Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38520 del 11/07/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38520 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gabin Alessandro, nato a Monaco di Baviera (Germania) il 29/04/1969

avverso la ordinanza del 22/02/2018 del Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Perla Lori, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Alessandro Gabin, a mezzo di difensore di fiducia, ricorre per
l’annullamento dell’ordinanza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale di
Catanzaro, in sede di riesame, confermava il provvedimento del 28 dicembre
2017 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, che gli
aveva applicato la misura cautelare carceraria in relazione al reato di cui agli
artt. 416 cod. pen. e 7 d.l. n. 151 del 1991 (capo 14).
Gabin era stato raggiunto dalla misura cautelare in quanto gravemente
indiziato della partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di
reati di truffa, falso, riciclaggio e furto.

Data Udienza: 11/07/2018

Secondo l’ipotesi accusatoria, Gabin ed altri (Luigi Muto, Antonio De Luca,
Morena Cola, Sante Aulisi, Aldo Chimenti, Francesco Tallarico, Martino Aulisi,
Dino Celano, Cristian Condorelli e Moncef Blaich) si sarebbero associati per
organizzare un sistema illecito volto a truffare ignari acquirenti di autovetture (in
realtà noleggiate a lungo termine in Germania e immatricolate prima in Bulgaria
e poi in Italia con falsa documentazione), ai quali le stesse venivano poi sottratte
(per restituirle alla società di noleggio), al fine di agevolare le attività della locale
‘ndrangheta cirotana.

società di noleggio “Grumptmann Auto Service Vermietung A.E.M.’, avrebbe
partecipato al sodalizio, quale noleggiatore di autovetture di lusso, le quali
venivano consegnate a Francesco Tallarico e Luigi Muto, per il tramite di
prestanome e di società controllate da questi ultimi, fornendo così i veicoli da
utilizzare per la commissione dei reati di truffa e riciclaggio.
Il Tribunale rilevava che la gestione dei noleggi all’estero del sodalizio era
risultata affidata alla società Grumptamann, gestita dal Gabin: la stessa aveva
noleggiato in più occasioni le autovetture in favore del sodalizio, come emergeva
sia da riscontri documentali sia dall’interrogatorio di garanzia reso dall’indagato
sia dalle captazioni telefoniche (Luigi Muto, che aveva rivelato attraverso le
intercettazioni le modalità illecite con cui operava il sodalizio, aveva anche
indicato Gabin come la persona che riforniva le autovetture da piazzare in Italia,
nell’ordine di un milione di euro).
Il Tribunale escludeva che l’attività svolta dall’indagato fosse da inquadrarsi
in una normale attività lavorativa di noleggio, essendo emerso, in termini di
gravità indiziaria, il suo diretto coinvolgimento nelle attività del sodalizio.
La polizia giudiziaria aveva invero accertato la partecipazione del Gabin a
due incontri avvenuti a Roma tra tutti i sodali. Proprio uno di questi incontri (al
quale aveva partecipato anche l’altro socio della Grumptamann) era stato
organizzato subito dopo il controllo eseguito dalla p.g. (23 febbraio 2017) di
un’autovettura noleggiata dal Gabin con a bordo il sodale Aulisi che trasportava
due targhe italiane e da una conversazione intercettata in ambientale era emerso
che l’indagato aveva commentato in modo irritato il comportamento del Muto,
dimostrando di essere ben a conoscenza del meccanismo illecito e del ruolo
assunto dai singoli partecipanti (Gabin nell’occasione si era lamentato delle
modalità con cui Muto stava gestendo i noleggi, senza dirgli nulla, creandogli
problemi con la Finanza). La intraneità del Gabin, secondo il Tribunale, era
emersa anche da altra conversazione in cui Francesco Tallarico gli aveva dato
ragione in occasione della vicenda sopra descritta, dicendo in aggiunta “siamo
tutti una famiglia”.

