Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38462 del 15/07/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38462 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUTTONE BRUNO N. IL 20/05/1972
IOVINE MARIO N. IL 18/09/1959
MARESCA VINCENZO N. IL 24/02/1957
SIMONIELLO MICHELE N. IL 23/07/1970
avverso la sentenza n. 1387/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
03/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
Udito i
o
che ha concluso per

Data Udienza: 15/07/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott.ssa P. Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Uditi altresì l’avv. I. Blasi, in sostituzione dell’avv. M. Biffa, per il ricorrente
Iovine, gli avv. L. Monaco e G. Stellato, per il ricorrente Simoniello, che hanno
concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

Vetere, per quanto è qui di interesse:
a) ha dichiarato Buttone Bruno colpevole del reato di cui all’art. 513 bis
(commesso negli anni 1998 – 1999) così come contestato sub E) e del reato,
contestato in fatto al capo E), di cui all’art. 629, secondo comma, in relazione
all’art. 628, n. 3, cod. pen. e art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con
modificazioni, nella I. 12 luglio 1991, n. 203, nonché del reato di cui all’art. 513
bis (commesso negli anni 1998 – 1999) così come contestato sub F) e del reato,
contestato in fatto al capo F), di cui all’art. 629, secondo comma, in relazione
all’art. 628, n. 3, cod. pen. e art. 7 cit.; escluso l’aumento facoltativo per la
circostanza aggravante ex art. 7 cit. e applicate le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione tra i
predetti reati, lo ha condannato alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione ed
euro 1000 di multa; ha assolto Buttone dal reato di cui al capo H), perché il fatto
non sussiste;
b) ha dichiarato Iovine Mario colpevole del reato di cui all’art. 513

bis

(commesso dal 1992 fino agli anni 1998 – 1999) così come contestato sub D) e
del reato, contestato in fatto al capo D), di cui all’art. 629, secondo comma, in
relazione all’art. 628, n. 3, cod. pen. e art. 7 cit., nonché del reato di cui all’art.
416 bis (commesso dal 1992 fino agli anni 1998 – 1999) – esclusa la qualità di
promotore – contestato al capo A) e, ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha
condannato alla pena di anni 9 di reclusone ed euro 1200 di multa;
c) ha dichiarato Maresca Vincenzo colpevole del reato di cui all’art. 513 bis
(commesso negli anni 1998 – 1999) così come contestato sub F) e del reato,
contestato in fatto al capo F), di cui all’art. 629, secondo comma, in relazione
all’art. 628, n. 3, cod. pen. e art. 7 cit., nonché del reato di cui agli artt. 110,
416 bis cod. pen. (commesso dal 1992 fino agli anni 1998 – 1999) contestato al
capo A) e, ritenuta la continuazione tra i predetti reati lo ha condannato alla
pena di anni 8 di reclusione ed euro 1000 di multa; ha assolto l’imputato dai
reati di cui ai capi D) e B) per non aver commesso il fatto;

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1. Con sentenza deliberata il 18/06/2013, il Tribunale di Santa Maria Capua

d) ha dichiarato Simoniello Michele colpevole del reato di cui all’art. 416 bis
cod. pen. (commesso dal 1992 fino agli anni 1998 – 1999) ascritto sub A) e lo ha
condannato alla pena di anni 4 di reclusione; ha assolto l’imputato dai reati
ascritti al capo D) per non aver commesso il fatto.

2. Con sentenza deliberata il 03/12/2014 la Corte di appello di Napoli:
– ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado limitatamente al
reato di cui agli artt. 629, 629 n. 3 cod. pen. a 7 I. 203 del 1991 pronunciata in

