Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38510 del 08/06/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38510 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Tallarico Ludovico, nato il 06/02/1975 a Crotone

avverso l’ordinanza del 23/01/2018 del Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito il difensore, avv. Alfredo Gaito, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, sezione
specializzata per il riesame, ha respinto il ricorso ex art. 309 cod. proc. pen. e,
per l’effetto, ha confermato nei confronti di Ludovico Tallarico l’ordinanza
impugnata del 28 dicembre 2017, con cui il Giudice delle indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro gli ha applicato la misura della custodia in carcere per
partecipazione all’associazione ‘ndranghetista denominata Farao-Marincola,

sub

capo 1). Secondo la contestazione, l’indagato avrebbe preso parte alla
consorteria occupandosi di mantenere i contatti con Luigi e Amodio Caputo,
coindagati nel presente procedimento, nonché con altri sodali dimoranti in

Data Udienza: 08/06/2018

territorio tedesco, contattando i fornitori delle imprese gestite dalla cosca,
contribuendo all’esportazione dei prodotti semilavorati alimentari delle due
società facenti capo ai due Caputo in Casabona e, dunque, promuovendo gli
interessi economici del sodalizio in Italia ed all’estero.

2. Nel ricorso a firma dei due difensori di fiducia, Ludovico Tallarico chiede
l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi
dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto associativo. A sostegno della deduzione, la difesa
evidenzia, da un lato, che il Tribunale ha stimato integrato il requisito ex art. 273
cod. proc. pen. sulla base delle chiamate in correità di Francesco Oliviero e
Francesco Farao, del tutto inconsistenti e generiche; dall’altro lato, che dette
chiamate sono prive di riscontri obbiettivi, non potendosi ritenere tali gli elementi
estrapolati dalle intercettazioni (del 29 settembre 2016 e del 19 e 20 febbraio
2017), in quanto frutto di travisamento da parte dei giudici della cautela.
2.2. Con il secondo motivo, Tallarico rileva la violazione di legge penale ed il
vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Con il primo motivo, Tallarico si duole della ritenuta gravità indiziaria in
ordine alla partecipazione all’associazione per delinquere di stampo
‘ndranghetista.
2.1. Occorre preliminarmente rilevare come, col ricorso per cassazione, non
siano coltivabili quei rilievi che, sia pure sotto la formale “insegna” della
contraddittorietà o della manifesta illogicità della motivazione, siano in effetti tesi
ad sollecitare una rivalutazione di questa Sede delle emergenze processuali e,
dunque, una ricostruzione della vicenda

sub iudice

diversa e stimata più

plausibile di quella recepita nel provvedimento impugnato, sospingendo questa
Corte ad un sindacato eccentrico rispetto al giudizio di legittimità, limitato alla
verifica della completezza e dell’insussistenza di vizi logici ictu ocull percepibili
(ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Con specifico riguardo alla materia delle misure cautelari personali, il ricorso
per cassazione che concerna la valutazione in punto di gravi indizi di
colpevolezza o di esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione
2

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione di legge penale

di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la
ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi
esaminati dal giudice di merito (da ultimo, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017,
Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
2.2. Di tali condivisibili principi non ha tenuto conto il ricorrente dal
momento che, oltre a riproporre dinanzi a questa Corte le medesime doglianze
già fatte oggetto del ricorso ex art. 309 cod. proc. pen. ed a non confrontarsi con

(circostanza già di per sé dante luogo ad aspecificità dei rilievi), muove censure
non coltivabili in questa Sede, là dove promuove una non consentita rilettura
delle emergenze processuali in un senso ritenuto più plausibile di quello prescelto
dai Giudici della cautela. Ciò vale con particolare riguardo alle censure mosse in
ordine alla lettura delle intercettazioni (indicata come travisata), con le quali il
ricorrente nella sostanza sollecita e propone un’ermeneusi degli scambi verbali
stimata più plausibile di quella recepita nei provvedimenti cautelari.

3. Ritiene, d’altra parte, il Collegio come il discorso giustificativo svolto dal
Tribunale del riesame di Reggio Calabria – valutato in unione al compendio
motivazionale dell’ordinanza coercitiva genetica (essendo l’ordinanza applicativa
della misura e quella che decide il ricorso ex art. 309 tra loro strettamente
collegate e complementari) – non presti il fianco alle censure dedotte col ricorso.
3.1. Ed invero, dopo un’ampia e diffusa introduzione sull’esistenza della
cosca Farao-Marincola nella provincia di Crotone, in particolare nel comune di
Cirò e in quelli limitrofi a Strongoli ed altri comuni, come accertata nell’ambito di
altri precedenti procedimenti penali decisi con sentenza passata in giudicato
(quali i c.d. Galassia, Bellerofonte, Eclissi, Ciclone, Tabula Rasa, Bad Boys,
Infinito, Stop, Kyterion), il Collegio ha sottolineato come la permanenza della
consorteria risulti confermata dal compendio indiziario acquisito nell’ambito del
presente procedimento c.d. Stige, costituito dalle dichiarazioni di diversi
collaboratori di giustizia (tra i quali, Giuseppe Giampà, Francesco Oliverio,
Giuseppe Vrenna e Francesco Marino e quindi Francesco Faro), dagli esiti delle
operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale (anche dei colloqui in
carcere di Giuseppe Farao con i familiari e di Giuseppe Giglio con i familiari), dei
servizi di o.c.p. su tutto il territorio nazionale nonché delle risultanze della
rogatoria internazionale in Germania. Il Tribunale ha poi evidenziato come,
all’imponente materiale investigativo, si siano aggiunte – ad ulteriore comprova
della gravità indiziaria in ordine all’esistenza dell’associazione Farao-Marincola le dichiarazioni di Francesco Farao, figlio di Giuseppe Farao (v. pagine 3 – 7
3

