Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38408 del 10/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38408 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GALTERIO DONATELLA

Terze Sezione Penale
SENTENZA

DEPOSITATO IN CANC ERIA

en
l

Roma, h
sul ricorso proposto da

.0

9 —

Data Udienza: 10/01/2018

IL CA 7E.LI E

COSTANZO FRANCESCO, nato ad Acireale il 13.6.1987

(And –

avverso la ordinanza in data 19.7.2017 del Tribunale di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pietro Molino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Maria Isabella Coppola, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 19.7.2017 il Tribunale di Catania, adito in sede di
riesame, ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari con
braccialetto elettronico e disposta dal GIP, a seguito di annullamento della
precedente ordinanza per carenza di autonoma valutazione ex art. 309, comma
9 c.p.p., nei confronti di Francesco Costanzo indagato per il reato di cessione di
sostanza stupefacente.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del
proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi.

2.11 primo motivo, relativo al vizio di violazione delle leggi processuali
stabilite a pena di nullità ed inutilizzabilità e al vizio motivazionale, attiene a due
distinti profili.
2.1 Viene in primo luogo censurata la mancata indicazione delle eccezionali
esigenze cautelari atteso che, risultando la ordinanza impugnata essere stata
emessa a seguito di annullamento della precedente per carenza di autonoma
valutazione, deve trovare applicazione anche nell’ipotesi di cui all’art. 309,
comma 9 c.p.p. la previsione di cui al successiv0 comma 10, ovverosia la perdita

cautelari specificamente motivate, non essendo ipotizzabile che l’ordinanza
affetta da un vizio genetico non abbia la stessa sorte di un’ordinanza affetta solo
da vizi formali, quali la violazione dei termini di legge. A ciò si aggiunge la
mancanza, anche in tal caso, di autonoma valutazione da parte del GIP sia dei
gravi indizi di colpevolezza, per i quali figura aggiunta, rispetto al provvedimento
precedente, solo qualche riga costituita dall’inserimento di mere clausole di stile,
sia delle esigenze cautelari, anch’esse specificamente contestate, la cui
motivazione risulta la pedissequa riproduzione dall’ordinanza iniziale:
conseguentemente l’ordinanza genetica avrebbe dovuto essere annullata dal
tribunale della Libertà che non poteva, a fronte della disposizione di cui all’art.
309, 9 comma c.p.p., fare ricorso ai poteri integrativi altrimenti conferitigli.
Deduce altresì la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza di autonoma
valutazione in tema di scelta della misura cautelare stante il disposto di cui
all’art. 292 lett. c-bis) c.p.p., che prevede, a pena di nullità, in caso di
applicazione della custodia in carcere l’esposizione e l’autonoma valutazione delle
specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 c.p.p. non possono
essere raggiunte con altre misure, con conseguente inconfigurabilità anche in tal
caso dei poteri integrativi del Tribunale del Riesame.
2.2. Sotto altro profilo deduce la nullità del decreto di autorizzazione delle
operazioni di intercettazione ambientale del 25.11.2015 e dei relativi decreti di
proroga per mancanza di motivazione non potendo ritenersi la motivazione per
relationern integrata dal richiamo del numero di protocollo di una nota della P.G.
non inserito nella richiesta del PM il quale non autorizza a ritenere che il GIP
abbia letto ed approvato le considerazioni ivi espresse, nonché la nullità del
decreto di proroga delle intercettazioni ambientali del 31.12.2015 perché in
violazione della richiesta concernente le intercettazioni ambientali, autorizzava la
proroga “sull’utenza sopra indicata”, non riferibile all’intercettazione ambientale,
di talchè non è comprensibile se la proroga concessa riguardasse le
intercettazioni telefoniche ovvero quelle ambientali, contestazione questa
neppure esaminata dal Tribunale di Catania.

