Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38681 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38681 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da Boni Marco, n. a Vizzolo Predabissi (MI) il 26.9.87,
avverso l’ordinanza del 22.2.13 del Tribunale di Bergamo, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente ai
documenti non specificamente indicati nella parte motiva, con conseguente
dissequestro e per il rigetto nel resto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 22.2.13 il Tribunale di Bergamo, sezione riesame,
confermava il decreto di sequestro probatorio di documenti emesso il 30.1.13 dal
PM presso lo stesso Tribunale nei confronti di Marco Boni, indagato per il delitto
di usura.
Ricorreva il Boni contro detta ordinanza, di cui chiedeva l’annullamento per un
solo motivo con cui lamentava inosservanza e/o falsa ed erronea applicazione
degli artt. 250 e ss. c.p.c. e dell’art. 355 c.p.p. perché il provvedimento di
perquisizione e sequestro emesso dal PM il 30.1.13 era in parte generico: infatti,

Data Udienza: 17/09/2013

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mentre nella narrativa individuava specifici documenti da cercare nei luoghi
indicati nel decreto di perquisizione, nel dispositivo ordinava genericamente il
sequestro ex art. 252 c.p.p. di quanto rinvenuto (corpo di reato, cose pertinenti al
reato) e di quanto altro fosse stato ritenuto utile alle indagini. Per l’effetto,
lasciando massima autonomia alla p.g., il conseguente sequestro doveva essere
convalidato ex art. 355 c.p.p., il che non era avvenuto. Né in contrario avviso

indicati nel decreto di sequestro. Da ultimo, evidenziava il proprio interesse ad
impugnare perché, pur a voler condividere l’orientamento giurisprudenziale in
forza del quale l’indagato avrebbe avuto il diritto di chiedere la restituzione dei
beni al PM senza necessità di adire il Tribunale del riesame, nondimeno era
necessario evitare che si formasse il giudicato sulla decisione impugnata in
quanto, diversamente, il PM avrebbe potuto respingere per tale motivo l’istanza di
restituzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il ricorso è inammissibile perché, a monte, lo è la richiesta di riesame avverso
il sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria nel corso di una
perquisizione delegata dal PM, che demandi alla discrezionalità degli operanti
l’individuazione e la qualificazione di beni e/o documenti come corpo e/o
pertinenza del reato, potendo l’interessato attivare a propria tutela l’opposizione al
GIP prevista dall’art. 263 co. 4 0 c.p.p. (cfr., e pluribus, Cass. Sez. H n. 40657 del
9.10.12, dep. 17.10.12).
Invero, se la polizia giudiziaria sequestra cose non indicate nel decreto o il cui
ordine di sequestro non sia desumibile dalle nozioni di corpo di reato o di cose
pertinenti al reato, in relazione ai fatti per i quali si procede, l’autorità giudiziaria
deve convalidare il sequestro oppure ordinare la restituzione delle coseoggetto di
apprensione (cfr. Cass. Sez. V n. 5672 del 25.11.1999 dep. 13.1.2000, secondo la
quale, in tema di sequestro, qualora il PM, delegando la polizia giudiziaria
all’esecuzione di una perquisizione, abbia disposto il sequestro, oltre che degli
oggetti e/o documenti esplicitamente indicati, anche di “quanto rinvenuto ed, in
ogni caso, ritenuto utile a fini di indagine”, egli è tenuto a provvedere alla

convalida relativamente al sequestro avente ad oggetto cose non specificate nel
provvedimento).

poteva bastare l’omogeneità dei documenti sequestrati dalla p.g. rispetto a quelli

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Dunque, in ipotesi di sequestro di cose la cui indicazione non sia
predeterminabile in base alla motivazione del decreto di perquisizione, se non
interviene da parte dell’autorità giudiziaria né convalida del sequestro né
restituzione delle cose sequestrate l’interessato dovrà chiedere la restituzione dei
beni e, in caso di rigetto della richiesta, potrà attivare il ricorso di cui all’art. 263
c.p.p., commi 4 e 5, essendo invece inammissibile il procedimento di riesame.

4.11.1997, secondo la quale affinché il sequestro conseguente a perquisizione
operata dalla polizia giudiziaria e disposta dal pubblico ministero non debba
essere sottoposto a convalida, è necessario che il provvedimento di perquisizione
individui con sufficiente certezza l’oggetto specifico del sequestro medesimo, non
bastando una generica indicazione di pertinenza di quanto (eventualmente)
rinvenuto rispetto al reato ipotizzato.
Ne deriva che, indipendentemente dai riferimenti normativi contenuti nel
provvedimento e dalla modulistica utilizzata, qualora il PM, delegando la polizia
giudiziaria all’esecuzione di una perquisizione, disponga il sequestro delle cose
pertinenti al reato rinvenute e non provveda poi alla convalida, contro tale
sequestro è inammissibile la richiesta di riesame, che l’ordinamento riserva al
sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, secondo il dettato dell’art. 257 c.p.p.
In tal caso, l’unico rimedio esperibile contro l’eventuale diniego di restituzione
da parte del PM è il ricorso al GIP (v. art. 263 commi 4 0 e 5 0 c.p.p.).
Di tale consolidato indirizzo giurisprudenziale si dichiara consapevole lo stesso
ricorrente, che però ritiene di aver comunque dovuto proporre ricorso per
cassazione per evitare che si formasse il giudicato sulla decisione impugnata in
quanto, diversamente, il PM avrebbe potuto respingere l’istanza di restituzione.
Ma ciò non toglie che il mezzo prescelto non è quello previsto dall’ordinamento
e che l’errore della parte nell’individuare lo strumento processuale di tutela non
può rendere ammissibile il ricorso per cassazione in casi non consentiti dalla
legge.
2- In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Ex art. 616 c.p.p.
consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a
favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in

Si veda in proposito, ad esempio, Cass. Sez. III n. 3130 del 2.10.1997, dep.

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euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 17.9.13.

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