Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38418 del 27/03/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 38418 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAVALLO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PIPITONE VINCENZO N. IL 05/02/1956
avverso l’ordinanza n. 4771/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 03/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;

Data Udienza: 27/03/2014

Ritenuto in fatto

1.

Il Tribunale di sorveglianza di Roma, con l’ordinanza indicata in

epigrafe, ha respinto il reclamo proposto da Vincenzo Pipitone avverso il decreto
del Ministro della Giustizia che aveva disposto nei riguardi dello stesso la proroga
del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., con la
conseguente sospensione di alcune regole di trattamento previste dalle legge
penitenziaria.

più articolato – che gli elementi posti dalla Amministrazione penitenziaria a
fondamento del decreto (attuale pericolosità sociale del reclamante quale
desumibile dalla sua accertata appartenenza – da ultimo con ruolo apicale – alla
famiglia mafiosa di Carini, riconducibile al mandamento San Lorenzo; dai suoi
precedenti penali e dalla sua veste di indagato per numerosi fatti di estorsione
commessi in concorso con Lo Piccolo Salvatore, ai vertici dell’organizzazione
mafiosa Cosa Nostra; la perdurante operatività sul territorio del clan di
appartenenza) erano sufficienti a dimostrare la effettiva sussistenza delle
eccezionali ragioni di ordine e di sicurezza che avevano legittimato l’adozione del
regime differenziato, in assenza di elementi sintomatici del venir meno del
vincolo associativo e di una cessazione della capacità del prevenuto di fattivo ed
illecito collegamento con l’esterno.

2.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il

Pipitone, per il tramite del difensore di fiducia, il quale deduce violazione dell’art.
41 bis legge n. 354 del 1975 ed assoluto difetto di motivazione ovvero illogicità
della stessa.
Il Tribunale di sorveglianza – si sostiene in ricorso – ha infatti rigettato il
ricorso, omettendo di rilevare che la motivazione del decreto di proroga
riproponeva sostanzialmente le stesse argomentazioni già svolte nel decreto che
aveva disposto per la prima volta il regime detentivo differenziato, ravvisando
l’attuale capacità del Pipitone di mantenere contatti con l’associazione criminale,
in base a valutazioni assolutamente incongrue, senza indicare gli elementi
concreti su cui era fondato tale giudizio, valorizzato esclusivamente gli elementi
desunti dal titolo di detenzione, ovvero erroneamente attribuendo al ricorrente
un ruolo – quello di soggetto che aveva curato la latitanza del boss Salvatore Lo
Piccolo – che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pulizzi pure prodotte
dalla difesa attribuivano ad altri affiliati.

Rilevava il Tribunale – sintetizzando un percorso argomentativo invero assai

3. Del tutto illegittimo, secondo il ricorrente, era anche il rigetto della
richiesta subordinata di annullamento del decreto ministeriale relativamente alla
limitazione dei colloqui (assoluta congruità delle stesse, predeterminate per
legge e funzionali ad impedire contatti del detenuto con il sodalizio criminale)
tenuto conto che in altre occasione lo stesso Tribunale aveva ritenuto
l’Amministrazione penitenziaria competente a decidere sulla disapplicazione delle

singole prescrizioni.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione è inammissibile, perché basata su motivi non consentiti
dalla legge nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
Nel controllo di legittimità sul provvedimento di proroga, il Tribunale di
sorveglianza ha – come si è visto – valutato gli elementi indicati nel decreto
ministeriale e li ha sottoposti ad autonomo vaglio critico, accertando che gli
stessi fornivano dati realmente significativi sulla effettiva capacità del reclamante
– anche a ragione della sua intraneità alla famiglia mafiosa di Carini, ancora
operativa sul territorio, quale desumibile dalle sentenza di condanna e da recenti
apporti di collaboratori di giustizia – di mantenere collegamenti con la criminalità
organizzata, quindi sull’attuale pericolosità del detenuto, dovendo distinguersi tra
attualità del collegamento con l’organizzazione esterna e l’attualità dei concreti
contatti.
In particolare, evocando provvedimenti giurisdizionali ed i contenuti
motivazionali degli stessi nonché articolate informative degli organi inquirenti elementi rispetto ai quali nel ricorso, in violazione del generale principio di
autosufficienza, non vengono forniti, per altro, elementi indicativi di un effettivo
travisamento – il Tribunale ha ritenuto che il Pipitone, in assenza di elementi
sintomatici di autentica dissociazione e di acquisizione di valori di legalità,
potesse continuare a dare apporti di impulso, di indirizzo, di coordinamento a
scelte delinquenziali da attuarsi all’esterno ad opera di soggetti appartenenti
all’organizzazione.

2. Nessun profilo di illegittimità, infine, è ravvisabile nel provvedimento
impugnato relativamente al rigetto della richiesta di apportare delle modifiche
alle prescrizioni previste nel decreto ministeriale in tema di colloqui, posto che la
decisione del Tribunale di ritenere le stesse “congrue” e comunque non
2

modificabili da parte dell’Autorità giudiziaria non fa che uniformarsi alla lezione
interpretativa di questa Corte (in termini Sez. 1, n. 4474 del 10/12/2004 – dep.
08/02/2005, RG. in proc. Quattroluni, Rv. 230827), secondo cui «in materia di
ordinamento penitenziario, nell’esercizio del potere di controllo sul
provvedimento ministeriale di applicazione del regime di trattamento
differenziato, è precluso al Tribunale di sorveglianza di sostituirsi all’Autorità
amministrativa sovrapponendo, attraverso la modifica del provvedimento, la

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente
determinabile in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1000,00 alla cassa delle
ammende
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2014.

propria determinazione a quella ritenuta “contra legem”.

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