Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38460 del 04/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38460 Anno 2013
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BOLOGNA
nei confronti di:
TERSHAK IVAN N. IL 10/03/1969
avverso la sentenza n. 5147/2011 GIP TRIBUNALE di REGGIO
EMILIA, del 28/12/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
pASELLA;
AA/
eetteiscrititrie conclusioni del PG Dott.
I
cc,

Udit i difensor Avv.;

LC O c-)e-,R

Ler’

Data Udienza: 04/06/2013

Ricorrente il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di
Bologna nei confronti di TERSHAK Ivan
Ritenuto in fatto

Il GIP del Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza emessa ex art. 129 cod.
proc. pen. in data 28 dicembre 2011, preso atto della richiesta del P.M. di
emissione di decreto penale di condanna nei confronti di

TERSHAK Ivan,

imputato della contravvenzione di cui all’art. 186 / comma 2 lett. c) e comma 2-

non aver commesso il fatto, sul rilievo del difetto di prova del superamento
della soglia di etilemia penalmente rilevante, attesa la nullità – rilevabile d’ufficio
– dei relativi accertamenti di laboratorio (che avevano evidenziato un tasso di
etilemia pari a 2,13 gr./I.) a cagione dell’omesso avviso previsto dall’art. 114
disp. att. cod. proc. pen.
Propone ricorso per cassazione

il Procuratore Generale della Repubblica

presso la Corte d’appello di Bologna, denunziando il vizio di erronea applicazione
della legge processuale. Poichè la pretesa omissione dell’avviso previsto dall’art.
114 disp. att. cod. proc. pen.,integra, non una nullità assoluta, rilevabile anche
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma una nullità a regime intermedio,
subordinata alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182, comma 2° codice
di rito, era onere della parte eccepirla o prima del compimento dell’atto
(ovverosia del prelievo di sangue al quale essa ebbe necessariamente a
presenziare ) ovvero immediatamente dopo, non spettando quindi al giudice
sollevarla. Ne discende che,in difetto di qualsivoglia eccezione in tal senso,
tempestivamente dedotta dalla parte legittimata, l’accertamento del tasso
alcoolemico doveva ritenersi legittimamente acquisito e perfettamente
utilizzabile.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in atti, ha
concluso per l’annullamento della impugnata sentenza con rinvio allo stesso
Ufficio per nuovo esame.

Considerato in diritto

Il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Bologna
è, per quanto di ragione, fondato.
Giova preliminarmente osservare che nel caso in cui l’accertamento del tasso
alcoolemico si renda necessario in presenza di elementi integranti una notizia di
reato (qualificata e condizionata poi dagli esiti del medesimo) ricorre il

bis commessa in S. Martino in Rio il 21 febbraio 2008, assolveva il predetto per

paradigma normativo dell’atto di polizia giudiziaria urgente ed indifferibile, da
ricondursi alle previsioni dell’art. 354, commi 2 e 3 cod. proc. pen. A conclusioni
opposte deve invece pervenirsi qualora lo stesso accertamento ( eseguito vuoi
tramite etilometro vuoi previo prelievo ematico all’interno di struttura
nosocomiale ) sia determinato da esigenze meramente esplorative, risultando,
in tal caso,espressione di una attività di polizia amministrativa: Sez. 4 n. 10850
del 2008 rv. 239404. Né torna applicabile l’art. 354 commi 2 e 3 codice di rito
nel caso di prelievo ematico ( poi legittimamente utilizzato ai fini

protocollo medico, nei confronti di soggetto ricoverato in via d’urgenza al pronto
soccorso a seguito di incidente stradale qualora non si configuri alcun indizio di
reato ( Sez. 4 n. 34145 del 2011

