Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38680 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38680 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Cantile Giuseppe, n. a Napoli il 14.9.69,
avverso l’ordinanza del 13-26.2.13 del Tribunale di Napoli, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13-26.2.13 il Tribunale di Napoli, sezione riesame,
confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 21.1.13 dal GIP
dello stesso Tribunale nei confronti di Giuseppe Cantile per il delitto di concorso
in estorsione aggravata ex art. 7 d.l. n. 152/91 ai danni di Francesco Miele e
Consuelo Bocconi, mentre annullava l’ordinanza relativamente ad altro episodio
estorsivo commesso ai danni di Domenico e Alessandro Mallardo.
Tramite il proprio difensore ricorre il Cantile contro detta ordinanza, di cui
chiede l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:
a) vizio di motivazione per avere i giudici del merito ravvisato gravi indizi di
colpevolezza a carico del ricorrente in base alle sole dichiarazioni delle persone

Data Udienza: 17/09/2013

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offese, la cui attendibilità era stata confutata dalla difesa del Cantile, che ne aveva
evidenziato la non plausibilità (in particolare nella parte in cui la Bocconi aveva
narrato di uno speronamento patito il 3.12.11 ed aveva riferito di essere riuscita
con la propria auto a risalire una da una scarpata senza l’aiuto di alcuno) e le
discrepanze circa le frasi minatorie attribuite all’indagato;
b) insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/91, che non poteva

c) insussistenza delle esigenze cautelari, che l’impugnata ordinanza aveva
motivato solo in ragione dei precedenti penali del Cantile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I – Il motivo che precede sub a) si colloca al di fuori del perimetro di cui all’art.
606 co. l° c.p.p. perché, in sostanza, con esso si svolgono meri diversi
apprezzamenti in punto di fatto in ordine alle dichiarazioni delle persone offese, la
cui attendibilità — contrariamente a quanto asserito in ricorso — è stata
motivatamente ravvisata dalla gravata ordinanza che, con argomentare scevro da
vizi logici o giuridici, ha evidenziato la coerenza, la credibilità e l’assenza di
moventi calunniosi da parte delle persone offese, escludendo che fra di esse vi
fossero significative incongruenze e ribadendo che, ad onta dell’esatto tenore
delle frasi minatorie pronunciate dal Cantile come ricordate dal Miele e dalla
Bocconi, il senso della sua condotta fosse inequivocabile.
Per il resto, le obiezioni svolte in ricorso in sostanza sollecitano soltanto una
terza lettura nel merito delle risultanze in atti, operazione non consentita in sede di
legittimità.

2- 11 motivo che precede sub b) è infondato, giacché l’aggravante in parola è
stata ravvisata non tanto per la contiguità del Cantile ad ambienti camorristici
come emergente dai relativi precedenti penali, quanto per l’esplicito richiamo da
lui fatto, nel pronunciare le frasi minatorie, a collaudati meccanismi di
funzionamento del “sistema” e al “permesso” che il Miele e la Bocconi avrebbero
dovuto chiedere prima di avviare un’iniziativa economica, in tal modo evocando
la pericolosità di una più ampia organizzazione criminale padrona del territorio e,
quindi, adoperando quel metodo di intimidazione di tipo mafioso che integra una

essere ritenuta soltanto in base ai precedenti penali del ricorrente;

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delle due ipotesi in cui si articola la previsione normativa dell’aggravante in
discorso.

3- Del pari infondato è il motivo che precede sub c), noto essendo che le
esigenze cautelari ben possono giustificarsi con l’entità e la natura dei precedenti
penali dell’indagato, nel caso in esame specifici, essendo stato il Cantile già

Cass. Sez. V n. 21441 del 17.4.09, dep. 22.5.09).

4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la
condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in data 17.9.13.

condannato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso (cfr., ex aliis,

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