Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38455 del 30/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38455 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: COSCIONI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CRUGLIANO DIONIGI nato il 07/01/1994 a CROTONE

avverso la sentenza del 11/05/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Perla LORI, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore dell’imputato, Avv. Fabio MUNGARI, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;

Data Udienza: 30/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado
con la quale Crugliano Dionigi era stato condannato per il reato di estorsione
commesso ai danni di Mungari Gerardo.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di Crugliano,
lamentando come l’intera vicenda delittuosa aveva avuto inizio da un diritto
rivendicato da Crugliano nei confronti di Mungari a seguito di una mancata

svolto da Crotone a Napoli, sfumata per il mancato rispetto degli impegni da
parte di Mungari Gerardo, per cui la fattispecie doveva essere inquadrata
nell’ipotesi prevista dall’art. 393 cod.pen.
1.2 II difensore eccepisce come il delitto di estorsione non poteva ritenersi
consumato, poiché il denaro consegnatogli dalla persona offesa non era mai
veramente uscito dalla sfera giuridica del potere sulla cosa da parte di Mungari,
che non aveva quindi subito alcun danno; la censura non era stata affrontata
dalla Corte di appello
1.3 II difensore del ricorrente lamenta infine che le circostanze generiche
erano state riconosciute solo equivalenti alla contestata aggravante ed eccepisce
la mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Non si può infatti ritenere che i fatti vadano ricondotti nell’ipotesi di cui
all’art. 393 cod.pen: integra infatti il delitto di estorsione, e non quello di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’azione violenta o minacciosa che,
indipendentemente dall’intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia,
abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità
giudiziaria: presupposto perché si possa parlare quindi di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni è quindi l’esistenza di una legittima pretesa creditoria in capo al
soggetto agente.
Ora, il ricorrente non chiarisce neppure nel ricorso per cassazione, se non in
termini assolutamente generici, quale sia la pretesa creditoria vantata da
Crugliano nei confornti di Mungari, limitandosi ad affermare che Crugliano
avrebbe perso la sua parte di denaro (300 euro) senza chiarire se questa somma
fosse stata consegnata da Crugliano a Mungari o ad altri soggetti e quali fossero
gli impegni che Mungari avrebbe preso e poi non rispettato, che avrebbero avuto
come conseguenza l’esistenza di un credito di Crugliano (è pacifico, e non è
contestato dal ricorrente che le spese per il viaggio a Napoli per l’acquisto di
giocattoli vennero pagate da Mungari); non si vede pertanto come Crugliano

ss)

conclusione della compravendita di giocattoli durante un viaggio da entrambi

potesse vantare una pretesa creditoria azionabile in giudizio, visto che non si
chiarisce in alcun modo il titolo di tale pretesa.
1.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, è principio costantemente
affermato da questa Corte quello secondo il quale “in tema di estorsione, il delitto
deve considerarsi consumato e non solo tentato allorché la cosa estorta venga
consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia
predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente
all’arresto del reo ed alla restituzione del bene all’avente diritto.” (Sez.2,

osserva come nel delitto di estorsione la modalità di lesione si incentra sulla
coazione esercitata dall’agente sulla vittima, perché tenga una condotta positiva
o negativa in ambito patrimoniale, il cui esito è il profitto che il reo intende
procurarsi, che non può essere integrato da altre note, quali la disponibilità
autonoma della cosa, senza violare la tassatività della fattispecie.(sez. U n.19 del
27/10/1999, Rv. 214642).
Va ancora precisato che i motivi della scelta di aderire alla pretesa espressa
dal soggetto agente attengono al foro interno della persona lesa e non rilevano ai
fini del verificarsi dell’evento; il fatto, poi, che la vittima dell’estorsione si adoperi
affinché la polizia giudiziaria possa pervenire all’arresto dell’autore della condotta
illecita non elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di
reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa versa.
Il legislatore, con la formula adottata – “… costringendo taluno a fare od
omettere qualche cosa” prende in considerazione lo stato oggettivo di costrizione
e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa ad aderire alla
pretesa estorsiva. (sez. 2 n.44319 del 18/11/2005, Rv. 232506).
1.3 Relativamente infine alla eccezione secondo cui non vi sarebbe
motivazione sulla quantificazione della pena, la stessa è contenuta nelle ultime
righe della sentenza impugnata, dove la Corte evidenzia “la pervicacia
manifestata nel sottoporre la parte offesa a continue ed insistenti richieste di
denaro con le modalità innanzi descritte”; è comunque principio costantemente
affermato da questa Corte che nel caso in cui venga irrogata una pena prossima
al minimo edittale (come nel caso di esame), l’obbligo di motivazione del giudice
si attenua, talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena,
nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen..(Sez. 2, Sentenza
n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi ed altro) Rv.256464).
Infine, non incorre nel vizio di motivazione il giudice che, nel formulare il
giudizio di comparazione delle circostanze, dimostri di avere, come nel caso di
specie, considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma
dell’art. 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come equivalenti,
assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 6, n.24728 del
29/04/2015; Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014 Rv. 260415).

)

sentenza n.1619 del 12/12/2012, Russo Rv.254450); nella citata sentenza si

Il giudizio di comparazione fra circostanze deve risultare il più idoneo a
realizzare l’adeguatezza della pena da irrogare in concreto, alla luce della reale
entità del fatto e della personalità dell’imputato. Secondo il consolidato
orientamento di questa Corte, ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze
aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita
valutazione delle circostanze concorrenti esaurisce l’obbligo della motivazione in
quanto, rientrando tale giudizio nella discrezionalità del giudice, esso non postula
un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (in tal senso Sez. U, n. 10713

appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive
dell’appellante, non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni
particolarità del caso, è sufficiente che dia indicazione di quelli ritenuti rilevanti e
di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur
in carenza di stretta confutazione (sez. 3, n. 19441 del 27/01/2012).
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, applicando correttamente i
principi dianzi citati, ha evidenziato che non ricorressero le condizioni per un
giudizio di bilanciamento più favorevole alla luce della modalità dei fatti, con
motivazione quindi esente da censure.
3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la
parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle
spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di C 2.000,00 così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.
La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di
principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della
decisione in forma semplificata.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 30/05/2018

del 25/02/2010, Rv. 245930); il ricordato principio vale anche per il giudice di

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