Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38462 del 15/06/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38462 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CANGEMI SANDRO nato a CALTANISSETTA il 27/03/1985

avverso la sentenza del 15/09/2016 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO
che ha concluso per l’inannmissibilita’ del ricorso

Data Udienza: 15/06/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza in data 15/9/2016, la Corte di appello di

Caltanissetta confermava la decisione del Tribunale della medesima città in data
13/3/2014, con cui Cangemi Sandro è stato condannato alla pena di anni tre e
mesi sei di reclusione ed C 2.000,00 di multa per i reati, in continuazione, di cui
agli artt. 640 e 648, 61 n. 2, cod. pen., con la recidiva specifica ed

2. Avverso la suindicata sentenza ricorre per cassazione il difensore,
nell’interesse dell’imputato, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con il primo motivo, lamenta l’erronea applicazione della legge
penale; la motivazione, inoltre, sarebbe apodittica e carente, nonché frutto del
travisamento delle prove. In particolare, quando al delitto di truffa, deduce
l’insussistenza della condotta decettiva tale da indurre in errore la persona
offesa, giacché tra questa e l’imputato non era intercorso alcun rapporto diretto
ed essendo il ricorrente entrato in contatto con il solo corriere, cui aveva
consegnato l’assegno (dato, questo, inconfutabilmente desunto dalle emergenze
istruttorie e di cui si dà espressamente atto a pag. 3 sentenza impugnata).
Lamenta che in sentenza non siano indicati elementi deponenti per la
realizzazione da parte dell’imputato di artifizi o raggiri, richiamando al proposito i
principi affermati da questa Corte in casi analoghi, secondo i quali il pagamento
effettuato con assegni privi di copertura non sarebbe di per sé tale da integrare il
delitto contestato, se non accompagnato da ulteriori circostanze o
comportamenti ingannatori. Difetterebbe inoltre il dolo generico richiesto dalla
norma incriminatrice, il quale deve necessariamente interessare tutti gli elementi
del reato (non ravvisabili tuttavia nella specie, stante quanto supra) e sussistere
sin dall’inizio della commissione dello stesso.
Quanto al delitto di ricettazione, il giudizio di condanna deriverebbe
anch’esso dal travisamento dell’istruttoria dibattimentale e sarebbe stato
infondatamente ed illegittimamente tratto dai precedenti penali dall’imputato, di
cui la condotta contestata si assumerebbe essere la riproposizione. In
particolare, i giudici di merito avrebbero omesso di considerare che il ricorrente,
inconsapevole della falsità del titolo di credito, si era limitato a ricevere la merce
ordinata dal fratello e convivente Luigi con l’assegno da questi consegnato.
Osservato come tale circostanza fosse dimostrativa della coabitazione tra i
congiunti, contesta come in sentenza si assuma che l’imputato abbia consegnato
l’assegno dopo avervi apposto la propria firma; ciò che sarebbe dubitabile,

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infraqu i nquen na le.

trattandosi di un assegno circolare. Né sussisterebbe l’elemento soggettivo del
reato, stanti i principi di questa Corte che escludono il dolo di ricettazione da
parte di chi riceve beni di provenienza delittuosa nell’ambito di un rapporto
familiare. I giudici di merito, inoltre, ritenuti i testi pienamente attendibili e non
bisognevoli di ulteriori riscontri, avrebbero omesso di indicare le ragioni per cui
hanno ritenuto priva di dignità probatoria la tesi difensiva.
Rileva come ai fini dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen.

mezzo, fosse diretta alla commissione dell’altro delitto e rileva la sussistenza,
nella specie, dei presupposti di cui all’art. 648, comma 2, cod. pen., in
considerazione dell’attività svolta dalla persona offesa (commerciante nel settore
della caccia), tale da escludere la verificazione di un danno ostativo alla
configurabilità della circostanza.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, per non essere stato dato riscontro alle
censure difensive mosse con l’atto di appello; né all’uopo potevano ritenersi
esaustivi “gli arresti giurisprudenziali citati dalla Corte di appello” ovvero il mero
generico riferimento agli “elementi acquisiti”. In particolare, quanto riferito dal
teste Bruno sul fatto che era stato l’imputato a negoziare il titolo, sottoscriverlo e
a ricevere la merce, non poteva far “scadere” ad irrilevanza probatoria l’assunto
difensivo, di guisa che questo apparisse del tutto sfornito di prova e contrastante
con l’evidenza probatoria e, dunque, adempiuto l’onere di motivazione che, in
caso di elementi di prova offerti dalla difesa, impone al giudice una valutazione
critica alla luce di tutte le risultanze acquisito nel corso del procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile per essere i motivi manifestamente infondati.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Ai fini della
configurabilità della truffa, non occorre l’identità fra la persona indotta in errore e
la persona che ha subito il danno patrimoniale, purché, anche in assenza di
contatti diretti fra il truffatore e il truffato, sussista un nesso di causalità tra
l’induzione in errore, il profitto ed il danno (Sez. 2, n. 2281 del 6/10/2015, dep.
20/1/2016, Rv. 265773). Principio, questo, applicabile alla specie, giacché, alla
luce di quando indicato nelle sentenze di merito, l’imputato ha consegnato
l’assegno al corriere Bruno Pietro in pagamento della merce venduta dalla ditta
“Red Rock”, di cui la persona offesa era legale rappresentante.

