Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38506 del 24/05/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38506 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
nel procedimento contro:
LA ROSA RAFFAELE nato a SAN BIAGIO PLATANI il 08/02/1959

avverso l’ordinanza del 19/02/2018 del Tribunale del riesame di Palermo
udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna;
udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Perla
Lori che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata;
udito il difensore, avvocato Antonino Gaziano del foro di Agrigento in difesa di
La Rosa Raffaele, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 24/05/2018

k

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo, adito ai sensi
dell’art. 309 del codice di rito avverso il provvedimento con cui il locale G.i.p.
aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di La
Rosa Raffaele, quale soggetto gravemente indiziato di aver partecipato
all’associazione per delinquere di stampo mafioso di cui al capo B) della rubrica
provvisoria – intesa come “famiglia di San Biagio Platani” – nonché della

tentati, di cui rispettivamente ai capi E), P) e Q) della rubrica medesima,
annullava l’anzidetta ordinanza ai sensi dell’art. 292, comma 2, lett. c), cod.
proc. pen., con conseguente immediata rimessione in libertà di La Rosa.

2. Il Collegio della cautela ravvisava nell’ordinanza del G.i.p. il vizio di
omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato.
2.1. Quanto al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., il Tribunale
evidenziava: 1) che la posizione del ricorrente era trattata in pochissime pagine
(da 178 a 182) del provvedimento; 2) che, dal confronto tra detto
provvedimento e la richiesta del Pubblico ministero, si ricavava che il G.i.p.
aveva effettuato un rinvio integrale alla richiesta del Pubblico ministero; 3) che,
all’esito dell’esposizione dei dati fattuali, il G.i.p. affidava la propria valutazione
alle osservazioni espresse in merito ai reati scopo, nonché al rinvio alla parte
dell’ordinanza in cui si illustravano gli incontri di mafia documentati dalla polizia
giudiziaria; 4) che nella parte relativa ai summit e incontri (pag. 418 e seg.)
veniva fatta una premessa generale e generica, in quanto riferita indistintamente
a tutti i soggetti cui era contestata la partecipazione all’associazione mafiosa,
oltre che apodittica poiché non si comprendeva il percorso che il giudice aveva
seguito nel ricollegare la singola riunione di volta in volta esaminata alla persona
dell’odierno indagato, rimanendo incerto che il giudice avesse valutato a quali e
a quanti incontri avesse partecipato il La Rosa.
2.1.1. Il Collegio della cautela riteneva, inoltre, impossibile comprendere:
– se fosse stata valutata la rilevanza di ciascun incontro e quali di tali incontri
indicati dalla polizia giudiziaria si fosse realizzato alla presenza del La Rosa;
– se fosse stato valutato il fatto che in taluni casi l’indagato veniva solo
menzionato dai partecipanti;
– quale fosse l’effettivo oggetto degli incontri;
– se e perché non fossero ravvisabili ragioni lecite alternative degli incontri
stessi.
2

commissione dei fatti di estorsione aggravata, uno consumato e gli altri due

2.1.2. A giudizio del Tribunale non emergeva, infine, se il G.i.p. avesse
valutato lo specifico contributo offerto da La Rosa all’associazione mafiosa.
2.2. Analoghe omissioni erano segnalate dal Collegio del riesame quanto ai
reati — fine, rispetto ai quali si riteneva sussistente il solo rinvio

per relationem

alla richiesta del Pubblico ministero.
All’esito della rappresentazione delle circostanze, il G.i.p., infatti, concludeva
sostenendo apoditticamente che non vi era alcun dubbio sulla responsabilità dei
«prevenuti». Si trattava, a giudizio del Tribunale del riesame, di

permettesse di dimostrare l’intraneità dell’indagato alla “famiglia mafiosa di San
Biagio Platani”.

3. L’ordinanza in questione, dopo avere premesso la legittimità del ricorso
alla tecnica della motivazione per relationem, ha espresso la propria adesione al
filone giurisprudenziale più rigoroso, in materia di ordinanze cautelari
concernenti una pluralità indagati e/o una pluralità di addebiti, escludendo che
l’autonoma valutazione del quadro indiziario possa essere fatta discendere dal
parziale rigetto della richiesta di misura e richiedendo che tale valutazione sia
individuabile per ciascuna posizione e con riferimento ai singoli addebiti
ipotizzati, nel rispetto dei diritti e principi costituzionali che informano la materia
in esame.
Il provvedimento impugnato ha evidenziato, altresì, che la trattazione degli
addebiti per cui si procede a carico del prevenuto consiste nella fedele
riproduzione delle pagine della richiesta del Pubblico ministero, eccezione fatta
per alcuni snodi della vicenda ritenuti del tutto irrilevanti dal decidente e non
riportati nel corpo dell’ordinanza cautelare.
In conclusione, a detta del giudice distrettuale della cautela, nell’ordinanza
genetica si rinvengono “mere clausole di stile”, ben lungi dalla prescritta
considerazione logica e critica degli elementi acquisiti, così risultando non solo
inespresso ma altresì del tutto incomprensibile

