Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38663 del 05/06/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38663 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FOTI CARMELO VITO N. IL 19/02/1967
avverso l’ordinanza n. 1044/2012 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
03/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 05/06/2013

FOTI Carmelo Vito ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza 3.1.2013 con
la quale il Tribunale di Messina ha rigettato la richiesta di riesame del
provvedimento 17.12.2012 di applicazione della misura della custodia
cautelare in carcere per il reato di cui agli artt. 56, 629 cp, 71. 203/91.
La difesa richiede l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo:
§1.) ex art. 606 r comma lett. b) ed e) cpp la violazione degli artt. 56, 629
cp e 7 1. 203/91 in relazione all’art. 273 cpp. La difesa lamenta che: a) il
provvedimento non sarebbe adeguatamente motivato in riferimento alla
indicazione, in termini individualizzanti degli indizi di reità; b) il quadro
della gravità indiziaria verrebbe desunto dal contenuto della conversione
captata tra l’indagato e la persona offesa (MAZZU’Criuseppe); c) la persona
offesa si sarebbe rapportata con il suo interlocutore in maniera del tutto
serena con la conseguenza che l’intervento dell’indagato non avrebbe
indotto in timore la persona offesa, non essendo state profferite minacce
neppure in forma larvata; d) la condotta del ricorrente non integrerebbe il
paradigma del “metodo mafioso” di cui all’art. 7 1. 203/91, mancando
inoltre il profilo dello ingiusto profitto; e) mancherebbero circostanze
concrete dimostrative della esistenza del “metodo mafioso” posto che nel
colloquio intercorso tra le parti, il FOTI non ha fatto riferimenti evocativi di
organizzazioni mafiose presenti nella zona o la propria appartenenza ad un
gruppo criminale ben individuato; t) mancherebbe da parte del ricorrente un
comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulla vittima una
particolare coartazione psicologica derivante dal situazioni ricollegabili a
fenomeni descritti dall’art. 7 1. 203/9; g) la motivazione del Tribunale si
fonda esclusivamente sul fatto che il FOTI avrebbe pendenze giudiziarie ed
una condanna riportata in precedenza, senza essere accompagnata da alcun
altro elemento specifico che potesse far sospettare la presenza di gruppi di
tipo mafioso; h) l’indagato si sarebbe presentato al MAZZU` Giuseppe da
solo e senza armi senza indicare a nome di quale organizzazione egli si
presentasse.
La difesa sostiene ancora che la motivazione del provvedimento sarebbe
illogica nel punto in cui afferma che la richiesta di pagamento sarebbe stata
effettuata da un noto soggetto mafioso del tutto estraneo al debito fino a far
impegnare il debitore MAZZU` a promettere un pagamento rateale. La
illogicità della motivazione sarebbe rinvenibile nel fatto che il FOTI, agendo
quale intermediario e moderatore fra il MAZZU` debitore e i fratelli PATTI
creditori, non avrebbe tenuto un comportamento estorsivo, ma si sarebbe
limitato al mero sollecito del pagamento rateale mensile che già era stato
concordato fra le parti. La difesa, da ultimo, sul punto osserva ancora che
l’intervento del FOTI trovava giustificazione nel fatto che il MAZZU’
assolveva i propri obblighi e che la “minaccia implicita” sarebbe stata
desunta dal Tribunale, esclusivamente dall’esistenza di pendenze
giudiziarie a carico del FOTI
§2.) ex art. 606 I^ comma lett. b) ed e) cpp in relazione all’art. 274 cpp. La
difesa mette in evidenza che non emergono dati che giustifichino l’adozione
della misura cautelare in carcere.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che PATTI Tindaro e
PATTI Giuseppe sono creditori nei confronti di MAZZU’ Giuseppe della
somma di E 15.000,00, debito questo risalente nel tempo e ricollegato alla
gestione della squadra di calcio U.S. Romena.
I fratelli PATTI, non riuscendo a riscuotere il proprio credito, si sarebbero
rivolti al FOTI, siccome noto malavitoso ed esponente di spicco della
criminalità organizzata operante nella fascia tirrenica della provincia di
Messina, per “convincere” il debitore MAZZU’ a saldare il debito.
L’indagato pertanto, pur essendo estraneo al debito, accedeva alla richiesta
dei fratelli PATTI, ed effettuava un incontro con il MAZZU` in una zona
appartata, ottenendo da quest’ultimo l’impegno di onorare il debito con un
pagamento mensile di 400,00 e.
I fatti oggetto della contestazione sarebbero provati dalle dichiarazioni del
MAZZU’ nonché da una serie di intercettazioni telefoniche ed ambientali,
riportate, per i tratti ritenuti salienti, nel corpo della motivazione del
provvedimento impugnato.
RITENUTO IN DIRITTO
Va premesso che la valutazione delle doglianze difensive, in materia di
provvedimenti cautelari, soggiace ai noti limiti del giudizio di legittimità.
Infatti in materia di provvedimenti “de libertate”, la Corte di Cassazione non
ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione
delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari
ed all’adeguatezza delle misure; infatti, sia nell’uno che nell’altro caso si
tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il controllo di
legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro l’assenza di illogicità evidenti, nelle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento [Cass. SU
22.3.2011 n. 11; Cass. Sez. 117.12.2011 n. 56; Cass. Sez VI 12.11.1998 n.
3529; Cass. Sez. I ordinanza 20.3.1998 n. 1700; Cass. Sez. I 11.3.1998 n.
1496; Cass. Sez. I 20.2.1998 n. 1083]. Da quanto sopra discende che: a) in
materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova
rientra fra i compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a
censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da
errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del
Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una
diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di
insussistenza di gravi indizi di colpevolezza o di assenza di esigenze
cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e
puntuale di specifiche violazioni di nonne di legge, ovvero l’indicazione
puntuale di manifeste illogicità della motivazione provvedimento, secondo i