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di efficacia della misura che non può essere rinnovata salvo le speciali esigenze

Sempre con riferimento alle intercettazioni deduce l’inutilizzabilità delle
intercettazioni ambientali e telefoniche eseguite integralmente presso il Comando
dei Carabinieri, malgrado fosse stata ivi autorizzata solo la remotizzazione
dell’ascolto, come comprovato dai verbali che attestano solo l’inizio e la fine delle
operazioni presso i Carabinieri ma non presso la Procura.
3. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la
carenza della motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, tenuto conto
che alla conversazione tra l’indagato e Sebastiano Bisicchia in data 15.12.2015

sia stata alcuna cessione di stupefacente e che la conversazione successiva del
6.1.2016 risulta inutilizzabile perché effettuata nel corso della proroga di cui è
stata invocata la nullità. Deduce altresì la illogicità del ragionamento seguito dal
Tribunale posto che se la conversazione del 15.12.2015 riguarda un primo
approccio tra l’acquirente ed il venditore, come ritenuto dall’ordinanza
impugnata, la circostanza che il Bisicchia figlio avverta il padre di stare attento
essendo “Ciccio” persona che aveva già imbrogliato sul peso della droga esclude,
visti i precedenti rapporti, che l’interlocutore in quella telefonata fosse l’indagato
e che comunque “Ciccio” non può essere con certezza identificato con l’indagato
vista la molteplicità delle persone che si chiamano Francesco e che in Sicilia
vengono appellate come “Ciccio”. Inoltre essendo un dato pacifico che il Bisicchia
disponesse di altri fornitori, di cui non si conoscono i nomi, non può essere
affatto escluso che tra questi vi fosse un altro Ciccio, tanto più che nelle due
telefonate si faceva riferimento a prezzi diversi e quindi a due fornitori differenti.
Infine non risulta supportato da alcun elemento conferente, ad avviso del
ricorente, la circostanza che l’sms ricevuto sul suo cellulare da Salvatore
Costanzo e da lui riferito al Bisicchia provenisse dal fratello.
4. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio motivazionale, la
contraddittorietà tra le ritenute esigenze cautelari e l’occasionalità della
condotta, consistente in un unico contatto tra l’indagato ed il Bisecchia,
esauritosi nell’arco di soli 20 gg., nonché l’apoditticità dell’affermazione relativa
“alla sua indubbia esperienza nel settore” del traffico degli stupefacenti in
assenza di alcun precedente penale specifico a carico dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. 1. Il primo motivo afferente ad una pluralità di eccezioni in rito, tutte ivi
indistintamente accorpate, deve ritenersi infondato.
1.1. Le doglianze concernenti la mancata indicazione nell’ordinanza genetica
delle “eccezionali” esigenze cautelari non risultano condivisibili. Ben diversa è la
rinnovazione di una misura cautelare diventata inefficace per effetto

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non risulta che abbia fatto seguito alcun accordo né conseguentemente che via

dell’intempestiva definizione del procedimento di riesame rispetto ad una misura
rinnovata a seguito di annullamento in sede di gravame per mancanza di
motivazione ovvero di autonoma valutazione delle esigenze cautelari o del
compendio indiziario o degli elementi forniti dalla difesa. Solo nel primo caso è
prevista dall’art. 309, comma 10 cod. proc. pen. per la sua rinnovazione la
sussistenza di eccezionali esigenze cautelari, a differenza della disposizione
contenuta nel comma 9 dello stesso articolo che, nel disciplinare i presupposti
legittimanti l’annullamento da parte del Tribunale del riesame, non fa alcun

Diversità questa che trova la sua spiegazione nel fatto che, costituendo la perdita
dell’efficacia una caducazione definitiva del provvedimento in quanto ricollegata
al mancato rispetto dei termini perentori per consentire l’adeguata valutazione
dei presupposti per l’adozione della misura cautelare da parte del giudice del
riesame, la sua rinnovazione configura, a tutela della posizione dell’indagato
raggiunto da un provvedimento che attinge alla libertà personale anteriore
rispetto alla pronuncia sul merito, un’ipotesi eccezionale che, proprio perché tale,
può essere supportata solo dall’eccezionalità delle sottostanti esigenze cautelari
a salvaguardia delle contrapposte esigenze di sicurezza della collettività. Al
contrario, l’annullamento disposto in sede di gravame a fronte di un vizio
motivazionale non determina la caducazione dei presupposti, ove esistenti,
legittimanti l’adozione della misura cautelare che perciò ben può essere
rinnovata con un nuovo provvedimento: è quindi evidente che trattandosi della
stessa misura oggetto del precedente annullamento da parte del giudice del
riesame in presenza di vizi che attingono il provvedimento, nulla di diverso può
essere previsto per la sua rinnovazione, una volta che si sia provveduto
all’eliminazione dei vizi attraverso la valutazione degli elementi in precedenza
pretermessi, rispetto ai presupposti legittimanti la pronuncia dell’ordinanza
genetica. Quindi se in tal caso si è in presenza di un vizio del provvedimento
cautelare che, ripercuotendosi sul medesimo ne consente la rinnovazione alle
stesse condizioni, nell’ipotesi di cui all’art. 309 comma 10 cod. proc. pen.
sussiste invece un vizio del procedimento cautelare che preclude la
riproponibilità dello stesso provvedimento che ne costituisce l’oggetto, se non a
condizioni differenti.
Deve pertanto concludersi che la disciplina prevista a seguito della perdita di
efficacia della misura cautelare non può trovare applicazione nell’ipotesi, del
tutto diversa, concernente l’annullamento della stessa misura da parte del
Tribunale del riesame (Sez. 2, n. 6285 del 19/01/2017 – dep. 09/02/2017,
Ndokaj, Rv. 269096).