l’iter logico-giuridico che ha

condotto il giudice a ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico di
La Rosa Raffaele per gli addebiti a lui mossi, il che radica il vizio di “assoluta
mancanza di motivazione”, relativamente al profilo della gravità indiziaria.
Donde, appunto, il disposto annullamento della misura.

4. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo
deducendo i seguenti motivi:
4.1. Contraddittorietà e illogicità della motivazione, nonché erronea
applicazione della legge penale con particolare riferimento agli articoli 272, 292,
3

un’argomentazione sintetica che non dava conto di alcun vaglio critico che

comma 2, 309, comma 9, cod. proc. pen..
Il G.i.p., come lo stesso Tribunale del riesame ha dato atto, ha svolto
un’attività di selezione degli elementi indiziari addotti dal Pubblico ministero; tale
attività ha costituito il primo passo rispetto all’autonoma valutazione.
Nel provvedimento impugnato si da contezza degli elementi di fatto più
significativi riportati nella richiesta cautelare ed è stata effettuata una selezione
di tali elementi, riportando solo quelli più rilevanti a parere del G.i.p. rispetto a
quelli ben più ampi riportati dal Pubblico ministero nella sua richiesta.

in relazione alle imputazioni che agli indagati ai quali applicare la misura
cautelare, ed è stata graduata l’applicazione delle misure applicate rispetto alle
richieste dalla Procura della Repubblica. Infatti, a fronte delle settantasei
richieste di applicazione di custodia cautelare in carcere formulate dal Pubblico
ministero, il G.i.p. ha emesso sessantatre misure cautelari, di cui quarantotto in
carcere, undici arresti domiciliari e cinque obblighi di presentazione alla P.G.,
escludendo la sussistenza di numerose fattispecie di reato rispetto a quelle
contestate ed aggravanti a effetto speciale per taluni reati — fine.
La conclusione a cui è giunto il Tribunale del riesame è frutto di un
ragionamento contraddittorio e formalistico. Del resto, se così non fosse, non si
comprenderebbe perché lo stesso Tribunale del riesame non abbia annullato
integralmente l’ordinanza custodiate in oggetto, che è redatta interamente con lo
stesso metodo analitico valutativo che viene censurato solo in ventotto casi,
rispetto alle complessive sessantatre misure cautelari applicate.
4.2. Violazione dì legge con riferimento agli articoli 272, 292, comma 2;
309, comma 9, cod. proc. pen..
La giurisprudenza più rigorosa alla quale il Tribunale ha dichiarato di volere
aderire ha ritenuto che la tecnica del “copia incolla” ovvero della incorporazione
della richiesta del provvedimento coercitivo o ancora del rinvio per relationem
siano tutte opzioni possibili per la redazione del provvedimento, sempre che
siano esplicitati i criteri adottati dal G.i.p. a fondamento della decisione.
Nel caso in esame, il predetto, dopo aver effettuato una premessa di ordine
di carattere generale, e quindi valida per tutti gli imputati, ha sottolineato
l’importanza dei summit e degli incontri monitorati dai sistemi di
videosorveglianza fra gli esponenti delle varie famiglie, i quali vengono ritenuti
indispensabili nella valutazione degli indizi raccolti riguardo a ogni singolo
indagato.
Con riferimento al La Rosa, il G.i.p. ha riconosciuto la sussistenza di gravi
indizi di reato solo in relazione a una estorsione consumata e a due tentate

4

Inoltre, è stata accolta parzialmente la richiesta del Pubblico ministero, sia

estorsioni e ha motivato indicando nello specifico in cosa sia consistita la
condotta del predetto.
Anche in relazione ai reati per i quali il G.i.p. non ha ritenuto la sussistenza
dei gravi indizi di reato, nella motivazione si da atto delle intercettazioni e degli
altri

elementi

raccolti

ritenuti

rilevanti

quali

indizi

di

partecipazione

all’associazione mafiosa.
4.3. Quanto alle esigenze cautelari, le stesse vengono trattate alle pagine
1173-1175 dell’ordinanza genetica, ove si sottolinea che per i reati ascritti al La

Rosa opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, imponendosi per l’effetto l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza di cui trattasi.

2. Le Sezioni Unite della Corte di cessazione hanno evidenziato come «il
legislatore del 2015 ha chiaramente mostrato, anche con interventi paralleli su
più norme (gli artt. 292, comma 2, lett. c) e 292, comma 2, lett. c-bis) cod.
proc. pen.), di considerare fra gli obiettivi connotanti la riforma quello di
sanzionare qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del giudice,
delle tesi dell’ufficio richiedente, cosi da rendere effettivo il doveroso controllo
giurisdizionale preteso dalla Costituzione prima che dalla legge ordinaria, e da
rendere altresì forte la dimostrazione della specifica valutazione dell’organo
giudiziario di prima istanza sui requisiti fondanti la misura, precludendone la
sanatoria che potrebbe derivare dall’intervento surrogatorio pieno del giudice
della impugnazione, pure rimasto previsto nello stesso comma 9» (così, Sez. U.,
n. 18954 del 31/03/ 2016, Capasso, Rv. 266789).
Il tratto innovativo della riforma introdotta non riguarda tanto la previsione
del rafforzamento dell’obbligo di motivazione del giudice nella parte in cui si
richiede l’idoneità del provvedimento impositivo a soddisfare la necessità di una
chiara intelligibilità dell’iter logico-argomentativo posto a fondamento del
provvedimento coercitivo al fine di evitare motivazioni apparenti non
sostanzialmente riferibili ad un giudice terzo, quanto, piuttosto, nella modifica
dei poteri attribuiti, in fase decisoria, al Tribunale del riesame, con la previsione
di cui al comma 9 dell’art. 309 cod. proc. pen..
Al Tribunale è, infatti, attribuito il potere di annullamento dell’ordinanza che
non contenga l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292 cod. proc. pen.,
delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.

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k-

La riforma impedisce dunque al giudice del riesame di riformare i
provvedimenti cautelari afflitti dalle più gravi carenze motivazionali (motivazione
“radicalmente assente o meramente apparente”, o “mancante in senso grafico” o
consistente in mere “clausole di stile” di consistenza argomentativa nulla),
mentre permane il potere di correggere le argomentazioni insufficienti,
parzialmente carenti o contraddittorie.
La questione attiene alla verifica delle condizioni minime in presenza delle
quali è possibile affermare che il giudice della cautela abbia compiuto un effettivo
e autonomo giudizio valutativo.

necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di
colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., come
modificato dalla legge n. 47 del 16 aprile 2015, è osservata quando l’ordinanza
cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a
condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un
effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule
stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in
presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con
modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di
giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa
purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa
della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti di volta in volta,
considerati per essi sussistenti (Sez. 6, n. 1430 del 03/10/2017, dep.
15/01/2018, Palazzo, Rv. 272179; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, Sabounjian,
Rv. 267350).
2.2. In particolare, è stato puntualizzato che, ai fini dell’autonoma
valutazione non rileva un’analisi puramente strutturale delle proposizioni che
compongono la trama motivazionale, la lunghezza dei periodi sintattici o l’uso,
peraltro imposto dal contenuto motivazionale del provvedimento giurisdizionale,
di comuni e ricorrenti incisi stilistici, ma è necessario e sufficiente verificare che
siano stati esplicitati, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri
atti del procedimento, i criteri adottati dal giudice della decisione, ossia le ragioni
che giustificano l’emanazione del titolo cautelare (così, Sez. 6, n. 13864 del
16/03/2017, Marra, Rv. 269648; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 5, n.
11912 del 2/12/2015, dep. 21/03/2016, Belsito, Rv.266428).
2.3. Si è, inoltre, osservato che «in tema di motivazione delle ordinanze
cautelari personali, la previsione di “autonoma valutazione” delle esigenze
cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’art. 292, primo comma,
6

