Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38682 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38682 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Licciardello Davide, n. a Catania il 2.10.77,
avverso l’ordinanza del 21.2-8.3.13 del Tribunale di Catania, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21.2-8.3.13 il Tribunale di Catania, sezione riesame,
confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 2.2.13 dal GIP
dello stesso Tribunale nei confronti di Davide Licciardello per concorso in
estorsione continuata (dal 2004 al 28.1.13) e pluriaggravata, anche ex art. 7 legge
n. 203/91 per l’utilizzo del metodo mafioso e per la finalità di agevolare
l’associazione di tipo mafioso denominata clan Santapaola — Ercolano, ai danni
dei titolari del Bar Napoleon sito nel quartiere Librino di Catania.
Tramite il proprio difensore il Licciardello ricorreva contro detta ordinanza, di
cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:

Data Udienza: 17/09/2013

a) vizio di motivazione per avere i giudici del riesame basato il proprio
convincimento sulle dichiarazioni dei collaboratori Salvatore Torrente e Santo La
Causa e delle persone offese Consoli e Patania nonostante che da esse non si
evincesse il ruolo del Licciardello né la sua presunta appartenenza al clan
Santapaola — Ercolano, anche perché nel periodo indicato dai soggetti passivi il
ricorrente si trovava agli arresti domiciliari; l’ordinanza aveva altresì omesso di

richiesta di riesame;
b) violazione dell’art. 273 c.p.p. e vizio di motivazione per avere l’impugnata
ordinanza eluso la questione centrale posta con la richiesta di riesame, ossia la
doverosità della valutazione, ai fini della gravità indiziaria, delle significative
contraddizioni tra i fatti emergenti dagli atti e le dichiarazioni delle persone
offese, che non potevano superarsi con la mera astratta compatibilità fra gli arresti
domiciliari cui era assoggettato il Licciardello e le “visite” che egli avrebbe fatto
al Bar Napoleon, considerata altresì l’applicabilità anche alla sede cautelare del
canone dell’art. 192 co. 2° c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- I due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono
manifestamente infondati, atteso che l’impugnata ordinanza ha, con motivazione
immune da vizi logico-giuridici, evidenziato che l’esistenza dell’estorsione
continuata è stata confermata dalle credibili dichiarazioni dei collaboratori,
dall’arresto in flagranza del correo Davide Enrico Finocchiaro e dagli esiti delle
indagini di p.g.
Si tratta di rilievi che riscontrano le dichiarazioni delle persone offese (ancorché
non ve ne sia bisogno, non applicandosi in tal caso i canoni dei commi 2° e 3°
dell’art. 192 c.p.p., il che supera la censura – che si legge in ricorso – relativa
all’applicabilità anche alla sede cautelare dello standard probatorio di cui all’art.
192 co. 2° c.p.p.), che individuano specificamente il Licciardello come uno degli
autori dell’estorsione, collocandone nel tempo l’attiva partecipazione, a più
riprese, dal 2004 al 2012, insieme con altri indagati inseriti nel suddetto sodalizio
mafioso.
Sempre con motivazione non meritevole di censure i giudici del riesame hanno
ricostruito i tempi in cui l’odierno ricorrente è stato dapprima in carcere (dal

motivare sulle specifiche doglianze fatte valere dal Licciardello nella propria

maggio 2007 al giugno 2009), poi agli arresti domiciliari (fino al maggio 2010),
evidenziando che gli intervalli di libertà sono compatibili con le sue visite a scopo
estorsivo effettuate al Bar Napoleon come narrate dalle persone offese, protrattesi
almeno fino al 2012 (e, quindi, in epoca ampiamente successiva alla cessazione
dello stato di detenzione domiciliare del ricorrente).
In breve, non risulta affatto che l’impugnata ordinanza abbia eluso le questioni

Per il resto, le argomentazioni svolte in ricorso sollecitano, in sostanza, solo una
terza lettura nel merito delle risultanze processuali, così collocandosi all’esterno
dell’area di cui all’art. 606 co. 1° c.p.p.

2- In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Ex art. 616 c.p.p.
consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a
favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in
euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in data 17.9.13.

poste, in fatto e in diritto, con l’istanza di riesame.

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