Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38415 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38415 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorsi) propostq) da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TARANTO
MANDURRINO GIOVANNI
MANDURRINO ROSALIA
VALENTINI EMIDIO
VALENTINI LUCA
VALENTINI ANNARITA
MANDURRINO ELENA NCISLRI~M
MANDURRINO MASSIMO
ERAMO COSIMO
MANDURRINO ANTONIO
MANDURRINO JOHNATHAN
MANDURRINO SIMONA
PAGLIARO MARISTELLA
MANDURRINO MIRKO
nei confronti di:
SCARNERA GIOVANNI N. IL 01/01/1949
DE CILLIS MARIA ASSUNTA N. IL 24/08/1969, \
avverso la sentenza n. 746/2010 CORTE APPELL EZ.DIST. di
TARANTO, del 10/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Data Udienza: 14/05/2013

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-1- Scarnera Giovanni, De Cillis Maria Assunta e Iacovelli Gabriella sono stati tratti a
giudizio davanti al Tribunale di Taranto per rispondere del decesso della paziente Lotta
Bianca, sopraggiunto nella prima mattinata del 17 luglio 2004 per un’asistolia irreversibile.
Secondo l’accusa, i tre medici – la Iacovelli in qualità di medico del pronto soccorso
dell’ospedale “SS. Annunziata” di Taranto che aveva effettuato la prima visita, lo Scarnera
in qualità di primario del reparto di otorinolaringoiatria dell’ ospedale “Moscati”, ove la
paziente era stata ricoverata dopo la visita al pronto soccorso, la De Cillis quale medico,
dello stesso reparto, che aveva redatto la cartella clinica n. 762, relativa al ricovero della
Lotta, e che aveva visitato la paziente – per colpa consistita in imprudenza, negligenza e
imperizia, hanno provocato la morte della donna, avendo omesso di formulare l’esatta
diagnosi di infarto miocardico acuto della parete inferiore del ventricolo sinistro, e
conseguentemente di intervenire tempestivamente con adeguata terapia farmacologica.
I diversi passaggi che hanno caratterizzato il decorso clinico della paziente sono stati
ricostruiti nei seguenti termini.
Lotta Bianca, intorno alle ore 16,35 dell’Il luglio 2004, era stata accompagnata dai propri
familiari presso il pronto soccorso dell’ospedale “SS. Annunziata”, ove la dott.ssa Iacovelli
aveva diagnosticato un “riferito vomito incoercibile”, dopo avere comunque effettuato un
rilievo della pressione arteriosa, uno stik glicemico ed un elettrocardiogramma. Nulla
avendo rilevato dagli eseguiti accertamenti -valutato nella norma l’elettrocardiogramma- la
Iacovelli non aveva disposto il ricovero della paziente che, alle ore 17,10, era uscita dal
pronto soccorso.
Vi era tuttavia ritornata alle ore 18 dello stesso giorno e in tale occasione la Iacovelli aveva
diagnosticato una “riferita disfagia e faringodinia in paziente con pregresso episodio di
vomito alimentare”; dietro le insistenze dei familiari, il medico aveva disposto il ricovero
della Lotta presso il reparto di otorinolaringoiatria dell’ospedale “Moscati”, unico reparto
con disponibilità di posti.
Giunta in detto reparto, la paziente era stata visitata dalla dott.ssa De Cellis, che aveva
effettuato un’intervista di routine ed aveva compilato la cartella clinica. Nuove visite erano
state effettuate nelle giornate del 12 e 13 luglio, all’ultima delle quali erano stati richiesti
ulteriori esami di laboratorio, cioè markers di epatite, transaminasi e CPK.
Il 14 luglio la paziente era stata sottoposta a consulenza geriatrica ed il 15 successivo a
consulenza internistica; era stata quindi richiesta una consulenza chirurgica.
11 16 luglio la Lotta aveva presentato epigastralgia ed erano stati richiesti un ECG a letto,
urgente, transaminasi ed esami cardiaci; era stata chiesta, altresì, una consulenza
cardiologica. Nella stessa giornata, la paziente era stata trasferita presso la locale unità di
terapia intensiva con diagnosi di “disfagia in sospetto infarto al miocardio”; presso tale
reparto la donna era rimasta fino alla tarda serata dello stesso giorno per essere poi
ricoverata presso la “Casa di Cura Villa Bianca” di Bari, ove la paziente era stata sottoposta
a coronarcgrafia ed angioplastica.
Rientrata in reparto alle ore 040 del 17 luglio, la stessa era deceduta alle ore 5 dello stesso
giorno.
E’ stato poi accertato che la Lotta aveva subito un primo infarto l’ 11 luglio ed un secondo
infarto, rivelatosi fatale, il 16 luglio; nessuno dei medici che avevano visitato la paziente l’
11 luglio e nelle giornate successive aveva diagnosticato il primo infarto.
-2- Con sentenza del 4 gennaio 2010, il Tribunale di Taranto ha dichiarato Scarnera
Giovanni e De Cillis Maria Assunta colpevoli del delitto contestato e, riconosciute le
circostanze attenuanti generiche, li ha condannati alla pena, sospesa alle condizioni di legge,
di quattro mesi di reclusione ciascuno nonché, in solido con il responsabile civile Azienda