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riferimento alla necessità di condizioni particolari per rinnovare la misura.

1.2. La censura relativa all’omessa autonoma valutazione nell’ordinanza
genetica dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari non può
trovare ingresso nella presente sede di legittimità.
L’assunta identità delle argomentazioni svolte dall’ordinanza originaria,
annullata per mancanza di autonoma valutazione rispetto alle prospettazioni del
PM, che avrebbe dovuto, secondo la difesa, vincolare il Tribunale de libertate al
precedente provvedimento di annullamento non scalfisce l’ordinanza impugnata
posto che lo stesso ricorrente da atto dell’aggiunta, in punto di gravi indizi, di

clausole di stile. Premesso che la previsione di “autonoma valutazione” delle
esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’art. 292,
comma primo, lett.c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone
al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di
altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non
implica, invece, la necessità di una riscrittura “originale” degli elementi o
circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura (Sez. 6, n. 13864 del
16/03/2017 – dep. 21/03/2017, Marra, Rv. 269648), le doglianze in esame
devono ritenersi inammissibili non venendo evidenziata nel ricorso alcuna
carenza od illogicità argomentativa, la quale soltanto consente la sollecitazione
dell’esame di questa Corte ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p.. e comunque
sostanziandosi in contestazioni indeterminate e generiche. Invero il Tribunale di
Catania da puntualmente conto della totale autonomia espositiva da parte del
GIP dei gravi indizi di colpevolezza per ciascuna posizione degli indagati,
sottolineando come la motivazione aggiuntiva costituisca il fondamento della
valutazione critica e non meramente adesiva del compendio posto a base della
richiesta ed evidenzia, quanto alle esigenze cautelari, che la ben più articolata
motivazione resa al riguardo dall’ordinanza genetica costituisce, in sé, garanzia
di originalità e, dunque segno evidente della specifica valutazione, rispetto alla
scarna richiesta del PM. Come già rilevato da questa Corte, la prescrizione della
necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di
colpevolezza, contenuta nel vigente testo dell’art. 292, comma primo, lett. c),
cod. proc. pen., è osservata anche quando l’ordinanza cautelare richiami per
relationem altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna
contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto
ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza
ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari
nel caso concreto (Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016 – dep. 12/07/2016,
Sabounjian, Rv. 267350).
1.3. Manifestamente infondata è, ancora, l’eccezione di nullità dell’ordinanza
genetica per carenza di autonoma valutazione da parte del GIP della misura

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poche righe aggiuntive, sia pure a suo avviso contenenti esclusivamente mere

prescelta. Come correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata la preclusione
al ricorso ai poteri integrativi spettanti al giudice del riesame è prevista dall’art.
309 comma 9 c.p.p. nella sola ipotesi di mancanza di autonoma valutazione
“delle esigenze cautelari, degli indizi di colpevolezza e degli elementi forniti dalla
difesa”, ricorrendo la quale il tribunale deve necessariamente annullare il
provvedimento impugnato: trattandosi di una norma eccezionale in deroga al
principio devolutivo, che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di
misure cautelari, secondo cui il tribunale può annullare, riformare o confermare

