Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38407 del 10/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38407 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GALTERIO DONATELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
BISICCHIA SEBASTIANO, nato Ad Acireale il 2i.2.1976

avverso la ordinanza in data 19.7.2017 del Tribunale di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pietro Molino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Maria Isabella Coppola, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 19.7.2017 il Tribunale di Catania, adito in sede di
riesame, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere disposta dal
GIP, a seguito di annullamento della precedente ordinanza per carenza di
autonoma valutazione ex art. 309, comma 9 c.p.p., nei confronti di Sebastiano
Bisicchia indagato per i reati di partecipazione ad associazione dedita al traffico
di marijuana e delle correlate condotte di cessione della stessa sostanza
stupefacente.

Data Udienza: 10/01/2018

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Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del
proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi.
2.11 primo motivo, relativo al vizio di violazione delle leggi processuali
stabilite a pena di nullità ed inutilizzabilità e al vizio motivazionale, attiene a due
distinti profili.
2.1 Viene in primo luogo censurata la mancata indicazione delle eccezionali
esigenze cautelari atteso che, risultando la ordinanza impugnata essere stata
emessa a seguito di annullamento della precedente per carenza di autonoma

comma 9 c.p.p. la previsione di cui al successivo comma 10, ovverosia la perdita
di efficacia della misura che non può essere rinnovata salvo le speciali esigenze
cautelari specificamente motivate, non essendo ipotizzabile che l’ordinanza
affetta da un vizio genetico non abbia la stessa sorte di un’ordinanza affetta solo
da vizi formali, quali la violazione dei termini di legge. A ciò si aggiunge la
mancanza, anche in tal caso, di autonoma valutazione da parte del GIP sia dei
gravi indizi di colpevolezza, per i quali figura aggiunta, rispetto al provvedimento
precedente, solo qualche riga costituita dall’inserimento di mere clausole di stile,
sia delle esigenze cautelari, anch’esse specificamente contestate, la cui
motivazione risulta la pedissequa riproduzione dall’ordinanza iniziale:
conseguentemente l’ordinanza genetica avrebbe dovuto essere annullata dal
tribunale della Libertà che non poteva, a fronte della disposizione di cui all’art.
309, 9 comma c.p.p., fare ricorso ai poteri integrativi altrimenti conferitigli.
Deduce altresì la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza di autonoma
valutazione in tema di scelta della misura cautelare stante il disposto di cui
all’art. 292 lett. c-bis) c.p.p., che prevede, a pena di nullità, in caso di
applicazione della custodia in carcere l’esposizione e l’autonoma valutazione delle
specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 c.p.p. non possono
essere raggiunte con altre misure, con conseguente in configurabilità anche in tal
caso dei poteri integrativi del Tribunale del Riesame.
2.2. Sotto altro profilo si deduce la nullità del decreto di autorizzazione delle
operazioni di intercettazione ambientale e dei relativi decreti di proroga per
mancanza di motivazione non potendo ritenersi la motivazione per relationenn
integrata dal richiamo del numero di protocollo di una nota della P.G. non
inserito nella richiesta del PM il quale non autorizza a ritenere che il GIP abbia
letto ed approvato le considerazioni ivi espresse, nonché la nullità del decreto di
convalida delle operazioni di intercettazione telefonica per mancanza di
correlazione rispetto alla richiesta del PM posto che mentre questi aveva
richiesto una proroga di 15 gg., la proroga era stata autorizzata per 20 gg..
Sempre con riferimento alle intercettazioni deduce l’inutilizzabilità delle
intercettazioni ambientali e telefoniche eseguite integralmente presso il Comando
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valutazione, deve trovare applicazione anche nell’ipotesi di cui all’art. 309,

dei Carabinieri, malgrado fosse stata ivi autorizzata solo la remotizzazione
dell’ascolto, come comprovato dai verbali che attestano solo l’inizio e la fine delle
operazioni presso i Carabinieri ma non presso la Procura.
3. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la
mancanza di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza non potendo
l’esistenza di un sodalizio criminoso essere desunta dalla sussistenza di una
piazza per lo spaccio, definita dall’indagato come un supermercato, nel quale
cioè vengono offerti in vendita prodotti provenienti da rivenditori diversi, e non