3

Ritenuto in fatto.

-3- Su appelli proposti dallo Scarnera e dalla De Cillis, dal responsabile civile e dalle parti
civili (che hanno impugnato l’assoluzione della Iacovelli e la mancata assegnazione di una
provvisionale), la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, stralciata la
posizione della Iacovelli per un difetto di notifica, con sentenza del 10 gennaio 2012, in
riforma della sentenza impugnata, ha assolto i due imputati perché il fatto non sussiste.
Il giudice del gravame ha anzitutto premesso che la condotta dello Scarnera e della De
Cellis era stata certamente caratterizzata da colpa, specificamente da negligenza e imperizia,
nella valutazione dei dati clinici di cui erano in possesso.
In particolare, lo stesso giudice, richiamando i pareri espressi dai periti nominati dal Gip in
sede di incidente probatorio, ha anzitutto osservato che i valori notevolmente elevati del
CPK non erano stati considerati e neanche segnalati dai medici del reparto di
otorinolaringoiatria nel diario clinico, benché gli stessi fossero emersi fin dal pomeriggio del
12 luglio. Ha poi rilevato, ancora richiamando i pareri espressi dai periti, che nel corso della
degenza della paziente presso detto reparto l’ipotesi diagnostica di infarto del miocardio
avrebbe dovuto esser considerata almeno possibile, in considerazione del marcato aumento
del CPK, che avrebbe dovuto indurre i medici ad ipotizzare la cardiopatia ischemica e quindi
a considerare l’opportunità di richiedere una consulenza cardiologica. Tale ipotesi, peraltro,
avrebbe potuto trovare conferma nello stesso elettrocardiogramma effettuato 1’11 luglio, il
cui referto automatico aveva indicato un “ECG anormale”.
Tanto precisato, la corte territoriale ha tuttavia ritenuto di dovere emettere una sentenza
assolutoria in mancanza di prova della sussistenza del rapporto di causalità tra l’omessa
diagnosi, imputabile ai due imputati, e il decesso della Lotta; ciò perché non poteva
affermarsi che, se i due medici avessero diagnosticato l’infarto fin dal pomeriggio del 12
luglio, la morte della paziente si sarebbe potuta evitare.
Ha sostenuto il giudice del gravame, che gli stessi periti avevano precisato che il secondo
infarto, intervenuto il 16 luglio, si sarebbe potuto verificare anche se la paziente fosse stata
correttamente gestita e tempestivamente avviata al reparto cardiologico, così come qualsiasi
paziente con infarto miocardico acuto può avere prognosi infausta anche in caso di ricovero
in reparto di terapia intensiva e di somministrazione di cure adeguate e tempestive, essendo
la mortalità per infarto acuto ancora significativa. Ha segnalato, inoltre, lo stesso giudice che
i periti avevano sostenuto che il tipo di patologia della quale la Lotta era affetta
(coronaropatia emodinamicamente significativa a carico di due dei tre tronchi coronarici
principali) non consentiva di individuare, in termini di ragionevole certezza o di elevata