rv. 253746 ). A contrario, deve esser

ricondotta invece a vera e propria attività di P.G. l’accertamento de

quo

eseguito a su richiesta della Polizia stradale. In tal caso la relativa certificazione
( utilizzabile ai fini di prova nel procedimento anche a prescindere dal consenso
dell’interessato: Sez. 4, n. 1827/2009 rv. 245997; Sez. 4 n. 4118 / 2008 rv.
242834) costituisce il risultato di operazioni che richiedono specifiche
competenze tecniche compiuta dalla P.G. a mezzo di persone di queste in
possesso (art. 348, comma 4 cod.proc.pen.). L’atto soggiace quindi, quanto alla
sua acquisizione ed utilizzabilità ai fini del giudizio, alla disciplina degli atti
irripetibili di cui all’art. 431 cod. proc. pen. (Sez. 4 n. 10605 del 2012 rv.
254933).
Di talchè, ove, nel caso concreto,l’accertamento del tasso alcoolemico integri i
presupposti dell’ “atto urgente ed indifferibile di P.G. “,la polizia giudiziaria,
prima del compimento dell’atto, è tenuta, ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen.,
ad avvertire la persona sottoposta alle indagini che ha facoltà di farsi assistere
dal difensore di fiducia, senza tuttavia che sia necessario preventivamente
procedere, alla nomina di un difensore di ufficio, qualora quello di fiducia non sia
stato nominato o, se nominato, non sia comparso.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso di affermare che la
violazione del disposto dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. dà luogo ad una
nullità di ordine generale, non assoluta, ma c.d. a regime intermedio e che,in
ossequio al disposto dell’art. 182, comma 2 cod. proc. pen., essa debba essere
eccepita prima del compimento dell’atto ovvero, se ciò non è possibile,
immediatamente dopo, senza attendere il compimento del primo atto successivo
(ex multis: Sez. 4 n. 45621 del 2009, rv. 245462; Sez. 1 n. 24733 del 2004
rv. 228509). La nullità in parola può essere anche rilevata dall’ufficio, secondo
quanto previsto dall’art. 182 cod. proc. pen. Ma ciò non è possibile quando la
parte sia decaduta dalla possibilità di proporre la relativa eccezione e comunque
quando la nullità si sia sanata. Questa Corte ( Sez. 6 n. 13402 del 2011 rv.

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all’accertamento dell’etilemia ) eseguito a fini terapeutici, nell’ambito di apposito

Una più condivisibile soluzione potrebbe rinvenirsi

in quell’orientamento

giurisprudenziale che ritiene la parte definitivamente decaduta dalla facoltà di
eccepire la nullità ove non vi abbia provveduto al momento della nomina del
difensore od a quello in cui questi abbia contezza del contenuto degli atti del
procedimento, secondo una linea interpretativa che ha già trovato espressione in
Sez. 3 n. 14873 del 2012 rv. 252397,secondo la quale “la violazione da parte
della polizia giudiziaria dell’obbligo di avvertire l’indagato, ai sensi dell’art. 114
disp. att. cod. proc. pen., della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia

regime intermedio che va eccepita, ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen., o prima
del compimento dell’atto o immediatamente dopo, ossia subito dopo la nomina
del difensore ovvero entro il termine di cinque giorni che l’art. 366 cod. proc.
pen. concede a quest’ultimo per l’esame degli atti” (analogamente Cass. Sez. 4
n. 15739 2008 rv. 239737). E ciò perché solo connettendo la decadenza in
parola al previo instaurarsi della difesa tecnica potrebbe garantirsi il rispetto
sostanziale del diritto di difesa.
Peraltro, siffatta tesi apre al dubbio che essa implichi la necessità di postulare un
onere di attivazione del difensore (a far tempo dalla nomina) che è privo di
fondamento nell’ordinamento processuale ovvero di individuare uno snodo
procedimentale che, rendendo certa la conoscenza degli atti del fascicolo al
difensore, permette di ” sanzionarne” l’inerzia.
Ritiene il Collegio che, prima di sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite il
ravvisato contrasto, sia utile svolgere un ulteriore approfondimento del tema,
formulando alcune osservazioni nutrite di riferimenti che non sembrano esser
stati adeguatamente presenti nelle elaborazioni giurisprudenziali fin qui
illustrate.
Punto di partenza è la constatazione che le varie pronunce sembrano allineate a
seconda che l’atto di p.g. sia costituito dall’alcooltest ovvero da un sequestro.
Nel primo caso si propende per la tesi fatta propria da ultimo dalla decisione