RITENUTO IN FATTO

canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di
legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia
quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze
esaminate e valorizzate dal giudice di merito. [v. in tal senso Cass sez. III
21.10.2010 n. 40873]. Infatti Il sindacato del giudice di legittimità sulla
motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare
che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare
le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non
sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole
della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità
logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente
“incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed
esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale
da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico [Cass.
Sez. I 19.10.2011 n. 41738; e nello stesso senso Cass. Sez. IV 3.5.2007 n.
22500; Cass. Sez. VI 15.3.2006 n. 10951]
Passando alla valutazione dei motivi di ricorso, il Collegio osserva quanto
segue.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa, l’ordinanza è adeguatamente motivata ed affronta in
modo specifico e puntuale le doglianze sollevate dalla difesa con l’atto di
reclamo. Il Tribunale ha descritto le circostanze di fatto alle quali è
ricollegata la formulazione dell’accusa penale e ha indicato le fonti di prova
valutate (dichiarazioni della persona offesa e testo dei colloqui intercettati,
intercorsi fra le parti).
Sotto il profilo della motivazione il provvedimento pertanto sfugge alle
censure mosse che si risolvono in critiche che riguardano aspetti di merito
che non possono essere presi in considerazione in questa sede.
In diritto va osservato che integra il delitto di tentativo di estorsione il
ricorso alla mediazione di una persona notoriamente facente parte di
organizzazione mafiosa, la quale ottenga, grazie al proprio intervento,
l’impegno all’adempimento del debito contratto dalla persona offesa. E’
giurisprudenza costante quella che afferma l’ esistenza del carattere
estorsivo quando la pretesa, ancorchè legittima, sia attuata con metodi che
esorbitano da ogni ragionevole intento di far valere un diritto ed assumono il
connotato dell’eccessività rispetto al fine, sì da costituire coartazione
dell’altrui volontà fino ad assumere aspetti di ingiustizia. Non è pertanto
valutazione manifestamente illogica il ritenere che l’intermediazione svolta
da un “soggetto mafioso” al fine di agevolare il recupero di crediti sia un
rimedio assolutamente sproporzionato rispetto al fine e che tale
comportamento integra ex se i caratteri di una condotta estorsiva.
Va ancora osservato che il Tribunale ha desunto la qualità personale del
FOTI, definito di elevata caratura criminale dalla circostanza che l’indagato
è già stato condannato con sentenza definitiva per il delitto di cui all’art. 416
bis cp e risulterebbe coinvolto in diversi procedimenti penali con l’accusa
di essere un autorevole componente della consorteria mafiosa dei

Il ricorso va quindi rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
9 17 c-0A-A.– tei_
e.
9 2-cARP.40 ,
processuali.
oti-cot) . Q4.

Così deciso in Roma il 5.6.2013

barcellonese operante nel settore delle estorsioni. Il Tribunale ha posto in
evidenza che dai colloqui intercettati intercorsi tra l’indagato e il MAZZU’
si evince la particolare spavalderia con la quale il primo si rivolge al
secondo, che versa, a sua volta, in condizioni di soggezione, avendo
assunto l’impegno di onorare il debito proprio in virtù dell’interessamento
dello stesso indagato.
Da ultimo il tribunale ha messo in evidenza che il MAZZU’ ha dimostrato in
modo evidente di essere ben conscio delle qualità dell’intermediario
definendolo come colui “…che comanda” nella zona di Torregrotta.
L’adeguatezza della motivazione, la correttezza nell’applicazione delle
norme di legge contestate, l’insindacabilità del merito della motivazione del
provvedimento impugnato costituiscono altrettante cause per la
dichiarazione di rigetto del motivo.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso va infine osservato che
contrariamente a quanto sostenuto in modo del tutto generico dalla difesa, il
provvedimento è adeguatamente motivato con il richiamo alle esigenze
previste dalla lettera c) dell’art. 274 cpp, desunte dalle modalità del fatto
(intermediazione per la riscossione del credito essendo l’agente privo di
qualsivoglia interesse proprio) e dalle qualità personali dell’indagato
essendo persona già condannata ex art. 416 bis cp e con carichi pendenti per
reati di cui all’art. 416 bis e 629 cp aggravato dall’art. 7.1. 203/91.

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