e contenuto anch’esso nel comma 9 dell’art. 309 c.p.p., ne consegue che la
stessa non possa trovare applicazione al di fuori dei casi tassativamente previsti
dalla legge, essendone inibita l’applicazione analogica. La previsione di autonoma
valutazione, rispetto alla richiesta del PM, degli elementi di cui all’art. 292 c.p.p.
da parte del giudice che emette la misura cautelare non comporta di per sé
alcuna preclusione, neppure secondo la novella 47/2015, all’operatività della
valutazione integrativa da parte del giudice del riesame, se non nei casi
tassativamente previsti, di talché l’eventuale difetto di autonoma valutazione
dell’inadeguatezza di misure meno afflittive della custodia in carcere da parte del
GIP, non avendo il legislatore ritenuto di estendere l’obbligo di annullamento a
tale ipotesi – anch’essa prevista dalla lett. c-bis) del secondo comma dell’art. 292
– consente a pieno titolo al tribunale la conferma del provvedimento impugnato
anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento
stesso. Siffatta interpretazione è del resto conforme alla lettura già data da
questa Corte alla disposizione in esame essendo stato affermato che a seguito
della riformulazione dell’art. 309 cod. proc. pen. per effetto dell’art. 11 della
legge 16 aprile 2015, n. 47, il Tribunale del riesame provvede all’annullamento
del provvedimento coercitivo personale impugnato sia in caso di motivazione
inesistente – cui va equiparata quella di motivazione meramente apparente che
si risolva in mere clausole di stile – sia in caso di motivazione non autonoma
rispetto alla richiesta del PM, in ordine alle esigenze cautelari, agli indizi e agli
elementi forniti dalla difesa. (Sez. 5, n. 6230 del 15/10/2015 – dep. 15/02/2016,
Vecchio, Rv. 266150 che ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del
Tribunale che aveva integrato la motivazione dell’ordinanza applicativa della
custodia in carcere quanto all’inadeguatezza degli arresti domiciliari con il c.d.
braccialetto elettronico). Va peraltro rilevato, per completezza, che il richiamo
all’art. 292 lett. c-bis c.p.p. è peraltro nel caso di specie del tutto inconferente,
concernendo l’autonoma valutazione, ivi prescritta, le sole ragioni di
inadeguatezza di misure meno afflittive rispetto alla custodia in carcere, laddove
la misura inflitta al ricorrente è quella degli arresti domiciliari.

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il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate,

1.4. Le ulteriori contestazioni in rito, concernenti le disposte intercettazioni
telefoniche ed ambientali, sono anch’esse manifestamente infondate.
Le censure svolte afferenti alla mancanza di motivazione del decreto
autorizzativo del GIP non si confrontano con la motivazione resa dal Tribunale
del riesame che ha evidenziato come il rinvio

per relationem all’articolata

richiesta, compiutamente motivata sotto il profilo indiziario e della necessità di
procedere alle operazioni di intercettazioni telefoniche ed ambientali, formulata
dal PM e agli atti di indagine, peraltro con specifica menzione della nota di PG

condiviso e fatto proprio da parte del GIP l’iter cognitivo e valutativo sottostante
all’autorizzazione richiestagli a giustificazione dell’adozione di tale mezzo di
ricerca della prova. Essendo siffatta tecnica argomentativa ritenuta, secondo il
consolidato ed univoco orientamento di questa Corte, esente da vizi (da ultimo
cfr. Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017 – dep. 25/07/2017, Pm in proc. Tipa, Rv.
270758), gravava sul ricorrente, a fronte del riferimento fatto dal giudice alle
informative di reato ed alla richiesta del pubblico ministero, l’onere di indirizzare
le proprie contestazioni in punto di congruità della motivazione nei confronti di
tali ulteriori atti che in quanto integralmente recepiti costituiscono un corpo unico
con il decreto autorizzativo.
Del pari generiche risultano le doglianze in ordine ai decreti di proroga, la
cui motivazione ben può far leva sugli atti posti a fondamento della richiesta di
proroga, cui è conseguentemente consentito il richiamo per relationem, fermo
restando che per disporla devono necessariamente persistere gli originari
elementi legittimanti il decreto autorizzativo, unitamente alla raccolta di dati
sufficienti a giustificare gi ficare la protrazione della captazione.
1.5. Inammissibile per difetto di specificità risulta, ancora, la censura
relativa al decreto autorizzativo di proroga delle intercettazioni ambientali del
31.5.2015 venendo ivi disposta, in palese difformità dalla richiesta,
l’autorizzazione con riferimento “all’utenza sopra indicata” atteso nulla viene
dedotto in ordine al fatto che, senza tali intercettazioni, il giudizio conclusivo
sarebbe stato diverso. Occorre al riguardo ribadire che nell’ipotesi in cui con il
ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il
motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità,
l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti
illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro
espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico
convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, Calabrese,
Rv. 262011; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017 – dep. 16/06/2017, De Matteis,
Rv. 270303).
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dell’8.11.2015 (non indicata nella richiesta del PM), consenta di ritenere