confronti di Iovine Mario e Maresca Vincenzo, disponendo trasmettersi gli atti alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
– previa concessione a Buttone Bruno della circostanza attenuante di cui
all’art. 8 I. 203 del 1991 e con le già concesse circostanze attenuanti generiche
ha rideterminato la pena per i reati di cui ai capi E) ed F) , come originariamente
contestati, in quella di anni 3 e mesi 2 di reclusione;
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Iovine Mario ex art.
649 cod. proc. pen. per precedente giudicato in ordine al reato associativo sub
A) e ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo D), come originariamente
contestato, un quella di anni 7 e mesi 6 di reclusione;
– ha rideterminato la pena per Maresca Vincenzo in relazione al reato di cui
al capo A) e al reato di cui al capo D), quest’ultimo come originariamente
contestato, in quella di anni 5 di reclusione;
– ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto
ricorso per cassazione Buttone Bruno, attraverso il difensore avv. S. Monicelli,
denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – inosservanza ed erronea applicazione
dell’art. 81 cod. pen. e vizi di motivazione.
La Corte di appello ha rigettato la richiesta di continuazione dei reati di cui ai
capi E) ed F) del presente procedimento con quelli di cui all’ordinanza ex art. 671
cod. proc. pen. del G.U.P. del Tribunale di Napoli in data 18/06/2014, in
considerazione della mancata produzione da parte della difesa delle copie
oggetto dell’indicata ordinanza e rinviando la valutazione alla fase esecutiva. Il
difensore del ricorrente aveva chiesto l’applicazione della continuazione tra i reati
oggetto del presente giudizio e quelli di cui alla sentenza del G.U.P. del Tribunale
di Napoli irrevocabile il 03/12/2013; solo successivamente è stata emessa
l’ordinanza ex art. 671 cod. proc. pen, con la q uale veniva riconosciuta la
continuazione tra le sentenze di cui ai punti da A) ed H), mentre la sentenza del

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relazione ai capi E) ed F) nei confronti di Buttone Bruno e al capo D) nei

03/12/2013 era indicata al punto G dell’elenco delle sentenze, sicché la difesa
chiedeva di valutare l’applicazione dell’istituto della continuazione anche con le
sentenze di cui all’ordinanza del 18/06/2014, essendo la sentenza del
03/12/2013 avvinta dal vincolo della continuazione con le sentenze di cui al
provvedimento. La Corte ha ritenuto di non poter valutare la richiesta senza le
copie della sentenza, ma non si è pronunciata sulla richiesta di continuazione con
la sentenza del G.I.P. di Napoli irrevocabile il 03/12/2013 inserita nell’ordinanza

4. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto
ricorso per cassazione Iovine Mario, attraverso il difensore avv. M. Biffa,
articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 513 bis cod. pen. e
manifesta mancanza di motivazione. La sentenza impugnata non ha
argomentato in ordine ai dati dichiarativi riferibili a specifici episodi suscettibili di
essere ricondotti alla fattispecie incriminatrice, soffermandosi sul contenuto delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma non sull’attitudine delle stesse ad
offrire elementi indicativi del concorso di Iovine negli atti di concorrenza
caratterizzati da violenza e minaccia. Le dichiarazioni di Ben Mansour sono del
tutto generiche quanto ad ipotesi ex art. 513 bis cod. pen. attribuibili al
ricorrente, mentre quelle rese da Diana Luigi, Di Bona Franco e La Torre Augusto
fanno riferimento al ruolo di gestione del settore dei videopoker da parte di
Iovine ma non anche ad eventuali fatti di illecita concorrenza con violenza e
minaccia. Le ulteriori dichiarazioni dei collaboranti consistono in mere asserzioni.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 133 cod. pen. Mario Iovine è
stato condannato in separato giudizio per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.,
ma il suo ruolo associativo risulta in fatto nuovamente addebitatogli nella
commisurazione della pena per il diverso delitto

ex art. 513 bis cod. pen.,

laddove non è legittimo utilizzare a fondamento dell’apprezzamento della
proporzionalità della sanzione il dato rappresentato da diversa e autonoma
condotta delittuosa.

5. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto
ricorso per cassazione Maresca Vincenzo, attraverso il difensore avv. M.
Valentino, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia erronea applicazione della legge processuale e vizi
di motivazione circa il mancato riconoscimento del ne bis in idem in ordine ai

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al punto G).

