Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38643 del 05/03/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 38643 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :

1.
2.
3.

BIANCHI OSVALDO N. IL 16/02/1935
BARBIERI TIZIANO N. IL 23/08/1959
D’AGUANNO ELIA N. IL 11/01/1943

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI MILANO in data 26 aprile 2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Vincenzo Geraci che ha chiesto il rigetto dei
ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 26 aprile 2012 la Corte d’Appello di Milano confermava la
sentenza resa dal Tribunale di Milano in data 8 luglio 2010 appellata da Bianchi
Osvaldo, Barbieri Tiziano e D’Aguanno Elia. Questi erano stati tratti a giudizio e
condannati alla pena di giustizia per rispondere del reato di cui agli artt. 113, 40 cpv e
589 co 1 e 2 c.p. per aver cagionato, nelle rispettive qualità, la morte di Villamar
Medina Huan Carlos in cooperazione tra loro, per negligenza, imprudenza ed imperizia,
nonché per la violazione delle norme in materia degli infortuni sul lavoro come di
seguito specificato:
Bianchi Osvaldo quale legale rappresentante della Fonderia Riccardo Bianchi S.r.l. sita
in Milano, via Pindaro n. 25 e datore di lavoro; Barbieri Tiziano in qualità di socio della
predetta società con funzioni di Responsabile del Servizio Prevenzione; D’Aguanno Elia
quale Presidente della Minerva società cooperativa a responsabilità limitata e
responsabile addetto alla movimentazione dei materiali di facchinaggio.
In particolare al Bianchi ed al Barbieri per non aver verificato l’idoneità tecnicoprofessionale del lavoratore in relazione ai lavori da svolgere e per aver consentito o
comunque non impedito che il Villamar utilizzasse la molatrice in assenza di adeguato
dispositivi di protezione e di sicurezza nonché per non aver adeguatamente valutato ed
eliminato i rischi concreti che la molatrice presentava ed in violazione delle seguenti
norme:
art. 86 d.P.R. n. 547/1955 in quanto non presenti sulla molatrice cartelli che ne
individuassero i limiti di utilizzo quali ad esempio il diametro massimo della mola da
montare in relazione al numero di giri massimo;

Data Udienza: 05/03/2013

LI

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

Così sono ricostruiti i fatti nella gravata sentenza: nel primo pomeriggio del 13
settembre 2005 presso la Fonderia Riccardo Bianchi S.r.l. sita in Milano alla via Pindaro
25, Villamar Medina Juan Carlos, mentre lavorava alla macchina molatrice, veniva
investito da frammenti di mola esplosa durante le operazioni di sbavatura dei pezzi
metallici. Gli UPG della ASL subito intervenuti trovavano il corpo ancora in prossimità
del macchinario; vani erano i tentativi di rianimazione e l’infortunato decedeva per le
gravissime lesioni riportate.
Il macchinario veniva sequestrato; successivamente esperiti gli accertamenti ed i rilievi,
veniva restituito a sua richiesta all’imputato Osvaldo Bianchi; la società dopo l’infortunio
cessava l’attività, dismettendo i locali ed i mezzi di produzione tra cui la molatrice. Il
Villamar era socio lavoratore della Minerva società cooperativa r.l. che avrebbe dovuto
fornire alla Fonderia Bianchi, come da contratto, manodopera per la sola
movimentazione di materiali, vale a dire facchinaggio, la raccolta degli scarti e le pulizie
del magazzino e del cortile.
I giudici di merito sono rispettivamente pervenuti alla pronuncia di condanna (ed alla
sua conferma) evidenziando in particolare due profili di colpa a carico degli imputati:
l’aver utilizzato una macchina obsoleta, modificata ed insicura e l’aver adibito alla