l’apparato logico argomentativo svolto in risposta dal Tribunale calabrese

dell’ordinanza impugnata). I decidenti del merito cautelare hanno dunque dato
atto dell’attuale operatività della cosca Farao-Marincola e dei legami di detta
articolazione con quella facente capo a Salvatore Giglio operante nel territorio di
Strongoli nonchè dei reati fine riportabili all’attività del sodalizio criminale (v.
pagine 7 – 11 dell’ordinanza impugnata).
3.2. Con specifico riguardo alla posizione di Ludovico Tallarico, il Tribunale
ha rilevato come la gravità indiziaria circa la contestata partecipazione
all’associazione di cui al capo 1) poggi su di una pluralità di emergenze

giustizia Francesco Oliviero, il quale ha indicato il ricorrente quale soggetto
deputato alla gestione delle imprese di famiglia – operanti nel settore edile e nel
movimento terra ed aventi il monopolio delle forniture di calcestruzzo nel
territorio di Casabona -, aggiungendo che l’indagato ed il fratello erano affiliati
alla ‘ndrina di Casabona. In secondo luogo, sulle dichiarazioni del collaboratore
Francesco Farao, il quale ha confermato l’affiliazione di Ludovico Tallarico e del
fratello Francesco alla consorteria cirotana, con funzione di reggenti del territorio
di Casabona, riferendo altresì del rapporto d’affari fra i Tallarico ed Eugenio
Quattromani, in linea con quanto indicato dal collaboratore Oliviero. Indi, su
molteplici evidenze investigative, quali: a) la circostanza che Ludovico Tallarico
sia amministratore unico di una società di famiglia nonché dipendente della
società del padre; b) il fatto che, come emerso dalle captazioni, Ludovico
Tallarico risulti direttamente coinvolto nella commercializzazione in Germania dei
semilavorati alimentari delle società di Luigi e Amodio Caputo costituente attività
imprenditoriale della cosca, come nitidamente si evince dai riferimenti espressi
fatti nelle conversazioni intercettate circa la comune appartenenza ad alla
famiglia (“siamo la stessa cosa”, “è della nostra famiglia”); c) le emergenze delle
intercettazioni circa l’attività svolta da Francesco Tallarico di recupero di somme
spettanti a Eugenio Quattromani; d) le risultanze delle intercettazioni, dei servizi
di o.c.p. e delle videoriprese concernenti le pretese estorsive avanzate da
Francesco e Ludovico Tallarico nei confronti di Marco Curatola, nell’interesse di
Giuseppe Sestito (v. pagine 11 – 20 dell’ordinanza impugnata).
3.3. Tirando le fila di quanto sopra, nel ritenere provata, sia pure in termini
di elevata probabilità, la partecipazione del Tallarico alla societas sceleris, il
Collegio del gravame cautelare ha dato conto non solo delle puntuali e
convergenti dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Francesco Oliviero e
Francesco Farao, ma ha evidenziato plurimi elementi obbiettivi individualizzanti,
acquisiti nel corso delle indagini, dimostrativi della operativa messa a
disposizione dell’organizzazione da parte dell’indagato in vista del perseguimento
degli scopi criminali oggetto del programma associativo nel settore della
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processuali. In primo luogo, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di

imposizione di forniture di materiali edili ed, all’estero, di prodotti agroalimentari delle società riferibili alla cosca nonché nelle estorsioni e nel recupero
delle somme con modalità mafiose. Con ciò perfettamente allineandosi alla
lezione ermeneutica espressa da questa Corte regolatrice in materia di
partecipazione all’associazione di tipo mafioso, là dove richiede che vi sia prova
non solo di un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto
organizzativo del sodalizio implicante, ma anche di un ruolo dinamico e
funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno

fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670; Sez. 1, n.
1470 del 11/12/2007, P.G. in proc. Addante e altri, Rv. 238838).

4. E’ inammissibile anche il secondo motivo in tema di esigenze cautelari.
4.1. Nel riproporre la doglianza già coltivata dinanzi al giudice del riesame, il
ricorrente non si confronta con il compendio argomentativo svolto dal Tribunale
in risposta, là dove, dato conto dell’incolpazione associativa elevata nei confronti
del Tallarico, ha giustamente rilevato come nella specie operi la duplice
presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e come essa non risulti
soverchiata da alcun elemento emergente dall’incartamento processuale ovvero
dedotto dalla difesa. Non può, d’altronde, sottacersi come l’essersi Tallarico
spontaneamente presentato alla Polizia avuta notizia dell’ordinanza a suo carico
non valga ad annullare o anche solo ad affievolire i pericula libertatis derivanti
dall’appartenenza ad un sodalizio criminale, connotato da stabilità e perduranza
nel tempo oltre che da estrema pericolosità, stante la negatoria degli addebiti e
l’insussistenza di elementi tali da recidere il legame associativo bene evidenziate
dal Tribunale calabrese (v. pagina 21 dell’ordinanza).

5.

Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma

dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in duemila euro.

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associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso 1’8 giugno 2018

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