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Il Gabin, soggetto operante in Germania ed in Italia ed amministratore della

Quanto ai rapporti tra Gabin e la cosca cirotana Farao-Marincola,
rappresentata dal Tallarico, il Tribunale richiamava sia le vicende che avevano
visto il primo subire azioni anche gravemente intimidatorie da parte di
appartenenti delle cosche crotonesi, verosimilmente a causa della sua
propensione a non tener fede agli impegni presi (vicende descritte ai capi 104,
105 e 106 della rubrica provvisoria), che avevano fatto scattare la tutela a lui
approntata dalla cosca cirotana (uno dei suoi esponenti aveva preteso la
restituzione delle autovetture sottratte al Gabin), sia la circostanza che il Gabin

Questi elementi, secondo il Tribunale erano dimostrativi anche della finalità
della condotta del Gabin di agevolare la cosca Farao-Marincola, in quanto
mettendosi in affari e partecipando alle riunioni del sodalizio con personaggi di
cui conosceva la caratura mafiosa (che lo avevano anche salvato dagli attentati
posti in atto da cosche di altre aree territoriali), anche in considerazione del
rapporto prolungato con gli stessi intrattenuto, era consapevole della
destinazione degli introiti a favore della cosca cirotana.
Il quadro indiziario non poteva, per i Giudici del riesame, essere incrinato
dal comportamento posto in atto dal Gabin da ultimo nei confronti dei sodali,
allorché aveva presentato delle querele a causa di mancati pagamenti.
Sul fronte delle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva fondato il giudizio
espresso dal Giudice per le indagini preliminari in punto sia di pericolo di recidiva
che di adeguatezza della massima misura cautelare.
Le indagini avevano dimostrato come l’indagato si fosse reso
sistematicamente disponibile al noleggio di autovetture da destinare ai traffici
illeciti del sodalizio, negoziando con soggetti appartenenti a cosche di varia
estrazione, addirittura ponendosi in pericoloso contrasto con alcuni esponenti e
rischiando di essere ucciso, salvandosi solo grazie alla tutela accordatagli
dall’intervento della cosca cirotana.

2. Nel ricorso, l’interessato denuncia i motivi di seguito enunciati nei limiti di
cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 416 cod. pen.
Il provvedimento del riesame sarebbe basato, quanto al compendio
indiziario della partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale, su una catena
di congetture, viepiù in presenza di elementi in aperta discrasia con la ipotesi
accusatoria.
In particolare sarebbero assenti condotte proprie di un sodale o idonee ad
essere sussunte nello schema partecipativo (tali non potendosi considerare
quelle di noleggio, poste a monte della asserita catena truffaldina, non

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aveva rifornito di autovetture molti sodali della cosca.

accompagnate dalla consapevolezza della finalità di perseguire un’attività illecita
o il programma criminoso; o la partecipazione al

summit,

tenuto conto

dell’atteggiamento tenuto dal ricorrente di critica sulle irregolarità riscontrate)
mentre avrebbe il ricorrente dimostrato il compimento di un’attività radicalmente
in contrasto con la presunta affectio societatis (la presentazione di querele nei
confronti di alcuni sodali).
2.2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 416 cod. pen.
La motivazione sulla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in