art. 89 comma 1 e 2 del d.P.R. n. 547/1955 in quanto la cuffia di protezione non
presentava caratteristiche tali da resistere alla proiezione di pezzi derivanti dalla rottura
della mola ed inoltre non risultava conformata in modo tale da circondare la massima
parte periferica della mola stessa:
art. 91 d.P.R. n. 547/1955 in quanto la molatrice non risultava dotata di poggia pezzi;
art. 35 comma 1 D.Ivo n. 626/1994 in quanto la molatrice non risultava idonea ai fini
della sicurezza, poichè la mola veniva utilizzata a velocità superiori rispetto alle
condizioni stabilite dal costruttore;
inoltre in violazione delle seguenti inadempienze organizzative:
art. 7 commi 1, 2 e 3 D.Ivo n. 626/1994 per non aver documentato di aver fornito
informazioni circa i rischi specifici esistenti nella propria impresa alla cooperativa
Minerva; per non aver adempiuto agli obblighi di coordinamento delle misure di
sicurezza previste nei contratti di appalto, per non aver promosso gli obblighi di
coordinamento circa le misure di sicurezza di cui al comma 2;
art. 4 comma 5 lett. d) ed e) D.Ivo n. 626/1994 per non aver fornito al Villamar
informazioni specifiche circa il lavoro da svolgere e per aver affidato compiti non
previsti dal contratto di appalto non valutando le capacità del lavoratore;
art. 37 del D.Ivo n. 626 del 1994 per non aver documentato di aver fornito al Villamar
una informazione specifica sui rischi connessi all’utilizzo della molatrice;
art. 38 del Divo n. 626 del 1994 per non aver documentato di aver fornito al Villamar
una formazione specifica sui rischi connessi all’utilizzo della molatrice.
A D’Aguanno Elia avendo agito in violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza
sul lavoro, in particolare:
art. 7 comma 2 del D.Ivo n. 626 del 1994 per non aver adempiuto agli obblighi di
coordinamento delle misure di sicurezza con il datore di lavoro della Fonderia Bianchi;
art. 4 comma 5 lett. d) del D.Ivo n. 626 del 1994 per non aver fornito al Villamar
informative specifiche circa il lavoro sa svolgere;
ed in conseguenza di ciò il Villamar il giorno 13 settembre 2005, mentre era intento a
svolgere lavori di molatura materiali attraverso una molatrice veniva investito dai
frammenti della mola esplosa durante le operazioni di sbavatura dei pezzi metallici,
riportando lesioni personali dalle quali derivava la morte.
2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso a mezzo del proprio difensore:
2.1 D’Aguanno Elia deducendo la violazione dell’art. 606 1 comma lett. b), c)
ed e), la violazione dei criteri di valutazione della prova, la
contraddittorietà e mancanza di motivazione; l’erronea applicazione della
legge penale e la mancanza di motivazione in relazione agli artt. 40 e 589
c.p.;
Osvaldo Bianchi e Tiziano Barbieri con ricorso congiunto deducendo la
2.2
violazione dell’art. 606, 1 comma lett. e) c.p.p. in relazione agli artt. 125,
192,546 e 530 c.p.p.

