Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38436 del 25/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38436 Anno 2018
Presidente: CERVADORO MIRELLA
Relatore: MONACO MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DELLAGAREN GUIDO nato a SAVONA il 09/10/1971
DELLACHA ERMELINDA nato a TORTONA il 15/03/1949

avverso la sentenza del 18/11/2016 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio
udito il difensore presente, avv. Davide Gatti, che insiste per l’annullamento
della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

La CORTE D’APPELLO di GENOVA, con sentenza in data 18/11/2016, in
parziale riforma della sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di GENOVA, in data
19/5/2016, nei confronti di DELLGAREN GUIDO e DELLACHA’ ERMELINDA,
qualificava il fatto ai sensi degli artt. 56 e 640 CP e riduceva la pena.

Data Udienza: 25/05/2018

1. Propongono ricorso per cassazione gli imputati che, a mezzo del
difensore, deducono i seguenti motivi.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto desistenza
volontaria di cui all’art. 56 comma 3 cod. pen. con riferimento al reato di tentato
furto aggravato originariamente contestato. Il ricorrente rileva la totale carenza
di motivazione quanto allo specifico motivo di appello nel quale era dedotta la
sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 56 comma 3 cod. pen.
Gli atti ed alcuni passaggi della stessa motivazione della sentenza di primo

allontanati volontariamente.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta
idoneità ed univocità degli atti ad integrare il tentativo di truffa. Il ricorrente
evidenzia che gli atti, “stante il ridotto grado di sviluppo”, non possono essere
ritenuti idonei e che la motivazione sul punto, con il riferimento al solo possesso
di un “blocchetto di ricevute” ed alle “intenzioni malevoli” degli imputati, è
incongrua.
1.3. Violazione di legge quanto alla desistenza volontaria di cui agli artt.
56 comma 3 cod. pen. con riferimento al ritenuto reato di tentata truffa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente.
Le doglianze circa l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e
per carenza di motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale in
merito alla desistenza volontaria, sono manifestamente infondate.
La Corte, peraltro accogliendo il secondo motivo di appello, ha fornito
congrua risposta a tutte le critiche contenute nell’atto di impugnazione.
La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, nella ricostruzione del
fatto si salda ed integra con la sentenza di primo grado di cui nella sostanza
condivide l’impostazione generale in merito a quanto accaduto.
La questione della desistenza volontaria era stata oggetto di specifica analisi
a pagina 6 della sentenza del Tribunale (“….la desistenza non risulta volontaria,
ma determinata dall’inaspettato comportamento reattivo ed oppositivo della
p.o….”)

e ‘tale conclusione -ribadita nell’incipit della motivazione del

provvedimento ora impugnato

(“l’anziana intuendo le intenzione riusciva a

respingerli”)- è stata confermata dalla Corte territoriale.

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grado, d’altro canto, evidenzierebbero che gli imputati hanno desistito e si sono

Con tale argomento, peraltro, la difesa si confronta solo parzialmente
attribuendo rilievo esclusivo alla mancanza di prova di fattori esterni che possano
aver coartato la volontarietà della desistenza.
La lettura delle motivazioni delle due sentenze, invero, evidenzia che la
consumazione del reato è stata impedita dal comportamento della vittima che
fece “blocco” ed impedì, anche parandosi fisicamente davanti alla porta, agli
imputati di entrare e non certo perché gli stessi si siano avveduti o abbiano
percepito che altri (il figlio) erano presenti ed avrebbero potuto intervenire.

(che nel frattempo si era avvicinato alla porta per aumentare la pressione fisica e
tentare di introdursi in casa) è del tutto irrilevante ed aveva l’unico evidente
scopo di giustificare la presenza nel palazzo e favorire la fuga dei due ricorrenti.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal
senso formulati sono inammissibili, sovrapporre la propria valutazione a quella
compiuta dai giudici di merito.
Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai
sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di
verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di
essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se
abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una
compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da
ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204,
del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507).
Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione nella quale la specifica
valutazione del giudice di primo grado è stata condivisa dal giudice d’appello ogni
ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa e parziale lettura
di quanto emerso nel corso delle indagini risulta del tutto inconferente

(“esula

dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del
provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è
riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di
legittimità solo la verifica dell’iter” argomentativo di tale giudice, accertando se
quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno
condotto ad emettere la decisione”, in questo senso da ultimo Sez. 2, n. 7986
del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217).

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In tale corretto contesto l’affermazione (“c’è stato un errore”) del Dellagren

Ad analoghe conclusioni, per gli stessi motivi, deve addivenirsi quanto alla
rilevata desistenza per il reato di truffa. La desistenza, infatti, deve intendersi in
generale come desistenza da una condotta e non certo dalla commissione di una
specifica fattispecie incriminatrice. La truffa ritenuta dalla Corte, come il furto
originariamente contestato e ritenuto dal giudice di primo grado, non si sono
consumati per la ferma opposizione della persona offesa che ha così impedito
agli imputati di portare a compimento l’azione posta in essere.
1.2. Il secondo motivo, nel quale la difesa critica la ritenuta idoneità degli

Ai fini della configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi
veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori,
facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato
il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, potendosi cioè
affermare che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo
programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non
prevedibili, ed indipendenti dalla volontà del reo (Sez. 2, n. 46776 del
20/11/2012, Rv 254106).
In astratto, quindi, anche un atto così detto “preparatorio” può integrare
gli estremi del tentativo punibile, purché abbia la capacità -in base ad una
valutazione ex ante e relativamente alle circostanze del caso- di raggiungere il
risultato prefisso, ed a tale risultato sia univocamente diretto (Sez. 5, n. 36422
del 17/05/2011, Rv 250932; Sez. 2, n. 41649 del 5/11/2010, Rv 248829).
Una compiuta valutazione in merito alla idoneità degli atti, inoltre, impone
di verificare, in termini di possibilità e non di probabilità, l’efficacia strutturale e
strumentale del mezzo usato poiché, qualora questo sia anche in astratto
inefficace, si configurerebbe un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai
sensi dell’art. 49 c.p. Anche in tal caso l’azione deve essere valutata ex ante,
posto che l’inefficienza del mezzo usato deve risultare assoluta e indipendente da
cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante ed in

atti compiuti ad integrare il tentativo di truffa, è manifestamente infondato.

relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto
dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso
(Sez. 1, n. 36726 del 2/07/2015, Rv 264567; da ultimo, per una compiuta
analisi Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015 dep. 2016, Rv 267562).
Nel caso di specie, quindi, la conclusione cui sono pervenuti i giudici di
merito valutando la condotta complessivamente posta in essere (introduzione nel
palazzo, essersi presentati come persone incaricate di verificare i farmaci che
l’anziana signora assumeva, l’avere un blocchetto in bianco di ricevute ed avere
predisposto quanto necessario per confondere eventuali inseguitori), risulta

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r

essere corretta e coerente espressione della giurisprudenza di legittimità sul
punto e, pertanto, non è censurabile in questa sede.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
di euro duemila a favore della cassa delle ammende

P.Q.M.
Dichiara Inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa

Così deciso il 25/5/2108

delle ammende.

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