Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38544 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38544 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Serafino Elio, nato il 7 maggio 1960
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino del 21 maggio 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Eugenio Selvaggi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito.14~-.-4~43gareAin.li, per l’imputato t IMV

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Data Udienza: 27/05/2015

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RITENUTO IN FATTO
1. — Con sentenza del 21 maggio 2014, la Corte d’appello di Torino ha
confermato la sentenza del Tribunale di Alba del 26 novembre 2012, con la quale
l’imputato era stato condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione, oltre
pene accessorie, riconosciute le circostanze attenuanti generiche ed esclusa la
contestata recidiva, per il reato di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, al
fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva indicato nella

un imponibile di C 640.000,00 su un ammontare complessivo di acquisti imponibili pari
a C 650.403,00 così evadendo l’Iva per C 128.000, non esibendo una fattura e una
successiva nota di credito, riconducibili ad una società inesistente perché cessata da
anni, e non annotandole nel registro Iva acquisti 2006, così effettuando una falsa
rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi
fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento.
2. — Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. — Con un primo motivo di doglianza, si contestano la manifesta illogicità
della motivazione e l’erronea qualificazione del fatto quale «dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici». Si sostiene, in particolare, che la mancata registrazione della
fattura ritenuta falsa non potrebbe configurare la fattispecie di reato contestata, sul
rilievo che si sarebbe in presenza di una falsa fatturazione e non dell’uso di altri mezzi
fraudolenti. La difesa sostiene, inoltre, che sarebbe configurabile, nel caso in esame,
la fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, applicabile ratione
temporis, trattandosi di un fatto posto in essere il

10 ottobre 2007, data della

presentazione del modello unico 2007. La contestata evasione dell’Iva sarebbe, infatti,
di euro 128.000,00 e sarebbe perciò inferiore alla soglia prevista per l’applicazione
della fattispecie non attenuata. Si afferma, inoltre, che la fattura oggetto
dell’imputazione non sarebbe stata inserita nella contabilità dell’imputato e non
sarebbe stata conteggiata ai fini dell’imposizione tributaria, ma semplicemente
inserita, per errore materiale, nella dichiarazione Iva 2007. Si tratterebbe, del resto,
di una fattura mai emessa dalla società che risulta quale sua formale emittenti;
società che aveva cessato l’attività da diverso tempo. Non si sarebbe considerato,
infine, che non vi erano ulteriori mezzi fraudolenti utilizzati dall’imputato, il quale
aveva, nel corso dell’accertamento tributario, consegnato ai verificatori la
documentazione in suo possesso.

dichiarazione annuale relativa alle imposte per l’anno 2006 elementi passivi fittizi per

2.2. – In secondo luogo, si lamentano l’erronea applicazione dell’art. 223,
primo comma, del regio decreto n. 267 del 1942, nonché la manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del contestato reato
di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, sul rilievo che mancherebbe in concreto il
dolo specifico rappresentato dal fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore
aggiunto.
2.3. – Con una terza doglianza, si lamenta l’inosservanza dell’art. 163 cod.

sospensione condizionale della pena per l’esistenza di due condanne per delitti contro
il patrimonio. Non si sarebbe tenuto conto – secondo la difesa – del fatto che tali due
condanne si riferivano a fatti risalenti nel tempo e comunque uniti dal vincolo della
continuazione.
2.4. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa
Corte, la difesa sostiene che il reato sarebbe prescritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – La fattispecie deve essere riqualificata ex art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000,
con rigetto del ricorso nel resto.
3.1. – Tale disposizione prevede che «1. È punito con la reclusione da un anno
e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il
fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili
obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione
finanziaria». Un comma 3, abrogato dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, prevedeva un’ipotesi
attenuata, per cui, se l’ammontare degli elementi passivi fittizi era inferiore a euro
154.937,07, si applicava la reclusione da sei mesi a due anni.
Il successivo art. 3 prevede anch’esso la pena della reclusione da un anno e sei
mesi a sei anni, il requisito del dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi o sul
valore aggiunto, e punisce la condotta di chi, sulla base di una falsa rappresentazione
nelle scritture contabili obbligatorie e con l’utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l’accertamento, l’indichi nella dichiarazione annuale elementi attivi per un
ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, alla duplice condizione
che l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a

pen., perché la Corte d’appello non avrebbe ritenuto concedibile il beneficio della

euro 30.000,00 e che l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti
all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, sia superiore al
5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o,
comunque, superiore a un milione di euro. Tale duplice condizione è il frutto della
modifica della disposizione ad opera del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. Vi è, inoltre, la previsione espressa dì
una clausola di riserva («fuori dei casi previsti dall’articolo 2»).

Per delineare il rapporto tra tali fattispecie, è necessario partire da quanto già
affermato da questa Corte con la sentenza sez. 3, 23 febbraio 2012, n. 10987, con la
quale si è definitivamente confermata l’interpretazione secondo cui l’utilizzazione di
documenti materialmente falsi rientra appieno nella fattispecie di cui all’art. 2 del
d.lgs. n. 74 del 2000 e non in quella di cui al successivo art. 3. In tale pronuncia si è,
in particolare, evidenziato che l’art. 2 deve ritenersi applicabile sia al falso ideologico
sia al falso materiale, tenuto conto che la frode sanzionata da tale disposizione si
distingue da quella di cui al successivo art. 3, non per la natura del falso ma per il
rapporto di specialità reciproca esistente tra le due disposizioni legislative: ad un
nucleo comune, costituito dalla dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave
specializzate, nell’art. 2, l’utilizzazione di fatture o documenti equiparabili relativi ad
operazioni inesistenti e, nell’art. 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili
obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare
l’accertamento e con il superamento della soglia minima di punibilità (v. anche sez. 3,
9 febbraio 2011, n. 9673). In tale quadro, la condotta di dichiarazione fraudolenta
mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta una struttura
bifasica, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita a un falso
contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a
fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere
ad oggetto sia documenti contenutisticamente falsi emessi da altri in favore
dell’utilizzatore sia documenti materialmente falsi, cioè contraffatti o alterati. E ciò
perché — come visto — la falsità può cadere, oltre che sul contenuto della fattura,
anche sull’indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l’operazione, cosicché non vi è
alcun fondamento razionale per affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti
che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti, trattandosi, ad
esempio di nomi di fantasia, o siano soggetti che non abbiano mai avuto alcun
rapporto commerciale con il contribuente imputato. Per contro, la dichiarazione
fraudolenta sanzionata dal successivo art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 è costruita dal