nel corso di una perquisizione o di un sequestro integra una nullità generale a

della Sez. 4 n. 44840/2012; negli altri,per la tesi enunciata nella decisione della
Sez. 3 n. 14873/2012.
Sul piano concettuale la giurisprudenza pare dividersi essenzialmente sulla
necessità o meno che l’eccezione venga formulata solo dopo instaurato il
rapporto con il difensore. Poiché l’intervento del difensore viene richiamato ad
ulteriore dimostrazione dell’avvenuta decadenza, le pronunce che militano per la
tesi sostenuta dalla Sez. 3 con la sentenza da ultimo citata rimarcano la
possibile condizione di ignoranza incolpevole dell’indagato circa l’esistenza del
diritto violato, prendendo lo spunto da siffatta premessa per concludere che “nel
momento in cui il difensore, sia pure nominato di ufficio, ricevette l’avviso del
deposito dell’atto, il medesimo ben potesse, esercitando il proprio mandato e

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K

comunicando con l’interessato, venire a conoscenza della violazione avvenuta e
dedurla tempestivamente nei cinque giorni che l’art. 366 c.p.p. gli concede per
l’esame degli atti ” (Sez. 4 n. 15739 del 2008 rv. 239737; Sez. 2 n. 19100 del

2011 rv. 250191). In ciò vi è la convinzione della necessità di collegare
logicamente la previsione dell’art. 182, comma 2 cod. proc. pen., primo periodo,
all’intervento del difensore.
Per contro, le decisioni del diverso indirizzo non rilevano alcun pregiudizio del
diritto di difesa derivante dalla pretesa che sia l’indagato medesimo a dover

Poiché il nodo della questione sembra essere il diritto di difesa, non può farsi a
meno di richiamare alcune decisioni del giudice delle leggi intervenute in
materia.
Chiamata a verificare la legittimità costituzionale, in rapporto all’art. 24, co. 2
Cost., dell’art. 401 del codice di rito del 1930 nella parte in cui faceva decorrere
il termine di cinque giorni per la deduzione delle nullità relative intercorse
nell’istruzione sommaria dalla notifica all’imputato del decreto di citazione a
giudizio, anziché dalla notificazione al difensore dell’avviso della data fissata per
il dibattimento, la Corte costituzionale, ebbe a puntualizzare che “il diritto di
difesa deve essere garantito in modo adeguato alle circostanze, con modalità che
a queste si adattino, esplicandosi anche come effettiva potestà di assistenza
tecnica e professionale’.

Pertanto il principio costituzionale invocato venne

ritenuto violato dalla previsione di un breve termine decorrente dalla
conoscibilità del decreto di citazione a giudizio da parte del diretto interessato
piuttosto che del suo difensore, apparendo pertanto indispensabile la cognizione
di elementi tecnici rientranti nella specifica competenza professionale del
difensore per rendersi conto delle nullità e far rilevare i vizi invalidanti (C. cost.
sent. n. 162 del 17/06/1975, n. 162). Il principio è stato ribadito in successive
pronunce, tra le quali merita di essere ricordata in questa sede la sentenza n.
120 del 2002, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 458, comma 1, del vigente cod. proc. pen., nella parte in
cui prevede che il termine, entro cui l’imputato può chiedere il giudizio
abbreviato, decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché
dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto
ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato. In tale occasione
il Giudice delle leggi ha evidenziato come il nucleo centrale della questione di
legittimità costituzionale attenesse alla violazione del diritto alla difesa tecnica, in
quanto la disciplina censurata era congegnata in maniera tale che il termine,
stabilito a pena di decadenza per presentare la richiesta di giudizio abbreviato,
poteva scadere senza che il difensore avesse potuto illustrare al proprio assistito
le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio abbreviato e alla

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sollevare l’eccezione.