Sanitaria di Taranto, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore
delle parti civili costituite. Iacovelli Gabriella è stata invece assolta per non avere commesso
il fatto.
A giudizio del tribunale, la Iacovelli, sulla base dell’esito dell’elettrocardiogramma,
eseguito 1’11 luglio al pronto soccorso, non avrebbe potuto diagnosticare l’infarto poiché il
referto non era univoco in tal senso e la paziente non aveva manifestato sintomi specifici.
Di qui l’assoluzione dell’imputata.
Viceversa, i medici del reparto di otorinolaringoiatria, e cioè i dottori Scarnera e De Cillis,
avevano avuto a disposizione, fin dal pomeriggio del 12 luglio, i risultati degli esami di
laboratorio, che avevano registrato un valore anomalo del CPK (pari a 1140 u/l, a fronte di
valori normali che variano da 25 a 190). Proprio l’elevato valore del CPK -che è un enzima
che segnala un’alterazione muscolare che può essere anche cardiaca- unito al risultato
dell’ECG del giorno prima, avrebbe dovuto orientare i due medici, a giudizio del tribunale,
verso una patologia cardiaca, laddove essi avevano solo richiesto una serie di inutili
consulenze. Il ritardo della diagnosi aveva, ritardato il ricorso alle terapie più appropriate ed
aveva, quindi, determinato il decesso della paziente.
Di qui l’affermazione di responsabilità dei due medici.

-4- Avverso detta decisione ricorrono per cassazione il Procuratore Generale della
Repubblica e le parti civili: Mandurrino Giovanni, Mandurrino Rosalia, Valentini Emidio,
Valentini Luca, Valentini Annarita, Mandurrino Elena, Mandurrino Massimo, Eramo
Cosimo, Mandurrino Antonio, Mandurrino Johnathan, Mandurrino Simona, Pagliaro
Maristella e Mandurrino Mirko.
4-A) Il PG deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza impugnata,
laddove, recependo acriticamente le tesi difensive, il giudice del gravame ha ritenuto
l’insussistenza del nesso causale tra la condotta degli imputati, pur giudicata negligente ed
imperita, e l’evento determinatosi, peraltro senza considerare che il nesso sussiste, non solo
nel caso in cui l’evento, con elevato grado di credibilità razionale non avesse avuto luogo,
ma anche quando lo stesso si fosse verificato in epoca significativamente posteriore ovvero
con minore intensità lesiva.
La corte territoriale, nel richiamare i giudizi espressi dai periti e dal consulente del PM,
non avrebbe considerato che quanto sostenuto in linea teorica dagli esperti, in specie dal
consulente del PM, non può applicarsi al caso concreto.
In realtà, si sostiene nel ricorso, se è vero che i sintomi del primo infarto sono apparsi nel
primo pomeriggio dell’ 11 luglio, è anche vero che la causa del decesso è stata il secondo
infarto, intervenuto il 16 luglio. Il primo infarto, quindi, non è stato fatale -se cosi fosse
stato, la necrosi, seguendo il ragionamento della corte, sarebbe stata completa entro sei oredi guisa che, essendosi il secondo infarto ripresentato dopo cinque giorni, dovrebbe
concludersi nel senso che una tempestiva diagnosi, eseguita il 12 luglio, avrebbe scongiurato
il secondo infarto, o comunque avrebbe evitato che lo stesso si manifestasse con la stessa
letale intensità, o ne avrebbe significativamente posticipato l’insorgenza.
Tale conclusione si desume, secondo il ricorrente, in termini di alta probabilità logica: a)
dalla successione cronologica degli eventi; b) dalla circostanza che la paziente non
presentava fattori di rischio diversi dall’essere di sesso femminile e dalla considerazione,
svolta dal consulente del PM, secondo cui ad un unico fattore di rischio corrisponde un
rischio di morte, dopo sei settimane, pari al 2,3% e, dopo 35 giorni al 14,1%; c) dal giudizio
espresso dai periti e dal consulente del PM, secondo cui il ritardo nella diagnosi era stato
fondamentale nel determinare la prognosi infausta; d) da quanto emerge dall’esame dei dati
statistici (richiamati dai periti e dal consulente del PM), nei quali si evidenzia che, se è vero
che nei casi di infarto al miocardio la prognosi quoad vitam è molto difficile da stimare e
che molti studi hanno stabilito che la mortalità nel primo mese si colloca tra il 30% ed il
50%, con la metà dei casi che si verifica nelle prime due ore dall’insorgenza dei sintomi, è
anche vero che la mortalità intraospedaliera è nettamente inferiore, ed è giunta al 18% con
l’introduzione delle unità di terapia intensiva coronarica. Percentuale che, grazie a nuove
terapie ed alla cardiologia interventistica, scende al 6-7% nel primo mese d’insorgenza
dell’infarto.
Chiede, quindi, il ricorrente l’annullamento della sentenza impugnata.