macchina stessa un lavoratore, il Villamar, privo di qualifica e non adeguatamente
formato ed informato sui rischi di utilizzo della molatrice e per compiti non previsti dal
contratto di appalto.
La gravata sentenza resiste alle censure avanzate dai ricorrenti.
Quanto al ricorso del D’Aguanno, osserva la Corte: con il primo motivo il ricorrente
sostiene che la motivazione dei giudici di appello in ordine alle intervenute
manomissioni della molatrice sarebbero smentite dalle emergenze dibattimentali che
contraddirebbero gli assunti della Corte territoriale in merito al taglio della cuffia della
molatrice ed alle dimensioni della mola.
Anche a voler prescindere dalla circostanza che tale aspetto per quanto sopra
evidenziato attiene solo ad uno dei profili di colpa accertati dai giudici di merito, va
premesso che, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a)
“effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha
posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero
sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero
esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità
logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con
altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che
la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e
determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente
inficiare sotto il profilo logico la motivazione. Nella specie la motivazione della Corte
territoriale appare rispondente ai suddetti requisiti, essendo stati precisati i dovuti
riscontri istruttori degli assunti (desumibili dalle dichiarazioni testimoniali e degli stessi
imputati e dagli esiti della disposta consulenza tecnica), restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata,
purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez.
U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794.
Quanto al secondo motivo di gravame con cui viene dedotta l’assenza di reali
argomentazioni poste a fondamento del nesso causale, va in primo luogo osservato che
– come da costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis, Sez. 3, Sentenza
n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615) , le sentenze di primo e di secondo
grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora – come
avvenuto nel caso di specie- i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte
dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti
riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della
decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato
elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed
ampiamente chiarite nella decisione impugnata. Nella specie quanto al nesso di
causalità il Tribunale ha evidenziato, con argomentazioni congrue, appropriate e
coerenti con le risultanze emerse dall’istruttoria, che le manomissioni riscontrate nella
mola e l’adibizione del Villamar a compiti estranei a quelli previsti dall’appalto di
manodopera, integravano incontestabili antecedenti causali dell’evento che non si
sarebbe verificato in presenza dell’adozione della condotta richiesta.
Quanto al ricorso proposto congiuntamente dagli altri imputati, vanno in primo luogo
ribadite con riferimento al primo motivo le considerazioni appena formulate con
riferimento al nesso causale. A cui può aggiungersi, con riferimento alla specifica
doglianza, secondo cui sarebbe impossibile valutare la sussistenza o meno del nesso
causale non essendo stato possibile stabilire con esattezza la causa dello “scoppio” della
molatrice, che sul punto correttamente entrambe le sentenze di merito hanno
sottolineato come, indipendentemente dalle cause dello scoppio, le violazioni riscontrate
avevano comunque avuto carattere determinante nella causazione dell’evento e come
ciò che rilevi, considerato che l’esplosione della mola è un rischio residuale connaturato
al macchinario, piuttosto che le cause dello scoppio testo, le condotte per lo più
omissive che, non consentendo di fronteggiare le conseguenze della verificata
esplosione, hanno concorso a determinare l’evento letale.

Va premesso a riguardo- come condivisibilmente già ritenuto da questa Corte-,che se più sono
i titolari della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire l’evento, ciascuno è per
intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge (Cass. sez. 4, 19.5.2004 n.
46515 riv. 230398) fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della
suddetta posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è
addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. Ciò posto, il Bianchi, per la qualità
rivestita, appare sicuramente titolare di una posizione di garanzia che, come è noto, compete
al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi
dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa. Compete al datore di lavoro in
particolare l’istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori con la conseguente
necessità di adottare le dovute misure di sicurezza e, soprattutto, Il controllo continuo,
pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse
previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Quanto al Barbieri, lo stesso
pacificamente rivestiva il ruolo di RSPP. Come precisato da questa Corte, il RSPP, può essere
ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia
oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di
conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito
l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta
situazione (v. in tal senso Sez. 4, 21 dicembre 2010, Di Mascio, rv. 249626,ed i riferimenti in
essa contenuti). Il RSPP, quindi, è chiamato a rispondere qualora, agendo con imperizia,
negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento
sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di
lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a
questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale
che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010,
Scagliarini). Ciò perché, in tale evenienza, l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione
in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei
soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa
dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio:
con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con
imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un
suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo,
così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben può
e deve essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell’art.
113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell’evento dannoso derivatone.
Senza contare poi che nel caso di specie è emerso, quanto all’organizzazione del lavoro, che
era il Barbieri ad essere sempre presente in azie«da, ad assegnare i compiti ed a destinare il
personale alle macchine, ad evere infine contatti con la Cooperativa Minerva per il personale
1
necessario,c014, 47,,(4 atti/t, e
La decisione impugnata è, pertanto, in linea con i principi sopfa indicati, avendo la Corte di
merito apprezzato che l’incidente si verificò per evidenti carenze della macchina molatrice, il
cui rischio non era stato idoneamente posto in luce dal Barbieri.
.R

4. I ricorsi vanno pertanto rigettati; ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento

delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso nella camera di consiglio del 5 marzo 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

Deducono inoltre i ricorrenti la mancata valutazione soggettiva delle due diverse posizioni del
Bianchi e del Barbieri.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA