagli artt. 192, 197 e 197 bis
c.p.p.), bensì dall’art. 371 co. 2° lett. c) c.p.p. (non richiamato da tali norme).
In conclusione, le dichiarazioni rese dal Consoli e dal Patania quali mere
persone offese sono pienamente utilizzabili.

3- Il motivo che precede sub c) è infondato nella parte in cui contesta
l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/91 e l’esistenza di esigenze cautelari.
In realtà, l’impugnata ordinanza ha – con motivazione immune da censure ravvisato l’aggravante dell’art. 7 cit. sotto il profilo metodologico e teleologico.
Sotto il primo, ha valorizzato le modalità dell’estorsione (chiaramente evocative
della provenienza della pretesa da parte di un’associazione mafiosa),
accompagnate dal consueto invito a rivolgersi ad un intermediario, Raimondo
Maugeri, noto anche alle persone offese per essere appartenente al clan mafioso
dei Santapaola e per essere il “responsabile” del quartiere.
Sotto il secondo, ha considerato che la pretesa estorsiva era fatta con il
dichiarato intento di “aiutare i ragazzi detenuti” e che proveniva da soggetti,
alternatisi nel corso del tempo, quasi tutti appartenenti al citato clan Santapaola,
come accertato da precedenti condanne definitive.

persona indagabile per lo stesso reato (da un lato vi è l’estorsione, dall’altro un

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Né, ad escludere le esigenze cautelari valga il fatto che i gestori del bar non
avrebbero patito azioni ritorsive dopo aver deciso di non pagare più la tangente,
trattandosi di effetto ricollegabile all’azione di contrasto da parte delle forze
dell’ordine, culminata con l’arresto il flagranza del correo Davide Enrico
Finocchiaro, avvenuto il 28.1.13.
Né in contrario basta invocare il mero decorso del tempo dalla commissione del

trascorso dalla commissione del reato, che pur costituisce ex art. 292 co. 2° lett. c)
c.p.p. uno degli aspetti della motivazione nella scelta della misura, non esclude di
per sé l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p.
(cfr., ad es., Cass. Sez. H n. 21424 del 20.4.11, dep. 27.5.11; Cass. Sez. IV n.
6717 del 26.6.2007, dep. 13.2.2008), che nel caso di specie i giudici del riesame
hanno ravvisato nella particolare caratura criminale dell’odierno ricorrente,
risultante (come emerge dalla lettura della gravata ordinanza) dai numerosi e
specifici precedenti penali e, segnatamente, dalla perdurante sua affiliazione al
clan mafioso di cui s’è detto.
Il motivo di ricorso è, invece, fondato nella parte in cui lamenta un vizio di
motivazione in ordine all’adeguatezza della misura.
Con sentenza n. 57/2013 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 275 co. 3°, secondo, periodo, c.p.p., come modificato dall’art. 2 co. 1°
d.l. n. 11/09, nella parte in cui – nel prevedere che, ove sussistano gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni
previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che
siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari non fa salva anche l’ipotesi in cui siano stati acquisiti elementi specifici, in
relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono
essere soddisfatte con altre misure.
La Corte cost. ha ritenuto che l’art. 275 co. 3° c.p.p. violi gli artt. 3, 13 co.1° e
27 co. 2° Cost., estendendo le proprie argomentazioni anche ai delitti commessi
avvalendosi del c.d. metodo mafioso e ai delitti commessi al fine di agevolare le
attività delle associazioni previste dall’art. 416 bis c.p.

reato: è appena il caso di rammentare che in tema di misure coercitive il tempo

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In breve, la citata pronuncia ha fatto venir meno quella presunzione di
adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere su cui, invece, si è
basata la decisione del Tribunale del riesame.

4- In conclusione, l’ordinanza impugnata deve annullarsi limitatamente
all’adeguatezza della misura, con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame

risulti che le esigenze cautelari già ravvisate nei confronti del Mano possano
essere soddisfatte con altre misure.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’adeguatezza della misura con
rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame sul punto.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in data 17.9.13.

sul punto affinché accerti se esistano, eventualmente, elementi specifici da cui

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