Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38461 del 15/06/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38461 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FOGGETTI VINCENZO nato a COSENZA il 25/03/1972

avverso la sentenza del 02/03/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

Data Udienza: 15/06/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2/3/2017 la Corte di appello di Catanzaro confermava
la pronuncia emessa il 30/5/2014 dal Tribunale di Cosenza che aveva dichiarato
Foggetti Vincenzo colpevole del reato di ricettazione, condannandolo, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno mesi
quattro di reclusione ed C 344,00 di multa.

nell’interesse dell’imputato, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un unico motivo, deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità con particolare
riguardo agli artt. 648 cod. pen. e 192 cod. proc. pen.
2.1.1. Quanto alla ricettazione, la sussistenza del delitto presupposto non
avrebbe potuto trarsi dalla sola denuncia in atti, dovendo questo essere
accertato a fronte di una pluralità di elementi convergenti e costituendo essa
fonte meramente dichiarativa (qualificata dallo stesso giudicante “dichiarazione
di scienza del delitto presupposto”), cui non avrebbe potuto essere attribuita
efficacia dimostrativa, se non previa escussione del denunciante approfondimento istruttorio richiesto dalla difesa ma disatteso dai giudici di
merito – al fine di saggiarne l’attendibilità, escludere profili di contraddittorietà e
colmare le lacune dell’istruttoria dibattimentale; risulterebbe quindi indimostrata
la provenienza delittuosa del bene, essendo essa oggetto di una mera
presunzione. Lamenta inoltre come, per il reato presupposto di furto, non fosse
stata presentata querela, ma una semplice denuncia; sicché la mancanza della
condizione di procedibilità per esso determinerebbe la non configurabilità della
ricettazione.
2.1.2. Il ricorrente censura poi come il giudizio di condanna si fondi
esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa De Grandis Giancarlo,
prive di elementi di riscontro che abbiano valenza esterna alle stesse
propalazioni. La circostanza che il ricorrente abbia consegnato al De Grandis
un’autovettura Ford Fusion, a garanzia della restituzione della somma di C
3.000,00 che questi aveva versato come anticipo per l’auto risultata di
provenienza delittuosa (una Mercedes), allorché si rese conto che i documenti
erano irregolari, è soltanto affermata dall’offeso (con la conseguenza che non
essendovi prova del profitto non sussisterebbe il reato); né ha rilievo che
all’interno della Ford venne rinvenuta della documentazione attinente al
ricorrente, posto che costui l’aveva in uso. Non vi erano elementi dimostrativi del

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2. Avverso la suindicata sentenza ricorre per cassazione il difensore,

passaggio della Mercedes in capo al De Grandis e della sua strumentalità con la
vicenda legata alla Ford Fusion, la quale poteva essere stata direttamente
consegnata dal ricorrente al De Grandis in assenza di qualunque accordo di
natura “transattiva” volto ad attribuire a tale res la natura di garanzia per la
restituzione di quanto in precedenza versato a garanzia di una res illecita.
Né avrebbe potuto costituire elemento univocamente atto a comprovare
la veridicità e l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa la

esclusa valenza di conferma alle dichiarazioni rese dagli altri testi sentiti, quali
l’Esposito e tale Pino, i quali avevano riferito rispettivamente su circostanze note
o apprese de relato dallo stesso De Grandis.
Lamenta, infine, come non avrebbe potuto essere addotto a fondamento
della consapevolezza in capo all’imputato della provenienza illecita del bene la
mancata giustificazione del possesso della res, assistendosi altrimenti ad una
presunzione e ad un’illegittima inversione dell’onere probatorio, risultando il
mero rifiuto non univocamente apprezzabile ai fini della consapevolezza circa la
provenienza illecita del bene e non essendo tale da segnare il discrimine con
l’elemento soggettivo della diversa fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile essendo i motivi manifestamente infondati.
3.1.1. Quanto alla sussistenza della ricettazione, la Corte di appello ha
anzitutto fatto riferimento alla denuncia di furto presentata. Tale soluzione
esegetica si pone infatti in linea con i precedenti di questa Corte, che, precisato
come la prova del verificarsi del delitto che costituisce antecedente necessario di
quello di ricettazione non presuppone un giudiziale accertamento né
l’individuazione del responsabile, bastando che il fatto risulti “positivamente” al
giudice chiamato a conoscere del reato di cui all’articolo 648 cod. pen., hanno
ritenuto legittima l’acquisizione del verbale, in assenza della citazione del teste,
di denuncia del furto dell’autovettura oggetto della successiva ricettazione, quale
prova documentale di una dichiarazione di scienza, non ripetibile con le stesse
forme, anche tenuto conto del fatto che la conoscenza storica ivi esternata non si
riferiva direttamente alla responsabilità dell’imputato per il reato ascritto ma solo
al reato presupposto (Sez. 2, n. 45310 del 20/9/2017, n.m.; Sez. 2, n. 3211 del
12/03/1998, dep. 10/03/1999, Rv. 213597). Peraltro, elementi dimostrativi della
provenienza delittuosa dell’autovettura oggetto dell’imputazione si colgono anche

