Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38479 del 25/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38479 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 25/05/2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VINCI SEBASTIANO N. IL 10/03/1970
avverso l’ordinanza n. 49384/2016 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 18/05/2017
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
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MOTIVI DELLA DECISIONE

VINCI Sebastiano presenta ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p.
avverso la sentenza n. 42417/17 di questa Corte (sez. 6° Penale) rilevando
l’erronea qualificazione giuridica dei fatti e l’impossibilità di sussumerli nella
previsione di cui all’art. 317 c.p. a seguito dell’entrata in vigore della L. n.
190/2012 che ha introdotto la fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. Rileva che

accusatorie rese dalla persona offesa risulta come il VINCI non abbia mai fatto
nessuna minaccia, neppure larvata all’Abbate ma soltanto una richiesta di denaro
finalizzata ad un duplice vantaggio della persona offesa e consistente nella
certificazione della buona esecuzione dei lavori e nel risparmio sulla istallazione
del materiale. Aggiunge che l’argomento, sottolineato dalla corte territoriale e
condiviso da quella di cassazione, che la società rappresentata dall’Abbate aveva
già ottenuto l’aggiudicazione dell’appalto lungi dal confermare la concussione
proverebbe in pieno la tesi dell’induzione. Che non c’è stata costrizione sarebbe
altresì attestato dalla condotta tenuta dall’Abbate che, posto dinanzi all’indebita
pretesa patrimoniale non intendendo aderire alla richiesta, si è immediatamente
rivolto all’autorità. Circostanza quest’ultima che ha determinato un ulteriore errore
cioè quello di ritenere la fattispecie consumata anziché tentata.
Il 7 maggio veniva depositata memoria con la quale ulteriormente venivano
illustrati i motivi di ricorso.
Il ricorso è inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’errore di fatto
denunciabile con ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. consiste in un errore di
percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice ad
affermare l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo, la cui sussistenza o
insussistenza risulti invece in modo incontrovertibile dagli atti (Cass. Sez. 2, 23-52007 n. 23417; Cass. Sez. 6, 21-6-2007 n. 35509; Cass. Sez. 6, 19-2-2008 n.
27035).
Il suddetto errore deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice
rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o i
documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari
indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la
percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa,
deve esistere un nesso causale tale che, senza l’errore, la pronuncia sarebbe stata
diversa; deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità, ossia quelli che
la Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto

nel caso in esame, dal tenore dei dialoghi captati e dalle stesse dichiarazioni

all’interno dei motivi di ricorso, e deve incidere unicamente sulla sentenza di
cassazione (Cass. Sez. 2, 23-5-2007 n. 23417).
Poiché, dunque, il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. ha il solo scopo di
porre riparo a mere sviste o errori di percezione nei quali sia incorso il giudice di
legittimità, il rimedio in parola non può essere utilizzato per denunciare errori di
valutazione o di giudizio (Cass. Sez. Un. 27-3-2002 n. 16103; Cass. Sez. 6, 19-22008 n. 27035), in quanto, in caso contrario, esso finirebbe col trasformarsi in un

dell’istituto in esame e con il principio dell’intangibilità del giudicato, si porrebbe in
contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo
(Cass. Sez. 5, 5-4-2005 n. 37725). Pertanto, è da considerare inammissibile il
ricorso straordinario con cui si deduca una errata valutazione degli elementi
probatori, proprio perché l’errore di fatto preso in considerazione dall’art. 625 bis
c.p.p. consiste in una falsa percezione delle risultanze processuali in cui sia
incorsa la Corte di cassazione, con esclusione di ogni erroneo apprezzamento di
esse (Cass. Sez. 2, 23-5-2007 n. 23417).
Devono, inoltre, ritenersi estranei all’ambito di applicazione dell’istituto in esame
gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la
supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta
portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati
(Cass. Sez. Un. 27-3-2002 n. 16103; Cass. N. 35509 del 2007 Rv. 237514, N.
27035 del 2008 Rv. 240973 n. 3522 del 2009 Rv. 242658).
Nel caso di specie, tutte le censure mosse dal ricorrente si rivelano inammissibili,
in quanto esulanti dal campo di operatività del rimedio previsto dall’art. 625 bis
c.p.p., come sopra delimitato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00
euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro in favore della Cassa
delle ammende
Così deliberato in Roma il 25.5.2018
Sentenza a motivazione semplificata

ulteriore grado di giudizio; il che, oltre a confliggere col carattere eccezionale

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