reati di cui agli artt. 416 bis e 513 bis cod. pen. I fatti storici per i quali Maresca
è stato imputato nel presente processo e in quello definito sono gli stessi: in
entrambi i casi viene indicato e riconosciuto come il “ragioniere” che
periodicamente si recava presso gli esercizi commerciali della zona del casertano
– e in particolare a Marcianise – per rendicontare i proventi delle macchine di
videopoker; diverge nei due processi la qualificazione del reato associativo (art.
416 cod. pen. aggravato ex art. 7 d.l. 152 del 1991, nel processo definito; art.
416 bis cod. pen., nel presente processo), ma la contestazione appare omologa,

sovraintende al conteggio degli incassi delle macchine di videogiochi, mentre nel
presente processo è ritenuto gestore per conto di Mario Iovine. La sentenza
impugnata rileva la differenza del tempus commissi delicti e dei sodali, ma dalla
sentenza irrevocabile si rileva che ben prima del 2005 Maresca agiva in nome e
per conto di Renato Grasso, tanto che fu disposta la confisca di una polizza
assicurativa contratta dal ricorrente in epoca molto remota. Del tutto assente è
la motivazione in ordine al reato di cui all’art. 513 bis cod. pen., che prescinde
dal soggetto o dai soggetti cui ci si collega per operare, sicché risulta
indifferente, ai fini della contestazione, il soggetto o i soggetti dei quali
l’imprenditore si avvaleva, rilevando solo il comportamento illecito attraverso il
quale il soggetto impone il proprio prodotto commerciale o industriale. A ciò si
aggiunga che nel processo definito la contestazione era indicata “con condotta
perdurante fino al 2007”, sicché, mancando il dies a quo, il lasso temporale
preso in esame nel presente procedimento altro non è che un segmento di
condotta inglobato nel precedente in cui Maresca è stato condannato, tanto più
che risulta coincidente il /ocus commissi delicti.
Il secondo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale
sostanziale e vizi di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della
continuazione. La modulazione dei lassi temporali dei reati oggetto dei diversi
procedimenti dimostra che fin dagli anni ’90 Maresca aveva deciso il proprio
modus operandi, sia interfacciandosi direttamente con gli esponenti apicali di
sodalizi criminosi, sia agendo sotto l’egida di Renato Grasso, tanto più che la
sentenza impugnata fa riferimento alla prosecuzione dell’attività di imposizione
dei videopoker.
Il terzo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale sostanziale
e vizi di motivazione in ordine alla quantificazione della pena e alla mancata
applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo i giudici di
merito tenuto conto né del comportamento processuale del ricorrente, né
dell’epoca remota dei reati.

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in quanto nel processo definito Maresca è un prestanome di Renato Grasso che

6. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto
ricorso per cassazione Simoniello Michele, con due distinti atti a firma dell’avv. L.
Monaco e dell’avv. G. Stellato, articolando le doglianze di seguito enunciati nei
limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Il ricorso a firma dell’avv. L. Monaco articola tre motivi.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 179 e 161 cod. proc. pen. La
Corte di appello ha rigettato l’eccezione di nullità della notifica del decreto di
citazione sul presupposto che dagli atti non risulti alcuna elezione di domicilio,

decreto di fermo del 22/12/2006.
Il secondo motivo denuncia mancanza di motivazione in ordine alla richiesta
difensiva di declaratoria di intervenuta prescrizione del reato proposta nel corso
dell’udienza del 03/12/2014, rilevando come dagli atti risulti una cessazione
dell’appartenenza al sodalizio risalente al settembre del 1999.
Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione agli artt. 192,
comma 3, cod. proc. pen. e 110, 416 bis cod. pen. La Corte di appello ha
affermato che la chiamata in correità di Michelo Froncillo ha trovato conferma
nelle dichiarazioni rese da Bruno Buttone, al quale – in difformità dalla sentenza
di primo grado – è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 8
d.l. 152 del 1991 pur in assenza di motivazione circa la credibilità oggettiva e
soggettiva della sua collaborazione, intervenuta all’esito dell’istruttoria
dibattimentale. La sentenza di appello non ha dato risposta ai motivi di appello
circa la qualificazione giuridica della condotta contestata, laddove dall’istruttoria
dibattimentale non è risultato uno stabile inserimento del ricorrente
nell’associazione criminosa, sicché il suo breve coinvolgimento – nove mesi,
secondo quanto risultante dalle intercettazioni – è indice di una condotta che si
attaglia all’estraneo.
6.2. Il ricorso a firma dell’avv. G. Stellato articola due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in
relazione agli artt. 110, 416 bis cod. pen. La Corte di appello ha fondato la
propria decisione sulle dichiarazioni dei collaboratori Froncillo e Buttone e su
alcune conversazioni. Tra le dichiarazioni dei due collaboratori non vi è
coincidenza, in quanto Froncillo colloca l’operatività di Cerullo e di Simoniello nel
medesimo periodo anche se in zone diverse, mentre Buttone colloca l’operatività
di Simoniello in un momento successivo a quello di Cerullo, a causa
dell’inaffidabilità di quest’ultimo. La Corte di appello non ha affrontato il tema
della rilevanza penale di un rapporto interpersonale tra Simoniello e Cerullo al di
fuori di rapporti o contatti con i soggetti che avrebbero dovuto rappresentare gli
interessi del gruppo criminale di appartenenza, tanto più che già il G.I.P., nel