Manifestamente infondate sono invece le censure in ordine all’inutilizzabilità
delle intercettazioni telefoniche eseguite in fase di indagine, a detta del
ricorrente, soltanto presso la sala di ascolto dei Carabinieri di Acireale.
Occorre premettere, ai fini dell’ambito di operatività dell’art.268, 3 comma
cod. proc. pen., che la procedura finalizzata all’intercettazione delle
conversazioni telefoniche o ambientali si configura come un’operazione
composita che si articola, in sequenza, in una pluralità di fasi: 1) la captazione
della fonte sonora, 2) la registrazione in originale della stessa, 3) l’ascolto anche

scaricamento dati su supporti informatici, 4) la verbalizzazione delle operazioni
compiute. Mentre la captazione della fonte sonora può avvenire soltanto presso
l’operatore telefonico che trasporta la comunicazione, è con esclusivo riferimento
alla fase successiva della registrazione, consistente, sulla base delle tecnologie
attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in una memoria informatica
centralizzata (il cd. server), che si pone la problematica di assicurare la genuinità
ed intangibilità delle emissioni sonore captate. Conseguentemente, così come
chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso, è limitatamente a detta fase
che deve ritenersi riferito, a garanzia del bene giuridico tutelato, l’obbligo di
esecuzione nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti
ivi esistenti previsto dall’art. 268, 3 comma, derogabile con provvedimento
autorizzativo del Pubblico Ministero espressamente motivato solo nell’ipotesi di
inidoneità o insufficienza degli impianti installati presso la Procura della
Repubblica o di eccezionali ragioni di urgenza: infatti è attraverso la integrale
registrazione delle conversazioni che viene evitato il rischio di possibili
manipolazioni della prova, assicurando invece la piena corrispondenza tra quanto
detto, quanto ascoltato e quanto verbalizzato. Non rileva, per contro, ai fini
dell’utilizzabilità delle intercettazioni, che negli stessi locali della Procura vengano
successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed
eventuale riproduzione dei dati così registrati, che non pregiudicando le garanzie
della difesa, ben possono essere eseguite altrove e dunque anche “in remoto”,
ovvero da luogo diverso rispetto a quello nel quale siano legittimamente eseguite
le operazioni captative di conversazioni o comunicazioni, presso gli uffici della
polizia giudiziaria (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008 – dep. 23/09/2008, Carli,
Rv. 240395).
Nessun fondamento riveste pertanto la ritenuta esecuzione della fase della
registrazione presso gli uffici del Comando dei Carabinieri a fronte del
compimento delle operazioni, inequivocabilmente disposto dal PM con il decreto
datato 30.11.2015, presso il CIT della Procura con contestuale facoltizzazione
alla sola “remotizzazione dell’ascolto presso i locali della Compagnia dei
Carabinieri di Acireale”. E’ infatti il decreto suddetto che autorizza e regolamenta
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“remotizzato” della registrazione, eventualmente comprensivo dello

le operazioni di intercettazione, cui i soggetti autorizzati non possono che
attenersi. Mentre priva di fondamento è la censurata mancanza di verbali da
parte della Procura posto che la verbalizzazione deve essere redatta soltanto dai
soggetti delegati all’ascolto, la circostanza che il verbale di inizio delle operazioni
di intercettazione redatto dai Carabinieri, così come il successivo verbale di
chiusura delle operazioni suddette, attesti che le suddette operazioni avevano
avuto luogo “anche presso la sala di ascolto del Comando dei Carabinieri”,
ovverosia presso locali diversi da quelli della Procura, sta semplicemente a

delle fonti sonore, non lasciando dubbi al riguardo il riferimento alla sala di
ascolto così come l’utilizzo dell’avverbio “anche”, il quale necessariamente
presuppone in termini lessicali che comunque le suddette operazioni si
svolgessero contemporaneamente in altro luogo, ovverosia in quello
istituzionalmente deputato.
2. Il secondo motivo, sostanziandosi in censure che si appuntano sulla
valutazione del quadro indiziario senza individuare illogicità argomentative, ma
pretendendo di sostituire al metro del giudicante un diverso e più favorevole
riguardato dall’ottica dell’indagato canone di apprezzamento, non può ritenersi
ammissibile.
Premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di
impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza
cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen.
e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento
coercitivo, occorre tener presente il particolare contenuto della pronuncia
cautelare, non fondata su prove, ma su indizi di cui deve essere valutata la sola
gravità, a differenza di quanto accade nel giudizio di merito che postula ai fini del
giudizio di colpevolezza anche la loro precisione e concordanza, e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza. Pertanto, come già affermato da questa Corte, allorché sia
denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento
emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla
peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno
indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del
22/03/2000 – dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del
29/05/2013 – dep. 20/06/2013, Pnn in proc. Tiana, Rv. 255460).
9

c?’

