Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38678 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38678 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da Cavarretta Gianfranco, n. a Crotone il 12.6.75, e
Cavarretta Luciano, n. a Petilia Policastro (KR) il 9.9.47,
avverso l’ordinanza del 7.3.13 del Tribunale di Crotone, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona della Dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 7.3.13 il Tribunale di Crotone, sezione riesame, rigettava
l’istanza di riesame proposta da Gianfranco e Luciano Cavarretta, indagati per il
delitto di cui all’art. 648 c.p., contro il decreto di convalida di perquisizione e
sequestro di oggetti in avorio e di beni di valore archeologico o storico-artistico
emesso in data 11.2.13 dal PM presso il Tribunale di Crotone.
Tramite il proprio difensore Gianfranco e Luciano Cavarretta ricorrevano con
unico atto contro l’ordinanza, di cui chiedevano l’annullamento — con restituzione
di quanto in sequestro – per i motivi qui di seguito riassunti:

Data Udienza: 17/09/2013

a) violazione dell’art. 357 c.p.p., perché gli agenti di p.g. non avevano redatto,
contestualmente alle operazioni di perquisizione e sequestro, un analitico
inventario dei beni appresi;
b) violazione dell’art. 354 c.p.p., poiché nessuna perizia aveva accertato
l’interesse archeologico o storico-artistico dei beni sequestrati e, comunque, prima
di procedere al sequestro la p.g. avrebbe potuto e dovuto effettuare uno specifico

evitando di asportare tutto immediatamente per poi accorgersi che gran parte di
quanto prelevato non rivestiva interesse alcuno (e infatti molti dei beni
originariamente sequestrati erano stati, poi, restituiti ai ricorrenti); a tal fine non
poteva bastare l’attestazione, contenuta nel verbale di sequestro, secondo cui i
beni sarebbero stati visionati dal prof. Pasquale Attianese, già perito archeologico
e numismatico presso i Tribunali di Crotone e di Cosenza, vuoi perché il verbale
non era firmato dal perito, vuoi perché non risultava il previo incarico per una
perizia o valutazione tecnica;
c) inesistenza del fumus commissi delicti, fumus che invece il Tribunale aveva
ravvisato nell’assenza di documentazione comprovante la legittimità del possesso
degli oggetti in questione: obiettavano i ricorrenti che gli oggetti non dovevano
essere conservati con la relativa documentazione perché, in realtà, non rivestivano
alcun interesse archeologico o storico-artistico; quanto agli oggetti in avorio o
presunto avorio sequestrati a Luciano Cavarretta, essi facevano parte di una
collezione privata formata da beni regolarmente e liberamente acquistati nel corso
degli anni presso case d’asta italiane o negozi di antiquariato e non; quanto agli
oggetti in argilla, si trattava di manufatti di un artista contemporaneo (Gaspare
Brescia) e non di pezzi risalenti all’800, come risultante dall’attestazione
rilasciata dall’autore; era fuorviante il richiamo operato dai CC., nel verbale di
sequestro, all’allegato A, art. 1 legge n. 150/92 di cui al regolamento CE n.
338/97, riferito al commercio internazionale di flora e fauna selvatiche minacciate
di estinzione; inoltre, il regolamento CEE n. 3626/82 disponeva che le misure
relative all’applicazione della Convenzione sul commercio internazionale di flora
e fauna selvatiche minacciate di estinzione non dovevano pregiudicare la libera
circolazione dei prodotti all’interno della Comunità e dovevano applicarsi solo
agli scambi con paesi esteri;

accertamento tramite esperti muniti di idonee competenze chiamati sul posto,

d) violazione di legge per motivazione apparente circa il fumus di esistenza del
reato e le specifiche finalità probatorie del sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1- Il motivo che precede sub a) è infondato, vuoi perché ex art. 142 c.p.p. (come
notato anche dall’impugnata ordinanza) la sanzione della nullità d’un verbale è

sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto, vuoi perché l’obbligo di
redazione degli atti indicati dall’art. 357 co. 2° c.p.p., tra i quali rientrano le
operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall’art. 373 c.p.p., non
è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità. Per le attività di polizia giudiziaria è
infatti sufficiente la loro documentazione, anche in un momento successivo al
compimento dell’atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilità,
è necessaria la certezza dell’individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di
provenienza, le persone intervenute all’atto e le circostanze di tempo e di luogo
della constatazione dei fatti (Cass. Sez. I n. 34022 del 6.10.06, dep. 11.10.06).
D’altronde, è principio consolidato — cui va data continuità anche nella presente
sede – quello per cui l’omesso o inesatto adempimento delle formalità relative al
sequestro di polizia giudiziaria non incide sulla legittimità dell’atto (cfr. Cass. Sez.
I n. 1397 del 10.12.97, dep. 5.2.98).
Vanno quindi condivise le argomentazioni a riguardo esposte dall’impugnata
ordinanza.

2- Il motivo che precede sub b) è infondato, perché nel corso delle indagini
preliminari sono legittimi ed utilizzabili i risultati degli accertamenti tecnici
compiuti dalla polizia giudiziaria con il ricorso alla collaborazione di ausiliari ex
art. 348 co. 4° c.p.p., in virtù del quale la polizia giudiziaria, quando, di propria
iniziativa o a seguito di delega del PM, compie atti od operazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non
possono rifiutare la propria opera, senza che sia necessario che esse vengano
individuate con l’osservanza delle forme e delle modalità previste per la nomina
del consulente tecnico del PM (cfr. Cass. n. 16683 del 5.3.09, dep. 20.4.09).

prevista solo in caso di incertezza assoluta sulle persone intervenute e di mancata

3- Ancora da disattendere sono i motivi che precedono sub c) e sub d), da
esaminarsi congiuntamente perché connessi.
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge.
È pur vero che in tale nozione si devono comprendere sia gli errores in
iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere

mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza
e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(Cass. S.U. n. 25932 del 29.5.2008, dep. 26.6.2008; Cass. S.U. n. 5876 del
28.1.2004, dep. 13.2.2004): ma non è certo questo il caso, avendo l’impugnata
ordinanza data atto che tutti i beni sequestrati (aventi valore archeologico o
storico-artistico) erano sprovvisti di qualsivoglia documentazione attestante la
legittimità della loro detenzione (il che evoca il fumus di reato) ed avendo altresì i
giudici di merito dato conto, sia pur sinteticamente, delle finalità probatorie del
sequestro, funzionale proprio all’accertamento della provenienza degli oggetti de
quibus.
Per altro, le doglianze relative all’asserita mancanza di valore storico/artistico
od archeologico degli oggetti in questione richiederebbero apprezzamenti in fatto
preclusi nella presente sede.
Analoghe considerazioni valgano, in particolare, per gli oggetti in avorio:
infatti, la detenzione di prodotti derivati da esemplari di fauna selvatica minacciati
di estinzione configura, in assenza di idonea documentazione che ne legittimi il
possesso, il reato di cui all’art. 1 legge 7.2.92 n. 150, attuativa della Convenzione
di Washington del 3.3.73 sul commercio internazionale della flora e della fauna
selvatica, loro prodotti e derivati, come nel caso di manufatti in avorio ricavati da
elefante africano o asiatico, inclusi nell’Allegato A, appendice I, del Regolamento
CEE n. 338/1997 (cfr. Cass. Sez. III n. 49454 dell’8.10.03, dep. 30.12.03).
E per il sequestro di cose costituenti corpo di reato o di cose ad esso pertinenti
basta — giova ribadire – il mero fumus del reato medesimo, non la positiva
dimostrazione della sua esistenza.

4- In conclusione, il ricorso va rigettato. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna
dei ricorrenti alle spese processuali.

l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, in data 17.9.13.

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