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A3

legislatore come frode contabile alla quale deve associarsi in quid pluris non tipizzato
ma necessariamente diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, anche in senso
materiale, e comunque caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e a impedire il
corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione
d’imposta. E, a titolo esemplificativo, tale quid pluris può essere rappresentato: dalla
tenuta di una “contabilità nera”; dalla confusione di ricavi provenienti da fonti diverse,
in modo da impedire di individuare il titolare effettivo degli stessi; dallo spostamento

propri del contribuente. Si tratta infatti — come visto — di una fattispecie
espressamente prevista dallo stesso legislatore come residuale rispetto a quella del
precedente art. 2.
3.2. — La distinzione appena delineata trova applicazione anche in caso di
specie, in cui l’imputato ha formato una fattura materialmente falsa, attribuendone la
provenienza ad un soggetto non più esistente, ha registrato la fattura in questione nel
registro pagamenti, anche se non nel registro Iva, e l’ha comunque detenuta al fine di
prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
La fattispecie concreta deve dunque essere riqualificata, ai sensi del richiamato
art. 2, senza che tale riqualificazione abbia alcuna rilevanza per il trattamento
sanzionatorio, perché lo stesso è fissato da tale disposizione e dal successivo art. 3
nell’identica misura della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Né può trovare applicazione l’invocata circostanza attenuante di cui al
previgente comma 3 dell’art. 2, perché la stessa fa riferimento ad un ammontare degli
elementi passivi fittizi che sia inferiore a euro 154.937,07, mentre nel caso di specie
gli elementi passivi fittizi ammontano ad euro 640.000,00.
Quanto all’interesse ad ottenere la riqualificazione della fattispecie ai sensi
dell’art. 2 anziché ai sensi del successivo art. 3, deve rilevarsi che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, lo stesso è ravvisabile solo allorché il gravame sia in
concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l’eliminazione del provvedimento
impugnato, una situazione pratica più vantaggiosa di quella realizzata dal
provvedimento stesso (sez. 5, 21 dicembre 2010, n. 7064/2011; sez. 3, 24 marzo
2010, n. 24272, rv. 247685). Ciò che rileva a tal fine non è, però, l’effettiva
fondatezza della pretesa del ricorrente, ma la prospettazione contenuta nel ricorso, la
quale — nel caso in esame — è diretta ad ottenere la riqualificazione del fatto ai sensi
dell’art. 2 con il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al comma 3 di tale
articolo e la conseguente diminuzione della pena; cosicché non può ritenersi in limine
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artificioso di redditi tra soggetti rivolto a fare figurare come percepiti da terzi redditi

insussistente l’interesse alla riqualificazione in questione anche se dalla stessa
riqualificazione, all’esito del giudizio, non derivano conseguenze pratiche vantaggiose
per l’imputato.
4. — Il secondo motivo di impugnazione, che — al di là della sua intestazione
formale — è sostanzialmente riferito alla motivazione della sentenza impugnata circa il
dolo specifico di evasione dell’imposta, è manifestamente infondato. I giudici di merito
hanno, infatti, correttamente evidenziato che il dolo specifico emerge dal falso

provenienti da una società terza, in realtà non più esistente da alcuni anni, e diretto
all’inserimento in compensazione di un credito tributario basato su tali documenti.
5.

—Del tutto generico è il terzo motivo di doglianza, con cui si lamenta

l’inosservanza dell’art. 163 cod. pen., perché la Corte d’appello non avrebbe ritenuto
concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, per l’esistenza di
due condanne per delitti contro il patrimonio. La difesa non prende in considerazione
infatti — neanche a fini di critica — la corretta motivazione della sentenza impugnata,
che si pone in totale continuità con quella della sentenza di primo grado, secondo cui:
a) l’imputato ha già riportato due condanne per truffa; b) la circostanza che i fatti
oggetto della seconda condanna siano stati posti in continuazione con quello oggetto
della prima condanna non impedisce di formulare una prognosi negativa circa il
comportamento futuro dell’imputato; c) tale prognosi negativa si basa sulle
caratteristiche della condotta posta in essere, consistente in un falso materiale, che si
pone in totale continuità con la reiterata continuazione dei delitti precedenti delitti,
anch’essi commessi mediante frode.
6. — Né può essere dichiarata la prescrizione del reato. Lo stesso è stato,
infatti, commesso il 10 ottobre 2007, data della presentazione della dichiarazione. Al
complessivo termini di sette anni e sei mesi previsto per i delitti degli artt. 157, primo
comma, e 161, secondo comma, cod. pen. devono essere aggiunti 62 giorni di
sospensione del corso della prescrizione per l’adesione del difensore all’astensione
collettiva dalle udienze proclamata da un organismo di categoria (udienza del 20
marzo 2014). Ne consegue che il reato si prescriverà soltanto il 2 giugno 2015.
P.Q M
Qualificato il fatto ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2015.

materiale consistente nella redazione di documenti contabili apparentemente

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