Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38443 del 07/03/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38443 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI LECCE
Nei confronti di :
VIGGIANI ANTONIO N. IL 29.04.1982
avverso la ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME DI LECCE in data 27 novembre 2012
sentita la relazione fatta dal Consi g liere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI ;
sentite le conclusioni del PG in persona del dott. Carmine Stabile che ha chiesto l’annullamento
con rinvio e per Vi gg iani, l’avvocato Bia g io Leuzzi, in sostituzione dell’avvocato Gaetano Vitale
che ha chiesto il ri g etto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 novembre 2012 il Tribunale di Lecce in funzione di g iudice del
riesame, decidendo sull’istanza avverso l’ordinanza datata 24 ottobre 2012 con cui il
GIP presso il Tribunale di Lecce aveva disposto l’applicazione nei confronti di Vi gg iani
Antonio della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui all’art. 74
d.P.R. n. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti)
e di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 (detenzione di sostanza stupefacente finalizzata
alla successiva cessione a terzi), in acco g limento del ricorso, annullava l’ordinanza del
GIP e la misura applicata, disponendone la rimessione in libertà.
2. Avverso tale decisione proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica di Lecce
deducendo la violazione dell’art. 275, comma 3 c.p.p., e la mancanza e manifesta
illog icità della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

3. Il ricorso è infondato.
Il Vi gg iani è inda g ato nell’ambito di un procedimento che vede coinvolti una pluralità di
sogg etti, operanti nelle province di Taranto e Bari nei cui confronti si è proceduto tra
l’altro per il reato di associazione per delin q uere finalizzata al traffico di stupefacenti e
che ha preso le mosse dalle intercettazioni telefoniche delle utenze dei so gg etti
coinvolti.

Data Udienza: 07/03/2013

P.Q.M.
Rigetta il ricorso-.

Il Tribunale del riesame pur confermando la sussistenza della gravità indiziaria a carico
dell’indagato con riferimento sia all’ipotesi associativa che al delitto di cui all’art. 73
d.P.R. n. 309/1990, ha tuttavia escluso la sussistenza delle esigenze cautelari ravvisate
dal GIP in ragione del tempo trascorso dalla commissione dei fatti per cui si procede.
Secondo il ricorrente il tempo decorso dal fatto non può da solo costituire elemento
sufficiente a vincere la presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275, 3 comma c.p.p.
Osserva il Collegio : nella specie il giudice del riesame non ha preso solo in
considerazione il periodo temporale di circa quattro anni e mezzo trascorso dai fatti
addebitati, ma con riferimento alla personalità del Viggiani, ha posto in rilevo la
sussistenza di un unico precedente datato e non specifico, privo di attinenza con i fatti
oggetto del presente procedimento, il fatto che lo stesso non risulta avere ulteriori
procedimenti in corso né segnalazioni da parte della PG per cui non ha tenuto alcun
comportamento che possa indurre a ritenere elevata la probabilità che possa porre in
essere nuovamente condotte criminose del tipo di cui è processo.
E’ pur vero che qualora sia stata applicata la misura della custodia in carcere per uno
dei delitti indicati nell’art. 275, terzo comma, c. p. p., non è necessario che l’ordinanza
cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione
del fatto, così come richiesto dall’art. 292, secondo comma, lett. c), dello stesso codice,
in quanto per tali reati vale la presunzione di adeguatezza di cui al predetto art. 275,
che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria, tuttavia è
significativo che la presunzione legale di adeguatezza della misura carceraria per alcune
delle tipologie di reati richiamati espressamente dalla seconda parte del comma 3
dell’art. 275 c.p.p. sia stata, in tempi recenti, “colpita” da ripetute pronunce della Corte
costituzionale (Sentenze 21.7.2010 n. 265, 12.5.2011 n. 164, 22.7.2011 n. 231), che
anche per talune di tali tipologie ha imposto una verifica in concreto dell’effettiva
adeguatezza della misura carceraria. Le Sezioni unite di questa Corte hanno, sempre in
tempi recenti, ribadito il carattere residuale e di extrema ratio della misura cautelare
detentiva, precisando contestualmente che in nessun caso essa può essere utilizzata
per realizzare le finalità proprie della pena (Sent. 16085/2011, paragrafo 3). Che la
custodia carceraria costituisca la “soluzione estrema” è stato pure affermato dalla Corte
Europea dei diritti dell’uomo (richiamata dalle citate Sezioni unite), secondo la quale, in
riferimento alla previsione dell’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione, la carcerazione
preventiva “deve apparire come la soluzione estrema che si giustifica solamente
allorché tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti” (sentenze 2 luglio 2009,
Vafiadis contro Grecia, e 8 novembre 2007, Lelievre contro Belgio). Ancora significativo
è che le Sezioni unite, nel respingere la tesi di una sorta di presunzione di sopravvenuta
mancanza di proporzionalità al protrarsi della custodia carceraria oltre i due terzi del
massimo della pena temporanea prevista per il reato per il quale si procede
(recuperando così, sia pure con valenza dichiaratamente tendenziale, un criterio tratto
da altra disciplina:Pad. 304 c.p.p., comma 6, nel testo attuale), abbiano evidenziato
che l’obbligo di valutare proporzionalità ed adeguatezza della misura pendente è
permanente, ad evitare compressioni della libertà personale qualitativamente o
quantitativamente inadeguate (Sent. 16085/2011 citata, par. 4).
Ciò posto va ulteriormente osservato che la presunzione di pericolosità sociale di cui alla
norma più volte citata nel caso di soggetti gravemente indiziati di partecipare ad
associazioni criminose può essere vinta qualora vengano acquisiti elementi dai quali
risulti che non sussistono esigenze cautelari, risolvendosi così la prova contraria
nell’acquisizione di quei fatti che rendono in sostanza dimostrata la rescissione di ogni
legame dell’indagato con la consorteria o l’estinzione della medesima. Nel caso in
esame- come già rilevato- il giudice del riesame oltre ad evidenziare il tempo trascorso
dalle manifestazioni di partecipazione del prevenuto alla associazione,ha indicato
elementi più specifici indicativi dell’allontanamento del Viggiani dalla compagine
associativa alla luce dei quali è possibile, appunto, ritenere ormai rescisso ogni
collegamento del prevenuto con l’organizzazione cui aveva fatto parte.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato.

Così deciso nella camera di consiglio del 7 marzo 2013

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