significare che ivi si sono svolte solo le fasi successive a quella della registrazione

Il controllo di

logicità,

peraltro,

deve rimanere “all’interno” del

provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non
conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi,
ne’ alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato,
ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute

insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al
tribunale del riesame. Il sindacato di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente
a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende
l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità
evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia
la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento.
Ciò posto, da nessuna illogicità risulta nel caso di specie inficiato l’iter
argomentativo seguito dal Tribunale de libertate che ha evidenziato, con
motivazione intrinsecamente coerente e plausibile, in primo luogo come il
contenuto della prima intercettazione tra l’indagato ed il Bisecchia, posto al
vertice di un’associazione dedita al traffico di marijuana, comprovasse di per sé
l’avvenuta cessione della quantità di stupefacente cd. “di prova”, nonché l’offerta
di vendita di un più elevato quantitativo della stessa sostanza da parte del
Costanzo, che agiva quale intermediario con i fornitori, e che inoltre risultava
dalla seconda conversazione tra Bisecchia padre e Bisecchia figlio che anche il
maggiore approvvigionamento fosse andato a buon fine, essendo stato il
Costanzo identificato in quel Ciccio, come lui stesso aveva nel corso del primo
colloquio detto di chiamarsi, che aveva provveduto alla fornitura e che quella
stessa sera avrebbe consegnato una successiva partita di droga al Bisecchia
Sebastiano. Quanto all’ulteriore contenuto del secondo colloquio anche in tal
caso i giudici del riesame forniscono una plausibile ricostruzione dei fatti
ritenendo che mentre per Bisecchia padre si trattasse della prima fornitura
acquistata dall’indagato, costui era invece già conosciuto dal figlio Rosario che,
avendo già avuto rapporti con lui, presumibilmente in differenti contesti, cercava
di mettere in guardia il genitore sulla scarsa affidabilità del venditore per i futuri
approvvigionamenti.
3. Del pari inammissibile è anche il terzo motivo, con cui viene contestata la
sussistenza delle esigenze cautelari. Invero, il pericolo di reiterazione dell’azione

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adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e

criminosa risulta ampiamente evidenziato con riferimento ad entrambi i requisiti
della concretezza e dell’attualità, senza che le censure svolte si confrontino con
le specifiche argomentazioni addotte dal Tribunale del riesame.
In conformità alla corrente interpretazione giurisprudenziale dell’art. 274,
lett. c), cod. proc. pen. così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47,
secondo la quale il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato,
non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una
valutazione prognostica fondata su elementi concreti, idonei a dar conto della

nonché probabili nel loro vicino verificarsi e dunque dell’effettività del pericolo di
concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez.
6, n. 24779 del 10/05/2016 – dep. 14/06/2016, Rando, Rv. 267830; Sez. 2, n.
11511 del 14/12/2016 – dep. 09/03/2017, Verga, Rv. 269684), il Tribunale ha
fondato la prognosi recidivante sulla circostanza che il prevenuto fosse
stabilmente inserito nel mercato degli stupefacenti, dato questo che viene
desunto sia dalle imponenti dimensioni della piazza di spaccio gestita dal
Bisicchia, che il Costanzo, sia pur senza essere affiliato all’associazione gestita da
quest’ultimo, aveva iniziato a rifornire, sia dall’elevata esperienza nel settore,
desunta dai colloqui captati con le intercettazioni ambientali, peraltro ricavando
dall’attività criminale, costituente la sua occupazione principale, i mezzi per il suo
mantenimento. Venendo dato conto attraverso i suddetti elementi del pericolo
attuale e concreto della reiterazione del reato, senza che la brevità del tempo
intercorso a piede libero tra l’annullamento della precedente ordinanza e
l’emissione della seconda potesse lasciar propendere per il suo allontanamento
dal suddetto ambiente stante la consapevolezza del prevenuto di essere soggetto
ad osservazione, l’ordinanza impugnata risulta immune da censure.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, seguendo a
tale esito la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento
delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della
Cassa delle Ammende

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 2.000 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso il 10.1.2018

esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati,

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