celebrazione del dibattimento. Tanto rilevato, si è ribadito che il diritto di
difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all’assistenza tecnica del
difensore, risulta violato ogniqualvolta in cui, “ai fini dell’esercizio di facoltà
processuali che comportano la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle
specifiche competenze professionali del difensore”,

venga posto, a pena di

decadenza, un termine decorrente dalla notificazione all’imputato, anziché al
difensore, dell’atto da cui tali facoltà conseguono (C. cost. 26/02/2002, n. 120).
Alla luce di tali puntualizzazioni, non pare possa legittimamente ritenersi che,

eccezione sia necessariamente sollevabile in un termine che garantisca il previo
instaurarsi del rapporto difensivo. Piuttosto, la verifica del rispetto del diritto di
difesa va condotta tenuto conto della semplicità/complessità delle cognizioni
richieste dalla proposizione dell’eccezione; sicché ben possono darsi casi in cui il
rilievo di una nullità intermedia richiede che il termine decadenziale abbia corso
solo dopo la nomina di un difensore (impregiudicate per ora la questioni
concernenti eventuali corollari) e casi

in cui il termine prescinde

dall’instaurazione del rapporto tra l’indagato/imputato ed il difensore.
Nell’ipotesi dei test previsti dall’art. 186, commi 3 e 4 cod. strada, non sembra a
questa Corte che la deduzione dell’omesso avviso della facoltà di farsi assistere
da un difensore richieda necessariamente l’intervento del difensore medesimo.
Ciò perché l’avviso intende garantire (e l’eccezione recuperare, nonostante la
violazione della norma) la semplice conoscenza da parte del difensore del
compimento dell’atto, che non deve né può essere ritardato in attesa che egli
giunga, ove abbia deciso di assistervi, trattandosi peraltro di accertamento non
invasivo che non scaturisce da attività pregresse la cui conoscenza è essenziale
per l’esercizio della difesa.
Non si ravvisa, quindi, nell’ipotesi in parola, la necessità del coinvolgimento del
difensore di guisa che l’eccezione ben può essere avanzata direttamente
dall’interessato, posto che non ricorrono “facoltà processuali che comportano la
cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali
del difensore”.
E quindi non è prospettabile alcun vulnus sostanziale del diritto di difesa.
Non sembra, per contro, che argomenti utili possano trarsi dalle osservazioni che
le Sezioni Unite hanno svolto in relazione alla nozione di “parte”, agli effetti
dell’applicazione dell’art. 182, comma. 2 cod. proc. pen. Hanno sostenuto le
Sezioni Unite che “il codice prospetta la “nozione di parte” nell’art. 182/2° co.
CPP, nel senso che essa è rappresentata dal soggetto necessario a costituirla per
il compimento di ciascun atto del processo” ed hanno ricordato che

“il logos

“parte” distingue concettualmente, nel rapporto esterno con altri soggetti, le
persone accomunate da uno stesso interesse, e perciò gli oneri e le facoltà

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ogniqualvolta sia ravvisabile una nullità generale a regime intermedio, la relativa

connessi alla posizione, quale che sia il rapporto interno tra i soggetti della
stessa parte. Nel processo, sono parti necessarie, in quanto soggetti unitari del
rapporto tra loro e con il giudice, l’accusa pubblica e la difesa. Le due parti
differiscono perché l’accusa è costituita sempre da una sola persona mentre la
difesa, si è visto, può essere costituita da un solo difensore ovvero da due
difensori oltreché dall’imputato (titolare del diritto) se compare”.

Su tali

premesse si è quindi addivenuti ad interpretare l’insieme delle disposizioni di
cui agli artt. 181 ss. cod. proc. pen. nel senso che “chi rappresenta la parte,

