Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3867 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3867 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VARRICA VINCENZA N. IL 18/06/1956
avverso la sentenza n. 3455/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 22/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito Arxocuratem-Genexalein.persona del Dott.
che haconcluso per

Udito

Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 07/10/2014

r

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eduardo Vittorio Scardaccione, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputata, avv.to Angelo Formuso, che ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22.5.2013 la Corte d’Appello di Palermo, in

composizione monocratica in data 27.2.2012, riteneva assorbito il reato
di cui al capo b) di danneggiamento (artt. 635 e 61 n. 2 c.p.), nel reato
di violazione di domicilio di cui al capo d) (art. 614 c.p.) e
rideterminava la pena nei confronti di Varrica Vincenza, anche in
relazione al reato di cui al capo a)- di arbitraria occupazione di cui
all’art. 633 c.p. dell’immobile di proprietà di Giordano Bruno, in Palermo
alla Via Mulè 10- in un anno e un mese di reclusione, con conferma del
risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in
separata sede civile e della provvisionale di € 5000,00, assolvendo gli
altri imputati.
2.Avverso tale sentenza la Varrica, a mezzo del proprio difensore, ha
proposto ricorso, lamentando:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art.606, primo
comma, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt.192, 530 co. 2°
c.p.p., 110, 633 c.p., configurandosi il travisamento della prova, nella
parte in cui è stato evidenziato che dalle risultanze processuali acquisite
nel giudizio di prime cure, risulterebbe evidente come la ricorrente si sia
abusivamente introdotta nell’appartamento in via Mulè alla luce delle
dichiarazioni rese da Di Marco Ignazio, agente di P.G., intervenuto in
data 29.9.2007, laddove il teste in questione non ha mai indicato la
Varrica come “occupante” dell’appartamento di Via Mulè, né risulta che
l’imputata sia stata identificata all’interno di detto immobile al momento
dell’intervento della Polizia; inoltre, la sentenza impugnata si presenta
viziata anche nella parte in cui valorizza la circostanza della notorietà
che il Giordano fosse erede, e, dunque, ai fini dell’elemento soggettivo
in capo all’odierna ricorrente; l’amministratore del condominio, poi, non
ha riferito mai alla persona offesa dell’occupazione dell’immobile, né di
alcuna presenza fisica della Varrica all’interno dello stesso, sebbene
anch’egli conoscesse la Varrica, in quanto la stessa pagava le quote

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parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in

condominiali, come si evince dalla deposizione della stessa persona
offesa;
-con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 81 cpv. c.p.,
643,633,614 c.p. non avendo la sentenza impugnata, in violazione di
legge e carenza totale di motivazione, riconosciuto l’istituto della
continuazione, tra il reato di cui all’art. 643 c.p. ed i reati ascritti alla
ricorrente nel presente procedimento; nel corso del giudizio di primo

Tribunale di Palermo nei confronti della Varrica per il reato di cui all’art.
643 c.p., connesso alla vicenda oggetto del presente processo e
nell’atto di appello, al punto n.3, la difesa aveva espressamente
richiesto l’applicazione della continuazione tra i fatti di cui al presente
processo e quelli oggetto della sentenza irrevocabile di condanna,
assumendo, a sostegno di tale richiesta, la sussistenza della
connessione oggettiva e soggettiva, ma sul punto la Corte di Appello
non ha fornito alcuna risposta; inoltre, la statuizione con cui è stata
ridotta la pena inflitta in primo grado, non consente di evincere il calcolo
operato per la determinazione della stessa, né è dato capire in che
misura siano stati applicati gli aumenti per la continuazione c.d. interna
tra i reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo di ricorso,
mentre è infondato nel resto, ai limiti dell’ammissibilità.
2. Con riguardo al primo motivo di ricorso si osserva che la
sentenza impugnata, senza incorrere in vizi motivazionali o in violazioni
di legge, ha compiutamente illustrato gli elementi di responsabilità a
carico dell’imputata in ordine ai reati a lei ascritti fondati
sull’accertamento compiuto dalla P.G. e segnatamente su quanto
riscontrato dall’agente Marco Ignazio, che, intervenuto sul posto,
rinveniva nell’abitazione i quattro imputati che avevano cambiato la
serratura d’ingresso dell’appartamento. Le risultanze dell’accertamento
della P.G. venivano confermate dal teste Giordano Bruno, unico erede
di Di Benedetto Giovanna – a sua volta erede universale di Di Benedetto
Carmela, originaria proprietaria dell’immobile – che si era accorto,
attraverso la sorella cui aveva lasciato le chiavi dell’appartamento
oz42 4,t 6a ,

consegnatole dalla zia, dell’illecita introduzione degri , -~fmrimputati
nell’abitazione in questione, notiziando a tal fine la polizia.

grado era stata acquisita, infatti, la sentenza n.5904/2010, emessa dal

3. Per quanto concerne il dedotto travisamento della prova, circa la
mancata indicazione da parte dell’agente Marco Ignazio della Varrica
come “occupante” dell’appartamento di Via Mulè, non identificata
all’interno di detto immobile al momento dell’intervento della Polizia,
tale doglianza è inammissibile, essendo stata proposta in violazione del
principio di autosufficienza del ricorso in base al quale, quando si
lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti del processo
penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto

medesimi, ovvero mediante l’allegazione degli stessi, dovendosi ritenere
precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il
“funnus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa
articolazione del ricorso (Cass., Sez. 1^, 18/03/2008, n. 16706; Cass.,
Sez. 1^, 22/01/2009, n. 6112; Cass., Sez. 1^, 29/11/2007, n. 47499;
Cass., Sez. feriale, Sent. 13/09/2007, n. 37368; Cass., Sez. 1^ (Ord.),
18/05/2006, n. 20344).
4. Va poi evidenziato che contrariamentea quanto dedotto dalla
ricorrente la sentenza impugnata senza incorrere in vizi ha indicato gli
f
elementi dai quali è ricavabile la conoscenza da parte dell’imputata
della qualità di nipote della de cuius da parte del Giordano e
segnatamente la circostanza temporale dell’occupazione e l’avvenuto
incontro dell’imputata con il Giordano dopo la morte della zia.
5. Fondato è il secondo motivo di ricorso, in merito all’omessa
motivazione del giudice di appello sulla richiesta invocata al punto 3
dell’appello, di applicazione della continuazione ex art. 81 c.p. con il
giudicato di cui alla sentenza n. 5904/ 2010, per il reato di cui all’art.
643 c.p.. Giova in proposito richiamare i principi espressi da questa
Corte, secondo cui, una volta che l’imputato abbia formulato uno
specifico motivo di gravame sull’applicazione della continuazione, il
giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di
indagine devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è
coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e
decidere sulle richieste dell’impugnante: sicché, stante la correlazione
tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione,
non è ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito,
riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione e possa, così,
sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la
propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza
dell’impugnante. Ne consegue che, qualora il giudice di appello abbia

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mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti

omesso di pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata con
specifico motivo di impugnazione, sussiste l’interesse dell’imputato al
ricorso per cassazione per la mancata pronuncia sul punto (Sez. VI,
30/09/2010, n. 38648).
6. Per le ragioni dette, dunque, la sentenza impugnata va annullata
limitatamente all’omessa pronuncia in merito alla richiesta di
applicazione della continuazione con precedente giudicato, con rinvio ad
altra Sezione della Corte di appello di Palermo, mentre il ricorso va

p.q.m.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa pronuncia
sulla richiesta di applicazione della continuazione con precedente
giudicato, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 7.10.2014

rigettato nel resto.

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