frasi pronunciate dal ricorrente dopo il controllo del 23 febbraio 2017 e dal
Tallarico, valorizzate dal Tribunale, si riferiscono ad un contesto di rimostranza e
presa di distanza – e non di concordanza di intenti – da parte del primo per un
operato non trasparente posto in essere da altri soggetti e in modo apodittico
sarebbero state interpretate come un richiamo effettuato da parte del ricorrente
nell’ambito di una dinamica associativa.
Inoltre la riunione alla quale avrebbe partecipato il ricorrente restituisce un
altro dato significativo nell’ottica difensiva, ovvero che questi era tenuto
all’oscuro dei passaggi di intestazione delle autovetture, in evidente contrasto
con la massima di esperienza che vede nell’ambito di sodalizi criminali la
circolarità interna di informazioni specie quando siano quelli relativi ai
meccanismi operativi ed aspetti di rilievo la cui mancata conoscenza può mettere
a rischio l’operatività della stessa associazione.
In modo illogico il Tribunale poi avrebbe svalutato il significato, in termini di
tenuta della gravità indiziaria, delle querele proposte dal ricorrente, che invece
dimostravano una non condivisione, oltre che non conoscenza, di schemi
operativi estranei al ricorrente.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991.
La ordinanza impugnata non avrebbe affrontato il tema fondamentale del
dolo specifico ai fini della configurabilità della suddetta circostanza aggravante.
Tutti gli argomenti posti a fondamento dal Tribunale sarebbero irrilevanti a
tal fine.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275,
comma 3, cod. proc. pen.
La ordinanza impugnata illogicamente, pur avendo dato conto della
presentazione delle querele, elemento dimostrativo del successivo distacco dal
sodalizio da parte del ricorrente ai fatti, avrebbe poi ritenuto sussistenti le
esigenze cautelari e adeguata la massima misura cautelare (in ordine alla quale
avrebbe viepiù omesso di motivare, trasformando erroneamente la presunzione
relativa al riguardo in assoluta).

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riferimento al reato associativo sarebbe affetta da profili di illogicità: le poche

Le querele e poi l’interrogatorio reso dal ricorrente erano elementi che
rappresentavano plasticamente la crasi con il sodalizio, contrariamente al
pericolo di recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso non ha fondamento, lambendo in più tratti l’inammissibilità.

qualificata probabilità della partecipazione del ricorrente al sodalizio

criminoso,

non possono essere accolti.
Lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente
analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico
quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità
logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel
senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di
probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità del
ricorrente in ordine al delitto associativo.
Piuttosto, le censure difensive mirano ad una inammissibile parcellizzazione
delle risultanze investigative, in funzione di avvalorare una loro diversa lettura,
dotata nella prospettiva del ricorrente di maggiore plausibilità.
La ricostruzione della vicenda nell’ordinanza impugnata si fonda invece
proprio nella completa visione di insieme del compendio indiziario attraverso il
suo inquadramento sistematico prospettato dal Tribunale in termini di piena
razionalità.
In particolare, la motivazione della ordinanza impugnata ha invero basato il
quadro indiziario a carico del ricorrente partendo dalla rivelazione fatta da Luigi
Muto nel corso di un colloquio intercettato, con la quale aveva spiegato i dettagli
del sistema ideato per realizzare le truffe, sistema che trovava uno dei suoi snodi
essenziali nel noleggio delle auto in Germania, che poi venivano – attraverso
false immatricolazioni – destinate alla commercializzazione truffaldina in Italia.
Molteplici risultavano i riscontri dell’articolato piano criminoso che
attingevano la persona del ricorrente, quale partecipe al sodalizio criminale: il
controllo di p,.g. eseguito nei confronti del sodale Ausili, che aveva consentito di
accertare che questi circolava a bordo di un’auto noleggiata dal sodalizio dalla
società del ricorrente, trasportando due targhe italiane; la partecipazione del
ricorrente – emergente dagli esiti delle intercettazioni – ai due summit
organizzati dai sodali in tutta fretta subito dopo il controllo subito dal predetto e
nel quale era stata manifestata dai presenti la preoccupazione per l’accaduto e la

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2. Il primo ed il secondo motivo, con i quali viene confutato il giudizio di

consapevolezza della partecipazione al sodalizio (segnatamente, Gabin si era
adirato per come avevano proceduto alla regolarizzazione del noleggio dell’auto
controllata, senza attenersi alle sue indicazioni; Blaich, che si occupava delle
immatricolazione delle auto in Italia, temeva imminenti arresti; Tallarico,
esponente della cosca cirotana, si era adoperato per tranquillizzare tutti
ricordando che loro erano una sola “famiglia”).
Proprio il richiamo fatto dal Tallarico durante questi incontri, in un momento
in cui il sodalizio risultava fortemente scosso dal controllo subito, alla

