Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38450 del 30/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38450 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: COSCIONI GIUSEPPE

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
BUZZA ALESSANDRO nato il 07/08/1980 a CATANIA
BIFFI MASSIMILIANO nato il 15/05/1982 a CATANIA

avverso la sentenza del 02/02/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Perla LORI, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Roberta CASTORINA per Buzza Alessandro che si è
riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;

Data Udienza: 30/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 02/02/2017 confermava
la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto responsabili Buzza
Alessandro e Biffi Massimiliano di ricettazione di cento kg di rame e di una
autovettura.
1.1 Avverso la sentenza ricorre il difensore di Buzza Alessandro, eccependo

si era limitata a non ritenere attendibili le dichiarazioni dell’imputato relative alla
commissione da parte sua di due reati di furto e non di ricettazione ed alla
mancata considerazione del breve lasso di tempo trascorso tra il furto
dell’autovettura e l’episodio in contestazione.
1.2 Il difensore eccepisce inoltre che la sentenza di appello non forniva
alcuna motivazione in merito alla capacità dello standard probatorio sussistente
in atti di eliminare ogni dubbio, in particolare sulla mancanza di responsabilità del
ricorrente in presenza di significative circostanze di dubbia portata probatoria
avente ad oggetto la configurazione del fatto ai sensi dell’art. 648 cod.pen.: la
sentenza “si era limitata ad una conta del numero delle probabilità delle ipotesi
accusatorie rispetto a quelle difensive, dimenticando che la responsabilità al di là
di ogni ragionevole dubbio necessita che ogni spiegazione diversa dalla ipotesi
accusatoria sia secondo il criterio di ragionevolezza niente affatto plausibile” (così
pagg. 5 e 6 ricorso).
2.1 Con separato ricorso, il difensore di Biffi Massimiliano lamenta che la
sentenza impugnata si era limitata a negare la riqualificazione del reato
contestato nella fattispecie di cui all’art. 624 cod.pen., affermando che le
dichiarazioni dell’imputato non erano state idonee a fornire alcuna spiegazione
sulle circostanze e modalità di perpetrazione del furto, senza considerare che il
furto dell’autovettura usata per realizzare il furto del rame era avvenuto solo due
giorni prima rispetto a quando l’autovettura era stata trovata nella sua
disponibilità: la brevità del tempo intercorso rendeva verosimile che fosse stato
l’imputato a commettere il furto; la prova dell’effettivo coinvolgimento di Biffi nel
furto era data dagli strumenti rinvenuti a bordo dell’auto (strumenti utili allo
smontaggio di materiali metallici), essendo contrario ad ogni logica che colui che
riceve cose provenienti da delitto conservi quanto sia stato idoneo ed utilizzato
per la commissione del reato presupposto
2.2 Il difensore eccepisce inoltre la mancanza di motivazione in ordine al
mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cod.pen.: la
Corte avrebbe dovuto prima considerare il fatto come lieve, atteso il modesto
valore economico dei beni, e solo successivamente poteva valutare altri elementi;
mancava quindi totalmente una valutazione sulla consistenza economica del bene
ricettato.

la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui

2.3 Il difensore lamenta infine l’omessa motivazione sulla mancata
concessione delle attenuanti generiche e/o il bilanciamento con la recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.1 Si deve infatti ritenere che il mero possesso ingiustificato di cose
sottratte consente la configurazione del delitto di ricettazione, in assenza di
elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione
del furto (sul punto si vda Sez. 2, sentenza n. 43427 del 7/9/2016, Rv. 267969:

refurtiva, in assenza di elementi probatori univocamente indicativi del suo
coinvolgimento nella commissione del furto, non fornisca una spiegazione
attendibile dell’origine della predetta disponibilità .”)
All’elemento della contiguità temporale tra la sottrazione e l’utilizzazione
delle cose sottratte, il giudice di merito, con apprezzamento insindacabile in sede
di legittimità, può, infatti, contrapporre, ai fini della qualificazione giuridica del
fatto come ricettazione (e non come furto), l’assenza di indicazioni sul punto da
parte dell’imputato.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha evidenziato come le dichiarazioni
relative alla commissione del furto siano state rese dagli imputati in epoca ben
lontana dalla loro identificazione, senza alcuna specificazione né sul luogo di
perpetrazione del furto, né delle modalità di attuazione dello stesso, per cui le ha
correttamente ritenute inattendibili.
1.2 Relativamente al motivo di ricorso di cui al punto 1.2, lo stesso è
estremamente generico, posto che non indica in alcun modo precise censure alla
sentenza impugnata con conseguente inammissibilità del motivo, dovendo l’atto
di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto da sottoporre a verifica.
1.3 Infondate sono le censure di cui ai punti 2.2 e 2.3, avendo la Corte di
appello svolto un accurato ragionamento sulle condizioni che consentono di
riconoscere l’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 cod.pen., e giungendo poi
alla conclusione che tale ipotesi non poteva essere ravvisata sia perché i beni non
erano di modesto valore, sia perché non si poteva ritenere la marginalità del fatto
alla luce delle modalità di commissione dello stesso e delle molteplici condanne
riportate dagli imputati per reati contro il patrimonio.
Quanto al mancato giudizio di prevalenza rispetto alle contestata recidiva, si
deve rilevare come in tema di concorso di circostanze, il giudizio di comparazione
risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell’esercizio del potere
discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen. scelga la soluzione dell’equivalenza,
anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a
realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (vedi sentenza Sez. 2,
n.31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv.270481); nel caso in esame, la Corte di

“Risponde di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità della

appello ha motivato in maniera esaustiva sul giudizio di equivalenza delle
circostanze attenuanti generiche nella penultima ed ultima pagina della sentenza
impugnata.
3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della Cassa delle ammende della somma di C 2.000,00 così

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di C 2.000,00 ciascuno a favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/05/2018

equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

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