dell’onere d’eccezione di nullità di un atto al più tardi subito dopo il suo
compimento, perché l’interesse va identificato in rapporto all’effetto dell’atto, e
come tale assorbe l’aspettativa d’esito del procedimento dell’organo d’accusa o
dell’imputato titolare del diritto di difesa” (S.U. n. 39060 del 2009 rv. 244187).
E ciò, invero, sembrerebbe convergere verso l’affermazione di cui sopra, per la
quale l’eccezione della nullità dell’atto può essere avanzata dall’interessato
medesimo. Tale conclusione tuttavia, per un verso, conduce ad estendere
alquanto la portata del dictum delle Sezioni Unite sul rilievo della ritenuta
necessità della presenza dell’imputato, oltre che di uno dei due difensori
nominati, onde consentire l’eccepibilità dell’omesso avviso al secondo difensore.
Ciò induce ad una certa cautela. Dall’altro, l’evocazione del tema del diritto di
difesa sposta il baricentro della questione verso lo slittamento del termine di
decadenza piuttosto che sul concetto di parte.
In conclusione, per tutte le ragioni fini qui esposte, sembra a questa Corte che in
relazione all’omesso preventivo avviso al soggetto che deve essere sottoposto
all’alcooltest

ex art. 186, co. 3 e 4 C.d.S.,del diritto di farsi assistere da un

difensore di fiducia, possa condividersi il principio di diritto ribadito da ultimo da
dalla sentenza della Sez. 4 n. 44840 del 2012 rv. 254959, come sopra
richiamata.
Passando ora all’esame del caso di specie, osserva il Collegio che deve
concludersi per la sussistenza del denunziato vizio di violazione di legge. Dagli
atti emerge che l’accertamento del tasso etilico fu eseguito “tramite esami di
laboratorio

“,assai verosimilmente previo prelievo ematico in struttura

nosocomiale ove l’imputato venne ricoverato dopo avere provocato un incidente
stradale. Alla stregua di quanto premesso, non può ritenersi applicabile l’art.
114 disp. att. cod. proc. pen. nel caso in cui l’accertamento dell’etilemia abbia
trovato titolo nel protocollo medico autonomamente seguito dai sanitari a fini
esclusivamente terapeutici, in difetto della ricorrenza di indizi di reità a carico del
soggetto soccorso sul luogo dell’incidente e poi ricoverato. In tal caso, come
rilevato dalla citata giurisprudenza di legittimità, non può dirsi ricorra un’atto di
P.G. riconducibile al disposto dell’art. 354 commi 2 e 3 codice di rito.

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comunque composta – e la difesa può esserlo da un solo difensore – è gravato

Una siffatta ipotesi deve invece giudicarsi sussistente qualora, in concomitanza
con la spedalizzazione del soggetto, la P.G. abbia espressamente rivolto ai
sanitari la richiesta di accertamento dell’etilemia a norma dell’art.186 comma 50
cod. strada, nell’ovvio quanto evidente presupposto dell’individuazione di indizi di
reità a carico del conducente coinvolto nel sinistro stradale in relazione vuoi al
reato di cui all’art. 186 cod. strada vuoi a delitti contro l’incolumità personale
previsti dagli artt. 590 o 589 cod. pen. aggravati dalla violazione delle norme in
materia di circolazione stradale. In tal caso sussistono le condizioni per

la sentenza impugnata non può giudicarsi esente dalle dedotte censure benchè di
tale disposizione non si sia fatta applicazione. Non risulta invero che l’imputato
abbia tempestivamente formulato l’eccezione in questione nei termini sopra
specificati,pur avendone avuta la materiale possibilità una volta ” personalmente
” sottoposto a prelievo ematico in ospedale ove fu condotto dopo aver provocato
un incidente stradale. Ne consegue che, come sostenuto dal ricorrente, l’eccepita
nullità, ove anche esistente, deve ritenersi sanata, alla luce dei principi sopra
esposti, con l’ulteriore effetto dell’impossibilità per il Giudice per le indagini
preliminari di rilevarla d’ufficio.
Tutto ciò premesso, deve tuttavia la Corte

rilevare d’ufficio,ex art. 129 cod.

proc. pen., che il reato commesso dall’imputato il 21 febbraio 2008 è estinto,
alla data del 21 febbraio 2013, per il compimento del termine massimo di
prescrizione di anni cinque, non constando in atti periodi di sospensione dello
stesso termine. Di talchè la sentenza impugnata deve esser annullata senza
rinvio per tale causa.

PQM

Annulla

senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto il reato per

prescrizione.
Così deciso in Roma,lì 4 giugno 2013.

l’operatività del precetto dettato dall’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. Tuttavia

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