Gabin che aveva a sua volta convenuto che questa appartenenza doveva
costituire per loro fonte di protezione reciproca.
Non si riscontrano infine illogicità manifeste nella lettura delle evidenze
investigative: proprio l’intraneità del ricorrente, evidenziata dall’evocazione della
“famiglia”, veniva a spiegare la sua lamentela nell’aver constatato, a seguito del
citato controllo di p.g., che il Muto avesse sbagliato a non avvisarlo sulle
modalità di gestione delle autovetture.
Appare invece generico il riferimento alle querele proposte dal ricorrente,
non avendo esplicitato elementi in grado di farne risaltare la rilevanza e quindi i
vizi della risposta sul punto offerta dal Tribunale.

3. Non ha fondamento la censura relativa alla aggravante speciale di cui
all’art. art. 7 dl. n. 152 del 1991.
Il ricorrente invero scompone il ragionamento giustificativo, cercando di
banalizzare, isolandoli, gli elementi complessivamente valorizzati dal Tribunale
per la dimostrazione, nei termini di gravità indiziaria, della ricorrenza della
finalità agevolatrice della cosca cirotana.
Va rammentato al riguardo che detta circostanza aggravante, nella forma
dell’agevolazione mafiosa – giusta l’inequivoco dato normativo del citato art. 7
(là dove postula che la condotta sia tesa «al fine di agevolare l’attività delle
associazioni previste dallo stesso articolo» 416-bis cod. pen.), richiede che la
condotta del soggetto risulti assistita, sulla base di idonei dati indiziari o
sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio
criminale (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015 2015, Arcone, Rv. 265881).
L’ordinanza impugnata ha in particolare evidenziato come il ricorrente fosse
ben calato nel contesto mafioso in cui operavano i sodali Muto e Tallarico, ovvero
gli artefici del sodalizio criminale al quale lui stesso partecipava (erano stati
costoro a dargli “protezione” una volta attinto da attentati subiti ad opera di altre
consorterie mafiose in relazione alla sua attività commerciale) e come avesse il

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appartenenza dei sodali alla medesima “famiglia”, era stato ben recepito dal

predetto contributo ad agevolare la cosca (le autovetture noleggiate tramite la
sua società erano utilizzate dagli stessi appartenenti alla cosca cirotana).
D’altra parte, il richiamo da parte del ricorrente alla protezione della
“famiglia”, evocata dal Tallarico, restituiva nel corpo della motivazione del
provvedimento impugnato un ulteriore elemento sintomatico che il contributo
prestato all’associazione fosse assistito da una cosciente ed univoca
finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale.

Non può trovare accoglimento neppure l’ultima censura relativa alle

esigenze cautelari.
Il Tribunale ha infatti adeguatamente motivato la prognosi di recidiva, in
termini di attualità e concretezza, ancorandola in modo plausibile alle modalità
oggettive della condotta e alla capacità dimostrata dal ricorrente di intrattenere
relazioni con soggetti di differenti organizzazioni criminali, sino al punto di porsi
in pericoloso contrasto con taluni di essi rischiando di essere ucciso.
Sulla base delle ravvisate esigenze cautelari, il provvedimento impugnato ha
poi fatto corretta applicazione della presunzione relativa di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere, operante – ai sensi del terzo comma dell’art. 275
cod. proc. pen. – per i delitti aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991. Presunzione
superabile soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti
elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure (tra tante, Sez. 2, n. 6574 del 02/02/2016, Cuozzo,
Rv. 266236).
A fronte di tale motivazione, le critiche difensive da un lato evocano un
parametro di giudizio del quale il Tribunale non ha fatto applicazione
(presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari) e dall’altro si
limitano a richiamare genericamente atti del procedimento (nella specie le
querele, di cui già si è detto, e l’interrogatorio reso dal ricorrente), non
consentendo in questa sede di apprezzarne la decisività.

5. Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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4.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma

1-ter,

disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso, il 11/07/2018.

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