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probabilità, quale sarebbe stata l’evoluzione del quadro clinico della paziente qualora si
fossero tempestivamente praticate le cure più adeguate, e quindi di ritenere che il tempestivo
ricorso a dette cure avrebbe potuto evitare l’exitus.
Giudizi e considerazioni, quelli espressi dai periti, che la corte territoriale ha interpretato
nel senso che la gravità della patologia cardiaca, caratterizzata dall’occlusione di due delle
tre coronarie principali, era tale che, pur se tempestivamente diagnosticata dagli imputati,
avrebbe comunque, con elevata probabilità, causato il decesso della paziente.
Tali conclusioni, la stessa corte ha ritenuto avvalorate dalle considerazioni svolte dal
consulente del PM circa i tempi di necrotizzazione del cuore colpito da infarto al miocardio.
Di qui la sentenza assolutoria.

Considerato in diritto.
-1- Deve preliminarmente rilevarsi che, intervenuto il decesso della Lotta il 17 luglio 2004,
il reato contestato è ormai prescritto, essendo interamente decorso il termine massimo di
prescrizione (sette anni e sei mesi) previsto dalla legge e non essendo emersi, per le ragioni
di seguito specificate, elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente
dell’insussistenza del fatto contestato agli imputati o della loro estraneità ad esso.
-2- Tanto premesso osserva la Corte che fondati sono i motivi di ricorso proposti, essendo
chiaramente sussistenti i vizi dedotti vizi motivazionali sul punto concernente il nesso di
causalità.
La corte territoriale, a conclusione dell’escursus argomentativo che l’ha indotta ad emettere
sentenza assolutoria per insussistenza del nesso causale tra le condotte degli imputati, pur
ritenute imperite e negligenti, ed il decesso della Lotta, ha giustificato tale decisione,
rilevando:
a) che i due sanitari avrebbero potuto sospettare l’esistenza di una patologia cardiaca solo a
partire dalle ore 15,19 del 12 luglio 2004, allorché si erano resi disponibili i valori di CPK;
b) che “in quel momento erano già passate oltre ventiquattr’ore dall’esordio dei sintomi e
quindi dall’inizio della necrosi che, proprio per il tempo trascorso, aveva provocato effetti
ormai irreversibili a carico del cuore” (della paziente); di guisa che, ove anche “gli
imputati avessero effettuato la giusta diagnosi alle ore 15,19 del 12 luglio (non potendo
addivenirvi prima per l’insufficienza dei dati a loro disposizione), la successiva terapia non
sarebbe stata idonea e sufficiente a scongiurare l’evento infausto…”.
Orbene, osserva la Corte, che l’individuazione nelle ore 15,19 del 12 luglio (allorché sono
stati resi noti i dati di CPK) il momento a partire dal quale i sanitari avrebbero dovuto
almeno sospettare l’esistenza di una patologia cardiaca, si presenta contraddittoria rispetto a
quanto rilevato dallo stesso giudice del gravame, laddove ha segnalato che anche prima di
quei risultati, già dal pomeriggio dell’Il luglio (ore 16,36 ha specificato il giudice di primo
grado), il referto automatico dell’ECG, eseguito presso il pronto soccorso, aveva segnalato