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laddove il ricorrente ha dichiarato domicilio in occasione dell’esecuzione del

rigettare la richiesta cautelare nei confronti del ricorrente, aveva evidenziato la
mancanza di elementi specifici e strutturali del delitto associativo. La sentenza
impugnata non ha motivato sui punti indicati nel gravame relativi alla condotta
concreta e alla necessità dello stabile inserimento nel sodalizio, tanto più che i
medesimi difetti motivazionali inficiavano anche la sentenza di primo grado. La
posizione del ricorrente ricavabile dagli atti si esaurisce nel mero rapporto
interpersonale (Simoniello – Cerullo), durato un limitatissimo arco di tempo, il
che richiedeva un approccio valutativo e un esame differenziale tra diverse

Il secondo motivo denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in
relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen.: la difesa aveva chiesto l’applicazione
delle circostanze attenuanti generiche, con riguardo all’epoca dei fatti e alla
brevità del ritenuto periodo di partecipazione associativa, ma la sentenza
impugnata non ha motivato sul punto.
6.3. Con motivi aggiunti depositati il 30/06/2015, l’avv. L. Monaco ha
chiesto l’estinzione del reato per prescrizione, maturatasi il 30/01/2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza deve essere annullata senza rinvio perché i reati – commessi al
più tardi il 31/12/1999 (ed anche prescindendo dalle contestazioni in ordine al
tempus commissi delicti proposte dal ricorso Simoniello) – risultano estinti per
prescrizione.
Rileva il Collegio che i ricorsi proposti nell’interesse di Buttone (in
particolare, avuto riguardo – in una fattispecie analoga a quella esaminata da
Sez. U, n. 1 del 19/01/2000 – dep. 28/06/2000, Tuzzolino – alle doglianze
relative alla sentenza divenuta irrevocabile il 03/12/2013), di Iovine (con
riferimento, in particolare, alle censure relative all’individuazione delle condotte
illecite tipicamente concorrenziali: cfr. Sez. 2, n. 29009 del 27/05/2014 – dep.
04/07/2014, Ciliberti ed altro, Rv. 260039, richiamata dal ricorso), di Maresca
(con particolare riferimento al primo motivo) e di Simoniello (con particolare
riferimento al secondo e al terzo motivo del ricorso dell’avv. Monaco e al primo
motivo del ricorso dell’avv. Stellato) non risultano inammissibili. Di conseguenza,
considerati la comminatoria edittale all’epoca del fatto e l’aumento massimo per
la circostanza ex art. 7 cit., applicando la disciplina anteriore alle modifiche
introdotte dalla legge n. 251 del 2005, al termine di 15 anni ex artt. 157, primo
comma, n. 3, e 160, ultimo comma, cod. pen. (31/12/2014) occorre aggiungere
il periodo di sospensione del corso della prescrizione di complessivi 140 giorni
(pari al rinvio del dibattimento in primo grado dal 11/12/2012 al 05/03/2012,

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fattispecie, sollecitato dalla difesa ma omesso dalla sentenza impugnata.

segnalato dalla Corte di appello, e dal 20/03/2012 al 15/05/2012), sicché la
fattispecie estintiva dei reati per prescrizione si è perfezionata il 20/05/2015.
Non emergono, alla luce della sentenza impugnata, elementi che debbano
comportare, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., il proscioglimento nel merito
dell’imputato. Al riguardo, occorre osservare che, secondo il consolidato
orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato il
giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art.
129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad

dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo
assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione ictu ocu/i, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile
con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274), ipotesi, queste, che non ricorrono nel
caso in esame. Pertanto, la sentenza deve essere annullata senza rinvio per
essere i reati estinti per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per
prescrizione.
Così deciso il 15/07/2015.

escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte

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