2.1. Questa Corte di legittimità ha spiegato che la prescrizione della

lett. c), cod . proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice di
esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del
procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non implica,
invece, la necessità di una riscrittura “originale” degli elementi o circostanze
rilevanti ai fini della disposizione della misura (Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017,
Rv. 269648).
Di qui la particolare attenzione che è stata dedicata, segnatamente a due
ricorrenti tipologie di provvedimenti, l’una costituita dalla motivazione

e l’altra — pure coincidente con il caso di specie — dalla

incorporazione nell’ordinanza del giudice della richiesta presentata dal Pubblico
ministero.
In linea generale, è stata ribadita, pur dopo l’entrata in vigore della legge n.
47 del 2015, la legittimità del ricorso a tali forme di motivazione, sempre che sia
possibile affermare che il giudice abbia fatto luogo ad «un effettivo vaglio degli
elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate,
spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e
delle esigenze cautelari nel caso concreto» (in tal senso, Sez. 3, n. 28979 del
11/05/2016 Rv. 267350): il che non può che valere, in forza dell’autonomia che
connota i singoli rapporti che s’instaurano in seno al procedimento, per ciascun
indagato e in relazione ai distinti fatti oggetto di incolpazione (cfr., in parte
motiva, la già citata Sez. 6, sent. n. 13864/ 2017), in tal senso ribadendo quindi
il Collegio la propria adesione all’indirizzo giurisprudenziale più rigoroso, a fronte
di quello che ritiene sufficiente, onde integrare il requisito dell’autonoma
valutazione, il fatto che l’ordinanza, «benché redatta con la tecnica del c.d.
copia-incolla, accolga la richiesta del Pubblico ministero solo per talune
imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego
opposto dal giudice o la diversa gradazione delle misure costituiscono, di per sé,
indice di una autonoma valutazione critica e non meramente adesiva, della
richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne” (così, da
ultimo, Sez. 2, n. 2575 del 4/05/2017, Rv. 270662).
Tale orientamento, secondo questo Collegio, non risulta rispettoso della
valenza costituzionale dei principi in gioco, quali la tutela della libertà delle
persone e il correlato diritto di difesa, nonché l’esercizio indipendente della
giurisdizione, dovendo il giudice che decide la compressione della libertà di un
determinato soggetto incentrare la propria valutazione sulla specifica posizione
del soggetto attinto dalla misura cautelare che costituisce oggetto di giudizio.
2.4. Alla luce dei principi sopra esposti, ritiene il Collegio che, mentre gli
elementi fattuali possono essere trascritti dal G.i.p. così come indicati nella
richiesta del Pubblico ministero e senza alcuna aggiunta, costituendo il dato
7

relationem

per

oggettivo posto alla base della richiesta, per ciò che concerne il profilo
prettamente valutativo, è essenziale che lo stesso sia esplicitato, trattandosi del
dato realmente qualificante della decisione assunta.
La sussistenza dello stesso va, ovviamente, analizzata, alla luce della totalità
dell’impianto motivazionale del provvedimento in esame (cfr. Sez. 6, n. 30777
del 20/06/2018; Sez. 6, n. 3067 del 03.10.2017, dep. 23.01.2018, Rv. 272135).

3. Deve evidenziarsi che il Tribunale del riesame di Palermo, pur

non sfuggire alle censure formalizzate dal Pubblico ministero ricorrente.
3.1. Invero, appare parziale la disamina compiuta dal Tribunale della
cautela, che di per sé vale a infirmare gravemente la tenuta logica del
provvedimento impugnato: quest’ultimo – come già si è avuto modo di rilevare
nella sintesi del suo contenuto in precedenza effettuata – nei pochi passaggi che
dedica alla verifica concreta dell’ordinanza del G.i.p. (avendo profuso la maggior
parte dell’impegno motivazionale nella individuazione dei principi di ordine
generale sottesi all’applicazione dell’art. 292, comma 2, lett. c), del codice di
rito), è esplicito nell’indicare nelle pagine da 178 a 182 quelle in cui viene
affrontato l’addebito associativo nei confronti del La Rosa di cui al capo B)
dell’incolpazione, rilevandone la conformità alle pagine da 324 a 328 della
richiesta cautelare a firma del Pubblico ministero.
Ne discende, inevitabile la conclusione che il Tribunale ha omesso di
valutare le ampie parti del ricorso collocate altrove e integralmente riprodotte nel
corpo del relativo atto in cui il G.i.p. si è soffermato sulla “premessa
interpretativa indispensabile” – tale definita dalla stessa ordinanza genetica – ai
fini della comprensione ed esegesi del quadro cautelare, con peculiare
riferimento al significato delle captazioni in atti, onde decretarne l’apparente
liceità, alla luce altresì della composizione dei mandamenti e delle singole
famiglie mafiose investigate.
Non senza aggiungere il riferimento del ricorrente alle ulteriori parti
dell’ordinanza genetica – delle quali pure non v’è traccia nel provvedimento
impugnato – dalle quali emerge che l’apprezzamento del quadro indiziario,
sempre in relazione all’anzidetto reato associativo, è stato operato dal G.i.p. alla
luce sia della partecipazione del prevenuto a una serie di incontri con esponenti
ritenuti mafiosi, sia degli elementi portati dagli inquirenti in relazione ai singoli
reati fine che avrebbero visto il coinvolgimento del La Rosa, elementi che, pur
reputati non sufficienti per taluni di essi, sono stati comunque tutti valutati dal
G.i.p. medesimo come significativi ai fini della costruzione indiziaria della
partecipazione del prevenuto all’associazione per delinquere sub B).
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richiamando i principi sopra enunciati, non si è a essi realmente attenuto, sì da