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circostanza che questa non si fosse costituita parte civile. Parimenti andava

dalla circostanza che a corredo della sua circolazione vennero consegnati falsi
documenti. Inoltre, va ribadito che la mancanza di una condizione di procedibilità
non incide sulla configurabilità del delitto presupposto ai fini della sussistenza del
delitto di ricettazione, in quanto la condizione è un elemento di carattere
processuale e non sostanziale (si richiamano, fra le molte, Sez. 2, n. 22343 del
4/5/2010, Rv. 247527; n. 22555 del 9/6/2006, Rv. 234653; n. 33478 del
28/05/2010, Rv. 248248).

decisioni di merito che il ricorrente ebbe la disponibilità dell’auto Ford Fusion
(che apparteneva alla società di noleggio Travel Car e che era stata inizialmente
locata all’Esposito), per come si ricava sia dalle dichiarazioni dell’Esposito che ha
riferito di averla ceduta al ricorrente allorché si ammalò, sia dallo stesso De
Grandis il quale ha dichiarato di averla ricevuta dall’imputato a garanzia della
restituzione dell’acconto che gli aveva versato per l’acquisto dell’auto oggetto di
imputazione (una Merceds). La circostanza è altresì confermata dal rinvenimento
all’interno del veicolo di documentazione riferibile all’imputato (venne rinvenuta
una ricevuta di lavanderia a suo nome e un estratto conto bancario). E’ altresì
asseverato come tale veicolo dall’imputato passò al De Grandis, essendo stato
rinvenuto nella sua disponibilità dal titolare della Travel Car, tanto che fu poi lo
stesso De Grandis a riconsegnarlo alla Polizia di Stato affinché la ditta di noleggio
ne rientrasse in possesso. Tanto premesso, le decisioni di merito hanno anche
ricostruito con motivazione congrua e scevra da vizi logici le ragioni sottese al
passaggio della Ford Fusion dall’imputato al De Grandis. A detta di quest’ultimo
ciò fu dovuto al fatto che il veicolo gli venne lasciato dal ricorrente a garanzia
della restituzione della somma di C 3.000,00 che gli aveva in precedenza
consegnato quale acconto per l’acquisto dell’auto Mercedes, dopo che si era
accorto che i relativi documenti erano falsi. Tale ricostruzione è stata ritenuta
attendibile dai giudici di merito in ragione della natura disinteressata delle
dichiarazioni del De Grandis, non essendosi costituito parte civile, del fatto che si
premurò di riconsegnare l’auto avuta in “garanzia” alla Polizia e della circostanza
che presentò immediatamente querela nei confronti del ricorrente. Trattasi di
elementi esterni al narrato che correttamente possono essere utilizzati ai fini del
giudizio di attendibilità del testimone. Inoltre, le dichiarazioni del De Grandis non
rinvengono elementi diretti di contrasto, ritualmente introdotti dall’imputato
avvalendosi delle facoltà di priva a discarico previste dagli artt. 190 e 495,
comma 2, codice di rito. Pertanto, correttamente il giudice del merito poteva
fondarvi il giudizio di colpevolezza, non applicandosi alle dichiarazioni del De

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3.1.2. Con riguardo alla prova di colpevolezza, è asseverato dalle

Grandis le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e sussistendo
idonea motivazione in punto di attendibilità soggettiva del dichiarante e del suo
racconto, non scalfita da elementi di contrasto processualmente introdotti.
Non sussistono, quindi, né la paventata violazione di legge né il vizio di
motivazione. A fronte di un percorso motivazionale giuridicamente corretto e
logicamente coerente e, come tale, non sindacabile in questa sede, le critiche del
ricorrente finiscono per sollecitare una diversa valutazione della vicenda fattuale,

costante giurisprudenza di questa Corte, il controllo del giudice di legittimità sui
vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui
si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di
legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione
di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a
quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o
dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero
infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la
peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare
che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti
non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard
minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter
logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (Sez. 6, Sentenza n.9923
del 05/12/2011, dep. 14/03/2012 Rv. 252349).
3.1.3. Con riferimento al profitto, dovendo questo essere oggetto del dolo
specifico richiesto dalla norma incriminatrice e non necessariamente verificarsi in
concreto, la Corte territoriale ha correttamente osservato come tale direzione
volontaristica della condotta discendesse automaticamente dalla natura del bene
rinvenuto e dal suo utilizzo.
3.1.4. Quanto infine alle doglianze con le quali si contesta l’iter logico
giuridico sotteso alla dichiarazione di sussistenza dell’elemento soggettivo del
reato, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi
affermati da questa Corte, secondo cui la prova dell’elemento soggettivo può
essere tratta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa
o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del
soggetto agente senza che ciò comporti un’illegittima deroga ai principi in
materia di onere della prova ovvero un vulnus alle guarentigie difensive (Sez. 2,

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attività assolutamente preclusa nel giudizio di legittimità. Infatti, secondo la

n. 20193 del 19/04/2017, Rv. 270120; n. 53017 del 22/11/2016, Rv. 268713;
n. 52271 del 10/11/2016, Rv. 268643).
4. Va, pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso, condannandosi il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 2.000,00 alla Cassa delle ammende, così
equitativamente stabilita in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 15/6/2018

P.Q.M.

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