Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38438 del 25/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38438 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 25/05/2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARENA SALVATORE N. IL 30/06/1991
TARASI LUIGI N. IL 17/06/1963
avverso la sentenza n. 1167/2016 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 12/10/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/05/2018 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ;.
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. K.,:à..17, rtufvi

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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 12 ottobre 2016 la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della
sentenza del GIP del Tribunale, che il 15.9.2015 aveva condannato ARENA Salvatore e
TARASI Luigi per concorso, tra loro e con Ponissa Francesco, nei reati di usura ed
estorsione in danno di De Luca Michele, aggravati anche ai sensi dell’art. 7 D.L. n.
152/91, assolveva l’ARENA dal reato di estorsione rideterminando la pena per il reato di
usura e assolveva il TARASI dal reato di usura rideterminando la pena per il reato di

Ricorrono per Cassazione gli imputati.
Entrambi con ricorso a firma Avv. Mario Prato deducono:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità.
Rilevano che nessuna delle due sentenze di merito offre dimostrazione dell’assunto
accusatorio. Sostengono che il deus ex machina della vicenda processuale è Ponissa
Francesco che agisce all’insaputa di ARENA e TARASI. Contestano l’interpretazione data
in sentenza alle conversazioni intercettate ed in particolare rilevano che il fatto tratto
dalla conversazione 21.10.2010 – e cioè che il Ponissa si sarebbe recato a Verona con
l’Arena – è del tutto destituito di fondamento probatorio. In sintesi sostengono che
nessuna delle conversazioni dà contezza di un comune prestito usurario a DE LUCA e che
l’unica certezza è quella che tra Ponissa ed ARENA vi era un rapporto economico.
Rilevano che lo stesso Brescia Giuseppe non ha mai indicato un rapporto usurario al
quale avrebbe partecipato l’ARENA e così lo stesso De Luca. Evidenziano che il rapporto
di De Luca è solo con il Ponissa, come dimostrato dalla conversazione del 26.2.2011 fra
la di lui moglie e il nipote e che lo stesso Ponissa nelle minacce rivolte a De Luca non
coinvolge altri soggetti.
Sostengono che nei confronti del TARASI la sentenza parte da premesse errate,
considerato che non risulta che il TARASI fosse a conoscenza di un prestito usurario ai
danni di De Luca e che non vi sono elementi per affermare che abbia ricevuto dal Ponissa
l’incarico di recuperare il prestito
2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/91
3. vizio di motivazione in ordine all’entità della pena
TARASI ha presentato ricorso anche a mezzo dell’Avv. Luigi Colacino.
Lamenta:

1

estorsione, qualificato come tentativo.

1. che il fatto addebitatogli doveva essere meglio qualificato come esercizio arbitrario
delle proprie ragioni perché la condotta era stata posta in essere in concorso con Ponissa,
titolare del preteso diritto.
2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/91
3. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui

I ricorsi sono inammissibili perché versati in fatto.
I ricorrenti si sono limitati a criticare il significato che la Corte di appello di Catanzaro ha
dato al contenuto delle emergenze istruttorie acquisite. I ricorsi, lungi dal proporre un
“travisamento delle prove”, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale
del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da
disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere,
in pratica, una ipotesi di “travisamento dei fatti” oggetto di analisi, sollecitando
un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata
proposta una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. Questa
Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il
quale, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cessazione il vizio di “travisamento
della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed
incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del
“travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di
merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di
una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante,
Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del
25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Discorso, questo, che vale anche con riferimento
alla lettura del contenuto delle conversazioni e comunicazioni captate durante le indagini,
rispetto alle quali è stato tratteggiato nel ricorso un mero problema di interpretazione
delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle intercettazioni, che è
questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al
giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica
in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (in questo senso Sez. 6, n. 17619 del
08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).

2

all’art. 114 c.p.

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e completa
capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo
la Corte di merito analiticamente spiegato, le ragioni che l’hanno portata al giudizio di
colpevolezza nei confronti del TARASI per il reato di tentata estorsione, considerato la
sua consapevolezza dell’illeicità della pretesa avanzata nei confronti di De Luca (pag. 4
sentenza impugnata), e nei confronti dell’ARENA per il reato di usura con valutazioni di
fatto non sindacabili in questa sede.
come

i

giudici

di

hanno

merito

dato

conto

della

sussistenza

della aggravante del metodo mafioso , anche in relazione alla quale i ricorrenti hanno
svolto le proprie censure all’evidenza tese ad un improprio riesame del fatto. D’altra
parte, la circostanza che gli imputati sul punto si siano nella sostanza limitati a riproporre
le stesse questioni già dedotte e disattese dai giudici del gravame, senza sottoporre ad
effettiva critica – rilevante in punto di vizio di legittimità – la più che esauriente
motivazione esibita su ciascuna delle questioni dedotte, rende i motivi di impugnazione
inammissibili anche perché nella sostanza privi del requisito della specificità. La
giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che
deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo,
infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento
che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel
vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla
inammissibilità della impugnazione (Cass. sez. 1, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass.
sez. 6, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass. sez. 4, 11 aprile 2001)
Quanto alla doglianza relativa alla mancata applicazione della attenuante di cui
all’art. 114 c.p., va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente
avuto modo di sottolineare come per affermare che l’opera di taluno dei concorrenti nel
reato ha avuto una importanza, non solo minore, rispetto a quella degli altri, ma
addirittura minima, non basta procedere ad un esame comparativo delle condotte dei vari
agenti, ma, attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso concretizzatosi
con le sue componenti soggettive, oggettive ed ambientali, occorre accertare il grado di
efficienza causale tanto materiale che psicologico delle singole condotte rispetto alla
produzione dell’evento. Infatti, l’attenuante può essere concessa soltanto se la condotta
di un partecipe abbia avuto una efficacia eziologica del tutto marginale, tale da poter
essere avulsa dalla concatenazione causale senza apprezzabili conseguenze sul risultato
conclusivo (ex plurimis, Cass., Sez. 1, 5 febbraio 1999, Simone). Il che evidentemente
3

Così

non ricorre proprio con riferimento alle ipotesi in cui, come nella specie, il contributo
causale si sia realizzato attraverso un apporto indispensabile per la realizzazione e la
riuscita del comune programma criminoso.
Così come gli imputati non possono dolersi della mancata motivazione in ordine alla
fissazione della pena quando, come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza
gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata
applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 2.000,00
ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle ammende
Così deliberato in Roma il 25.5.2018.
Sentenza a motivazione semplificata

I ricorsi sono pertanto inammissibili

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