Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38432 del 31/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38432 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
STRANO FRANCESCO nato a CATANIA il 25/01/1992

avverso l’ordinanza del 05/10/2017 del TRIB. LIBERTA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
sentite le conclusioni del PG SIMONE PERELLI, che ha chiesto l’annullamento con
rinvio limitatamente al punto relativo alla inadeguatezza degli arresti domiciliari,
eventualmente con la applicazione del braccialetto elettronico e delle prescrizioni
di cui all’art. 284 c.p.p., a tutelare efficacemente le esigenze cautelari.

Data Udienza: 31/01/2018

51058/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 sig. Francesco Strano ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
05/10/2017 del Tribunale di Catania che ha rigettato la richiesta di riesame
dell’ordinanza del 18/09/2017 del G.i.p. di quello stesso Tribunale che, sulla
ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di illecita

73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, ed in considerazione del pericolo di
reiterazione del reato, ha applicato nei suoi confronti la misura coercitiva
personale della custodia cautelare in carcere.
1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen., la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione
del provvedimento impugnato che ha condiviso la scelta del g.i.p. di ritenere la
custodia cautelare unica misura in grado di soddisfare l’esigenza cautelare
special-preventiva di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., con esclusione di
tutte le altre (e, fra queste, quella degli arresti domiciliari).

2.11 ricorso è inammissibile perché generico, manifestamente infondato e
proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità.

3.11 Tribunale di Catania così motiva il rigetto della richiesta di riesame:
3.1.il ricorrente deteneva la sostanza stupefacente all’interno di abitazioni in
sua disponibilità (quella della sorella mentre era in procinto di utilizzare quella
della nonna);
3.2.il braccialetto elettronico non avrebbe potuto impedire lo spaccio della
sostanza in costanza di arresti domiciliari;
3.3.il ricorrente, infatti, aveva una forte spinta alla reiterazione del reato sia
perché non aveva saldato il debito contratto con l’acquisto della sostanza sia
perché con il denaro ricavato dalla vendita sarebbe stato utilizzato anche per
comprare la cocaina della quale era assuntore;
3.4.1a sua capacità di collocare la droga sul mercato era notevole, visto che
avrebbe impiegato circa un mese per ricavarne i 3.000 euro necessari a pagare il
fornitore.
3.5.Di queste considerazioni si alimenta il convincimento dei Giudici del
riesame circa la inidoneità di misure cautelari diverse da quella custodiale a
elidere il pericolo di recidiva.

detenzione di kg. 5,8 di sostanza stupefacente del tipo marijuana di cui all’art.

4.11 ricorrente si estranea completamente dalla

“ratio decidendi”

dell’ordinanza impugnata (di qui la genericità del ricorso). Secondo lo Strano,
infatti, il Tribunale del riesame ha fondato la propria decisione «in via esclusiva
sulla gravità del reato contestato e sulle dichiarazioni con fessorie rese in sede di
convalida dell’arresto (…), senza invece tenere conto in alcun modo di
significativi elementi specializzanti» a suo favore (la sua giovane età, la totale
mancanza di precedenti penali e di carichi pendenti, la mancanza di spinte
delinquenziali, l’immediato atteggiamento collaborativo). Il percorso

intrinsecamente ipotetico, del tutto disancorato da quell’attualità e concretezza
che, secondo il riformulato dettame codicistico, devono fungere da
imprescindibile criterio guida ai fini della valutazione del pericolo di recidiva».
4.1.Ferma la genericità del ricorso, occorre richiamare il costante
insegnamento della Corte, ben noto anche al ricorrente, secondo il quale: a)
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argonnentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
“ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi
di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n.
24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); b) la mancanza e la manifesta illogicità
della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato,
sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del
provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già
opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una
diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato
logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti
si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di
logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
4.2.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per
spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato,
nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro
2

motivazionale, sostiene sempre il ricorrente, «si fonda (…) su un ragionamento

probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori
dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) la natura manifesta della illogicità
della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato
di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica
a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del
medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli.
4.3.Non è dunque consentito, in sede di legittimità, proporre
un’interlocuzione diretta con la Suprema Cotte in ordine al contenuto delle prove

di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si
sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei
Giudici di merito.
4.4.E’ agevole allora notare, dal confronto tra i motivi di ricorso e la
motivazione dell’ordinanza impugnata, che: a) il ricorrente propone, di fatto, una
diversa valutazione degli elementi di fatto utilizzati dai Giudici del riesame, con
ciò dando egli stesso prova della non manifesta illogicità del ragionamento di
questi ultimi; b) la mancanza di precedenti penali ed il buon comportamento
processuale del ricorrente sono stati presi in considerazione dal Tribunale del
riesame che ne ha ritenuto la soccombenza rispetto all’esigenza di questi di
procurarsi la provvista necessaria a saldare il debito e il denaro necessario ad
acquistare la cocaina da assumere (circostanze, queste, non contestate dal
ricorrente, con conseguente ulteriore profilo di genericità e manifesta
infondatezza del ricorso); c) non è manifestamente illogico trarre da questi
elementi di fatto il giudizio sulla concretezza e attualità delle esigenze cautelari
(e ciò senza considerare che il ricorrente non contesta la sussistenza delle
esigenze cautelari, ma solo l’adeguatezza degli arresti donniciliari a farvi fronte);
d) il Tribunale, infatti, trae da questi dati il convincimento dell’esistenza (anche
economica, oltre alla necessità di preservare intatta la fiducia del fornitore) di
una spinta immediata (e niente affatto ipotetica o astratta) al delitto che trova
nei fatti la sua ragion d’essere, a prescindere dall’esistenza di precedenti penali;
e) non è manifestamente illogico desumere dalla fornitura a credito di cospicui
quantitativi di sostanza stupefacente la conclusione dell’esistenza di un rapporto
stabile (se non proprio l’inserimento) tra l’acquirente e il mondo della malavita a
ben più ampi livelli.

5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che

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scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio

si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C
3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94, comma Iter, Disp. Att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 31/01/2018.

La Corte inoltre dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa

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