Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38435 del 12/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38435 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MILANO
nei confronti di:
ZERRARI SAID N. IL 25/04/1983
avverso la sentenza n. 13038/2012 TRIBUNALE di MILANO, del
22/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1À (11(t(44′
che ha concluso per

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Data Udienza: 12/07/2013

FATTO E DIRITTO
1. Il Tribunale di Milano con sentenza del 22/11/2012, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti di Zerrari Said,
imputato di violazione degli artt. 81, cpv, cod. pen. e 73, d.P.R. n. 309/1990,
con il riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui al comma 5 del
cit. art. 73, la pena concordata dalle parti medesime, operata la riduzione del

2. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano propone ricorso per
cassazione denunciando violazione di legge avuto riguardo ai due profili di cui
appresso: a) il giudice non aveva tenuto affatto conto della recidiva, senza aver
espresso giudizio di bilanciamento sul punto; b) non aveva tenuto conto della
continuazione interna contestata.

3. Il ricorso deve essere disatteso.
Richiamandosi la ferma giurisprudenza di questa Corte, devesi affermare che
fatta eccezione dell’ipotesi di pena illegalej- ipotesi che nella fattispecie non
ricorre – l’accordo raggiunto tra le parti e recepito dal Giudice nella conseguente
sentenza, ex art.444 e.p.p. preclude alle parti stesse, nonché al PG, la
proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione, di eccezioni o censure
attinenti al merito delle valutazioni, sottese al consenso prestato dalle parti
medesime (Giurisprudenza di legittimità consolidata: Cass. Sez. 4 Sent. n.
20165 del 29/04/04, rv 228567; Cass. Sez. 4 Sent. n. 3946 del 30/03/98, rv
210639; Cass. Sez. 1 Sent. n. 6898 del 24/01/97, rv 206642; Cass. Sez. 4 Sent.
n. 8060 del 20/08/96, rv 205835; Sez. III, 3/5/2011, n. 23804).
Condivisibilmente si è, di recente (Cass., Sez. IV, n. 27733 del 18/11/20111;
nello stesso senso, Cass., Sez. Fer., n. 32078 del 12/8/2010) chiarito che, nel
procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 e ss.
c.p.p.), le parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con il ricorso
per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento, in
particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del procedimento nonché la
qualificazione giuridica del fatto risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa
come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione. Ne
consegue che, una volta pronunciata la sentenza che ha recepito l’accordo, sul
quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo potere di controllo, le parti
(anche quella pubblica) non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento all’applicazione delle circostanze e alla entità della pena,
che non sia illegale. Né tale doglianza può essere formulata prospettando il

rito.

difetto di motivazione, in quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti
hanno implicitamente esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno
“inter partes”) dei punti non controversi della decisione, non potendosi
pretendere l’esposizione dei motivi di un convincimento che le parti stesse hanno
già fatto proprio.
Né, una volta che il giudice abbia dato mostra di aver preso in esame la
condizione negativa di cui all’art. 129, cod. proc. pen. (peraltro, nel caso in
esame con adeguata e specifica motivazione) può essere ammessa censura sul

Pur vero che questa Corte ha anche affermato che il procedimento di
applicazione della pena su richiesta delle parti non impedisce l’azionabilità del
ricorso per cassazione quando il vizio di violazione di legge attenga alla
qualificazione giuridica del fatto (S.U., n. 5 del 19/1/2000; conformi, Cass.
1341/2000; 2083/2000; 39526/2006). Tuttavia, ove il giudice abbia effettuato la
verifica delibativa che la legge gli assegna non è più consentito alle parti e allo
stesso P.G. di dolersi della qualificazione, dell’individuazione delle circostanze,
del bilanciamento e del computo della pena, in quanto si tratterebbe di doglianze
inammissibili perché dirette a ricostruire i fatti, sul punto, in modo diverso da
quanto concordato.

3.1. In ogni caso devesi qui osservare che l’entità della pena approvata dal
giudice, suffragata dall’esplicitazione del calcolo, evidenzia che il predetto, presa
in considerazione implicita la recidiva, ha reputato di far prevalere su di essa le
attenuanti.
Quanto alla continuazione devesi osservare che la determinazione di pena non
corrispondente al minimo assoluto consente di escludere che il giudice abbia
omesso di retribuire la contestata continuazione.

4. La natura pubblica del ricorrente impone nulla doversi statuire sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 12/7/2012

Il C ns. e

Il President

punto.

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