c

4-B) Le parti civili deducono violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza
impugnata, laddove la corte territoriale ha sostenuto la mancanza di nesso di causalità tra le
condotte omissive accertate e il decesso della paziente.
Premesso che la mancanza del nesso è stata riferita al solo evento morte, laddove avrebbe
dovuto escludersi, per sostenere l’assenza del rapporto causale, anche la possibilità che
l’evento potesse verificarsi in epoca significativamente posteriore o con minore intensità
lesiva, si sostiene nel ricorso che la decisione impugnata è frutto di una lettura parziale e
distorta dei giudizi espressi dai periti e dal consulente del PM.
Quanto alla perizia, il giudice del gravame avrebbe enfatizzato l’affermazione secondo cui
il tipo di patologia di cui era affetta la Lotta non consentiva di esprimere, in termini di
ragionevole certezza o di elevata probabilità, quale sarebbe stata l’evoluzione del quadro
clinico della paziente, senza considerare di avere in tal guisa dedotto la carenza del nesso
causale da un coefficiente meramente statistico, ormai abbandonato dalla giurisprudenza di
legittimità.
Ancor più parziale e distorta sarebbe la lettura della consulenza del PM, dalla quale lo
stesso giudice avrebbe estrapolato un passaggio di carattere generale, del tutto sganciato
dalla storia clinica della Lotta. Tanto vero che, allorché il consulente è passato all’esame del
caso oggetto del giudizio, le argomentazioni e le conclusioni dell’esperto si sono espresse in
termini del tutto opposti. Il riferimento è all’unico fattore di rischio ed alle scarse percentuali
del rischio morte, già richiamate nel ricorso del PG.
Anche le ricorrenti PP.CC . chiedono l’annullamento della sentenza impugnata.

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un “ECG anormale”, ovvero delle “anomalie anterolaterali della ripolarizz.” (come più
specificamente ha annotato il giudice di primo grado).
Sembra, quindi, di poter affermare che i dati di CPK (riguardo ai cui tempi di acquisizione
si deve anche segnalare qualche incertezza espositiva, laddove, a pag. 6 della sentenza, si
legge che l’esame era stato disposto dopo la visita del giorno 13, mentre a pag. 7 si legge
che i due imputati avevano avuto a disposizione quei dati sin dal pomeriggio del 12 luglio,
come, peraltro, sembra più corretto ritenere) avevano solo maggiormente accreditato
l’ipotesi di una sofferenza cardiaca, non meglio individuata, della paziente, poiché della
presenza della stessa vi era già stato, fin dal pomeriggio del’ll luglio, un segnale importante
fornito dall’ECG, in effetti ritenuto dallo stesso giudice del gravame, unitamente al CPK,
significativo indizio segnalatore di una malattia cardiaca.
Ed allora, se una indicazione vi era già stata, se “anomalie” di origine cardiaca erano state
accertate a partire dal pomeriggio dell’ 11 luglio e se proprio la presenza di esse, unita ai
valori di CPK, avrebbe dovuto, secondo il giudice del gravame, indirizzare i sanitari verso