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occorra accertare che la volontà dell’agente, sin dalla commissione del reato-

3.2. Quanto alla sussistenza dell’elemento oggettivo della truffa, è
precisato in sentenza che l’assegno, di cui è stata comprovata in giudizio la
falsità (si richiama al proposito in motivazione la deposizione del teste di p.g.
Galli), fosse stato negoziato dal ricorrente sotto il falso nome di Cangemi Luigi, a
titolo di pagamento della merce sopraindicata. È inoltre precisato come
altrettanto falsi fossero risultati i recapiti telefonici da questi forniti, intestati ad
altri soggetti. La condotta dell’imputato è stata quindi correttamente ritenuta

un’operazione di falsificazione, strumento del raggiro per la commissione
della truffa. È, quindi, del tutto inconferente da parte del ricorrente il richiamo ai
principi giurisprudenziali elaborati con riferimento alla configurabilità del delitto

de quo nell’ipotesi di pagamenti effettuati con assegni scoperti.
3.3. Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, le relative
doglianze sono inammissibili poiché genericamente dedotte.
3.4. Manifestamente infondate sono le censure con cui si è dedotto il
travisamento della prova. Lungi dall’aver basato il giudizio di responsabilità sui
precedenti penali dell’imputato, la Corte territoriale ha indicato il materiale
probatorio ad esso sotteso, costituito dalle dichiarazioni dei testimoni, precisando
di averle ritenute attendibili stante la loro precisione, linearità ed inserimento nel
contesto di collaudati e comprovati rapporti commerciali.
Il giudice di appello risulta inoltre aver preso in esame i rilievi difensivi
secondo cui l’imputato si sarebbe limitato a ricevere la merce, inconsapevole
della falsità dell’assegno ricevuto. Invero, si è evidenziato come l’imputato non
solo ritirò la merce, ma consegnò l’assegno di provenienza delittuosa in
pagamento, dopo avervi apposto la firma. Se a ciò si aggiunge, per come
asseverato in sentenza, che in atti non risulta alcuna traccia della vera identità
del “fantomatico Cangemi Luigi” che avrebbe ordinato la merce e che le utenze
indicate durante le trattative sono poi risultate intestate ad altri soggetti,
l’affermazione di colpevolezza non sconta alcuna illogicità, in quanto la ricezione
della merce è avvenuta nell’ambito di un preordinato piano truffaldino volto
proprio ad indurre in errore la controparte al fine di acquisire l’ingiusto profitto.
Né, d’altro canto, può aprioristicamente escludersi che l’assegno non sia stato
sottoscritto sul rilievo che si trattasse di assegno circolare, posto che anche per
tali titoli non è esclusa la girata e nulla è stato dedotto sulla natura non
trasferibile da parte del ricorrente, con la conseguenza che la censura risulta
generica; inoltre, trattasi di assegno falsificato. Non sussiste, dunque, alcun vizio
di travisamento della prova: il ricorrente sotto tale vizio in realtà censura la

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decettiva, trattandosi, nella specie, di utilizzo di un titolo di credito frutto di

valutazione della prova che compete al giudice del merito e che risultando
adeguatamente motivata non è sindacabile, né consentita in questa sede.
3.5. Le deduzioni circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo per avere
l’imputato asseritannente ricevuto il titolo di credito da un familiare sono
motivatamente disattese in ragione della ricostruzione operata che individua nel
ricorrente colui che scientemente ordinò la merce pagandola con un assegno di
provenienza delittuosa. La ricezione dell’assegno in mala fede, peraltro, è stato

le quali l’imputato ne è venuto in possesso, in aderenza ai principi affermati da
questa Corte di legittimità in materia (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino,
Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265).
3.6. Correttamente è stata esclusa l’attenuante speciale di cui all’art. 648,
comma 2, cod. pen., in ragione del danno cagionato (si rimarca che
l’applicazione dell’attenuante presuppone la causazione di un pregiudizio di
valore economico pressoché irrisorio, sia quanto al valore in sé della cosa
sottratta, che per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla parte offesa; Sez.
2, n. 50660 del 5/10/2017, Rv. 271695), della condotta dell’imputato e dei
precedenti penali specifici da questi annoverati (rilevanti ai fini della
configurabilità dell’ipotesi attenuata; Sez. 2, n. 3188 dell’8/1/2009, Rv. 242667).
3.7. Le censure relative all’aggravante di cui all’art. 61, comma 2, cod.
pen., sono inammissibili per essere state proposte per la prima volta in questa
sede (Sez. 5, sent. n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577) e per avere contenuto
del tutto generico.
4. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va
premesso che l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione non richiede
necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle
singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione,
se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della
decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio,
sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno
dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono
ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con
conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione
di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del
18/06/2014, Rv. 260841). Ciò posto, come già più diffusamente indicato nel
paragrafo che precede, la Corte territoriale ha indicato in sentenza, con
motivazione logica ed esaustiva, le ragioni sottese al proprio convincimento,

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correttamente tratta dalla mancata (o non credibile) indicazione delle ragioni per

precisando – contrariamente da quanto ritenuto nell’atto di ricorso – le risultanze
istruttorie da cui è stato tratto, costituite delle dichiarazioni dei testi, nonché i
motivi per cui esse sono state ritenute attendibili. Ad ogni buon conto, la Corte
territoriale risulta essersi fatta carico di esaminare la versione difensiva
proposta, ritenendola non credibile non sulla base di un indimostrato assunto,
ma in considerazione del materiale istruttorio, da cui non emergeva alcun
elemento a sostegno e che si dimostrava invece in contrasto con essa. È infatti

risultando quindi le sue deduzioni altresì aspecifiche sul punto – come non vi
fosse in atti alcuna traccia della vera identità del “fantomatico Cangemi Luigi” e
come l’imputato, rimanendo silente, non abbia fornito alcun elemento utile che
potesse avvalorare la sua versione o indirizzare le indagini verso tale direzione, a
fronte di un quadro probatorio a carico di carattere convergente ed
individualizzante.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – della somma di C 2.000,00 a
favore della cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei
motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 15/6/2018

precisato – argomentazione con la quale il ricorrente omette di confrontarsi,

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