Il doveroso apprezzamento complessivo del quadro indiziario – quale
trasfuso nell’ordinanza genetica nella sua totalità, in adesione ai principi sopra
enunciati – non può che comportare l’annullamento, in parte qua, del
provvedimento in esame, dando atto, per un verso, che i menzionati richiami alle
parti suindicate dell’ordinanza genetica vanno intesi non certo quale non
consentita sollecitazione a una lettura dei fatti in chiave conforme alla
prospettazione accusatoria, bensì unicamente come dato di cui il Tribunale ha
omesso il doveroso apprezzamento, ferma la piena libertà in sede di valutazione;

nuovamente – circa la necessità della dimostrazione dell’esistenza della prescritta
valutazione autonoma per ciascun imputato e per ciascuna imputazione, va
rapportata alla peculiarità delle singole posizioni.
Ciò significa che, al di fuori di ogni automatismo, il giudice è comunque
tenuto a porsi il problema relativo al significato del parziale rigetto della richiesta
cautelare, al fine di tenere doverosamente conto di eventuali connessioni
esistenti fra i singoli addebiti, tali che l’adozione di soluzioni differenziate rispetto
alla richiesta cautelare sia suscettibile, all’esito della relativa disamina e in
considerazione della già rilevata “libertà di forme”, di essere apprezzata come
indice dell’avvenuto rispetto del requisito richiesto dall’art. 292 cod. proc. pen.,
fermo restando – come pure si è avuto modo di rimarcare in precedenza – che il
giudice del riesame, nello svolgimento della propria delicata funzione di controllo
in materia, deve manifestare particolare attenzione nel discernere l’ipotesi del
difetto di autonoma valutazione da quella dell’insufficienza della motivazione
rispetto alla quale ultima possono trovare applicazione i poteri integrativi
consentiti dalla legge.
3.2. Per ciò che concerne i fatti estorsivi, consumati e tentati, sub E), P) e
Q), il Tribunale trascrive le valutazioni di sintesi, nel senso della sussistenza della
gravità indiziaria, cui il G.i.p. ha fatto luogo, specificando che solo la seconda
delle tre costituisce una sorta di integrale riproduzione della conclusione in
proposito formulata dal Pubblico ministero procedente.
Dopodiché assume conclusivamente, come già per l’addebito associativo,
che nulla viene detto del percorso logico – giuridico posto a fondamento della
ravvisata configurabilità, nella condotta posta in essere dal De Rosa, degli
elementi costitutivi dei singoli reati – fine.
Ciò posto, rileva il Collegio che tale valutazione è parimenti censurabile dal
punto di vista logico, con conseguente annullamento anche di tale capi
dell’ordinanza.
Non può non constatarsi la radicale mancanza di riferimenti ai dati fattuali,
pure risultanti dal provvedimento del G.i.p. secondo quanto appena evidenziato,

e, per altro verso, che l’affermazione di ordine generale – che qui si ribadisce

essendo fin troppo ovvio il doveroso coordinamento con l’aspetto valutativo. Il
che palesa un vizio motivazionale ancor più manifesto, ove si consideri che il
capo d’incolpazione è assai puntuale nello specificare la condotta e, quindi, il
contributo causale rispetto alla consumazione del reato riconducibile ai singoli
soggetti coinvolti; condotta e contributo che – ferma anche in questo caso la
ovvia libertà di valutazione del giudice del rinvio – dovranno essere apprezzati
anche alla luce del ruolo ascritto al prevenuto in seno alla consorteria mafiosa in
cui è ritenuto coinvolto, ove confermato sul piano della gravità indiziaria, a

d’imputazione provvisoria, dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991, in
entrambe le forme contemplate dalla norma richiamata.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, gli atti devono dunque
essere rimessi al giudice del rinvio che, nel rispetto dei principi di diritto sopra
enunciati, farà luogo a nuovo esame, nella pienezza dei propri poteri.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale del
riesame di Palermo.
Così deciso il 24 maggio 2018

Il Preldente
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TOMANU 1A

10

maggior ragione per via della presenza, in entrambi i reati fine oggetto

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