una diagnosi di cardiopatia, non si comprende -i giudici del merito non lo hanno spiegatoperché il dato temporale iniziale di riferimento è stato individuato nelle ore 15,19 del giorno
12.
La questione non è di secondario rilievo, poiché tutte le argomentazioni della corte
territoriale hanno quale punto di riferimento quel dato temporale, sulla base del quale il
giudice del gravame ha espresso il giudizio di irreversibile compromissione delle condizioni
cliniche della paziente, e dunque di assenza del nesso causale. Quel giudizio, quindi, che
non ha tenuto conto alcuno dei risultati dell’ECG, non si presenta decisivo, poiché quel
giudice avrebbe dovuto pronunciarsi avendo, quale momento di riferimento, le ore 16,36 del
1’11 luglio, ovvero, per quanto più riguarda gli odierni ricorrenti, le ore 18 circa dello stesso
giorno.
In altre parole, la presenza delle “anomalie” di origine cardiaca riscontrate nel pomeriggio
del 12 luglio, avrebbe già dovuto mettere sull’avviso i sanitari ed indurli a disporre ulteriori,
immediati e più specifici accertamenti, a richiedere una consulenza cardiologica, se non a
disporre il trasferimento della paziente nel reparto di cardiologia. Ed è a partire dal momento
della conoscenza di quei risultati che deve intendersi iniziata la “corsa contro il tempo” per
l’attivazione di terapie capaci di contrastare la malattia o anche solo di contenerne le
conseguenze, ed a quel momento il giudice del merito avrebbe dovuto fare riferimento per
stabilire l’irreversibilità degli effetti prodotti dalla patologia cardiaca.
Salvo che non vi fossero concrete ragioni per escludere che le anomalie segnalate
dall’ECG potessero già autorizzare a sospettare una patologia cardiaca, di qualunque natura;
ragioni che non sono state, tuttavia, indicate.
Per la verità, il tema sembra essere stato in un certo senso affrontato dal giudice del
gravame che, a proposito del momento in cui la cardiopatia avrebbe potuto essere sospettata,
ha sostenuto che “Scarnera e De Cellis potevano sospettare di una patologia cardiaca solo
al momento in cui erano disponibili i valori di CPK” e poiché il relativo referto portava la
data del 12 luglio 2004, ore 15,19, “solo a partire da quella quell’orario era possibile una
diagnosi per cardiopatia”. Si tratta, tuttavia, di affermazioni non accompagnate da alcuna
argomentazione giustificativa, poiché, come sopra già accennato, ha omesso lo stesso
giudice di chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto di escludere che quel sospetto avrebbe
potuto insorgere fin dal pomeriggio del giorno precedente, a seguito dei risultati dell’ECG.
Altro difetto motivazionale deve rilevarsi con riguardo alla progressione della patologia
cardiaca, caratterizzata, come si è già rilevato, da due manifestazioni infartuali, il primo, del
pomeriggio dell’Il luglio, il secondo, rivelatosi fatale, del 16 luglio.
Tale progressione legittima giudizi di incoerenza della motivazione della sentenza, laddove
nella stessa, a conferma della decisione assolutoria, sono stati richiamati i dati, riportati dal
consulente del PM, concernenti i tempi di necrotizzazione del cuore dopo un infarto del

miocardio. A tale proposito, il CT, si legge nella sentenza impugnata, ha sostenuto che la
necrosi inizia già, 15-20 minuti dopo l’occlusione del vaso coronarico, negli strati più interni
della parete cardiaca e la morte cellulare progredisce verso gli strati più esterni della parete
ventricolare, di guisa che “nel giro di 4-6 ore la necrosi è completa, ma l’evoluzione può
essere più lenta se lo stimolo ischemico è intermittente o se è presente un ampio circolo
collaterale formato da vasi che connettono il sistema coronarico occluso e non occluso”
Sulla scorta di tali considerazioni medico-legali, il giudice del gravame ha sostenuto che
non era possibile affermare che una tempestiva diagnosi avrebbe scongiurato la morte della
paziente. Considerato che i sintomi del primo infarto si erano manifestati nel pomeriggio
dell’ l 1 luglio, e che quindi da quel momento era iniziata la necrosi dei muscoli cardiaci,
sarebbe stato necessario intervenire nel giro di 4-5 ore per evitare la necrosi completa. Nel
caso di specie, ha rilevato lo stesso giudice, il referto concernente i valori di CPK, che
avrebbero dovuto indirizzare i medici verso la cardiopatia, portava la data del 12 luglio, ore
15,19, di guisa che, essendo già trascorse più di 24 ore dall’esordio dei sintomi, e quindi
dell’inizio della necrosi, gli effetti della patologia dovevano ritenersi ormai irreversibili, per
cui una diagnosi intervenuta alle 15,19 del 12 luglio sarebbe stata comunque intempestiva,
nel senso che non avrebbe potuto evitare l’evento infausto.
Argomentazione che, nei termini in cui è stata articolata, si presenta contraddittoria, non
solo perché, ancora una volta, non sono stati in alcun modo considerati i risultati dell’ECG
(che, risalendo alle ore 16,36 dell’ l l luglio, spostavano decisamente i momenti di
completamento della necrosi e ponevano su basi del tutto diverse il giudizio di
intempestività della diagnosi), ma anche perché la Lotta non è deceduta dopo il primo
infarto, ma solo cinque giorni dopo, in conseguenza del secondo infarto, per cui i dati di
necrosi sui quali la corte ha basato le proprie deduzioni non hanno rapporto alcuno con
l’effettivo evolversi della patologia di cui la donna era affetta.
Ancora, a proposito dei due infarti e dell’occlusione di due dei tre tronchi coronarici
principali, cioè di due coronarie su tre (in particolare di quella principale, la discendente
anteriore, e la destra), che ha reso devastante la patologia cardiaca, l’affermazione del
giudice del merito, secondo cui tale duplice occlusione “risaliva ai primi esordi della
patologia cardiaca della Lotta, e cioè a quando la donna accusò i primi dolori che i suoi
familiari…, hanno collocato al primo pomeriggio dell’Il luglio, dopo pranzo”, non risulta in
alcun modo collegata ad argomenti e valutazioni di natura fattuale o scientifica.
Non è stato, cioè precisato da quale elemento acquisito in atti il giudice ha tratto la
convinzione che già il primo infarto, e non il secondo, aveva causato l’occlusione delle due
coronarie, e quindi la conclusione secondo cui la patologia cardiaca, caratterizzata
dall’occlusione di due delle tre coronarie principali, era tale che, anche se tempestivamente
diagnosticata da Scarnera e dalla De Cellis, avrebbe comunque portato, con elevata
probabilità, alla morte della paziente”. Precisazione che si presenta indispensabile poiché,
ove meno gravi di quelli indicati fossero stati i danni causati dal primo infarto
(compromissione di una sola delle due coronarie), i giudizi di irreversibile compromissione
del cuore della paziente, di inutilità di efficaci interventi terapeutici e tutte le considerazioni
concernenti i tempi di necrosi dovrebbero essere riconsiderati.
Né le valutazioni svolte dai periti e dai consulenti tecnici, per quanto possa conoscerle la
Corte attraverso la lettura della sentenza impugnata, hanno chiarito alcunché in proposito.
Mentre le considerazioni degli stessi periti, come riportati nella sentenza impugnata,
secondo cui “il tipo di patologia di cui la Lotta era affetta (coronaropatia
emodinamicamente significativa a carico di due dei tre tronchi coronarici principali) non
consente di poter esprimere in termine di ragionevole certezza o di elevata probabilità quale
sarebbe stata l’evoluzione del quadro clinico della paziente qualora fossero state praticate
cure idonee sin dall’inizio del ricovero e quindi si sarebbe potuto scongiurare l’exitus” oltre a non risolvere i dubbi concernenti l’entità dei danni seguiti al primo infarto e la

-3- In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, agli effetti penali, senza
rinvio, essendo il reato contestato agli imputati estinto per prescrizione. La stessa sentenza
deve altresì essere annullata anche ai fini civili, per il rilevato vizio motivazionale, con
rinvio, per nuovo esame, al giudice civile competente per valore in grado di appello, in
adesione al condiviso e maggioritario principio affermato da questa Corte, da ultimo con
sentenza n. 15015 del 23.2.2012, rv 252487; allo stesso giudice di rinvio deve essere
rimesso anche il regolamento, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata poiché il reato è estinto per
prescrizione. Annulla la medesima sentenza ai fini civili con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le
parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

possibilità che efficaci terapie, tempestivamente avviate presso reparti specialistici dello
stesso o di altro ospedale, potessero evitare il secondo infarto, ovvero contenerne gli effetti
devastanti- sembrano riferirsi a dati teorici e percentualistici di carattere generale, non al
caso specifico della Lotta, alle sue condizioni generali di salute, all’età, alla capacità di
reazione del suo organismo, alla presenza di fattori di rischio e di quant’altro utile a
giustificare giudizi circa la presumibile evoluzione della patologia cardiaca.

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