cambiavano di volta in volta e che che pagava di tasca propria. Censura altresì la
configurabilità dell’affectio societatis desunta da conversazioni tra gli indagati
soltanto preoccupati per i controlli delle forze dell’ordine, e perciò erroneamente
interpretate non risultando invece che costoro fossero legati fra loro da un
vincolo associativo né che la costituzione del sodalizio fosse risalente nel tempo.
Contesta anche la sussistenza delle esigenze cautelari posto che l’indagato
rimesso in libertà a seguito dell’annullamento della precedente ordinanza
custodiale aveva tenuto una condotta irreprensibile, lontana dalla piazza dello
spaccio, deducendo che in ogni caso nessuna motivazione era stata resa sulla
richiesta della meno invasiva misura degli arresti domiciliari con il braccialetto
elettronico

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo afferente ad una pluralità di eccezioni in rito, tutte ivi
indistintamente accorpate, deve ritenersi manifestamente infondato.
1.1. Le doglianze concernenti la mancata indicazione nell’ordinanza genetica
delle “eccezionali” esigenze cautelari non risultano condivisibili. Ben diversa è la
rinnovazione di una misura cautelare diventata inefficace per effetto
dell’intempestiva definizione del procedimento di riesame rispetto ad una misura
rinnovata a seguito di annullamento in sede di gravame per mancanza di
motivazione ovvero di autonoma valutazione delle esigenze cautelari o del
compendio indiziario o degli elementi forniti dalla difesa. Solo nel primo caso è
prevista dall’art. 309, comma 10 cod. proc. pen. per la sua rinnovazione la
sussistenza di eccezionali esigenze cautelari, a differenza della disposizione
contenuta nel comma 9 dello stesso articolo che, nel disciplinare i presupposti
legittimanti l’annullamento da parte del Tribunale del riesame, non fa alcun
riferimento alla necessità di condizioni particolari per rinnovare la misura.
Diversità questa che trova la sua spiegazione nel fatto che, costituendo la perdita
dell’efficacia una caducazione definitiva del provvedimento in quanto ricollegata
al mancato rispetto dei termini perentori per consentire l’adeguata valutazione

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risultando una cassa comune, essendo il Bisicchia a servirsi di pusher che

dei presupposti per l’adozione della misura cautelare da parte del giudice del
riesame, la sua rinnovazione configura, a tutela della posizione dell’indagato
raggiunto da un provvedimento che attinge alla libertà personale anteriore
rispetto alla pronuncia sul merito, un’ipotesi eccezionale che, proprio perché tale,
può essere supportata solo dall’eccezionalità delle sottostanti esigenze cautelari
a salvaguardia delle contrapposte esigenze di sicurezza della collettività. Al
contrario, l’annullamento disposto in sede di gravame a fronte di un vizio
motivazionale non determina la caducazione dei presupposti, ove esistenti,

rinnovata con un nuovo provvedimento: è quindi evidente che trattandosi della
stessa misura oggetto del precedente annullamento da parte del giudice del
riesame in presenza di vizi che attingono il provvedimento, nulla di diverso può
essere previsto per la sua rinnovazione, una volta che si sia provveduto
all’eliminazione dei vizi attraverso la valutazione degli elementi in precedenza
pretermessi, rispetto ai presupposti legittimanti la pronuncia dell’ordinanza
genetica. Quindi se in tal caso si è in presenza di un vizio del provvedimento
cautelare che, ripercuotendosi sul medesimo ne consente la rinnovazione alle
stesse condizioni, nell’ipotesi di cui all’art. 309 comma 10 cod. proc. pen.
sussiste invece un vizio del procedimento cautelare che preclude la
riproponibilità dello stesso provvedimento che ne costituisce l’oggetto, se non a
condizioni differenti.
Deve pertanto concludersi che la disciplina prevista a seguito della perdita di
efficacia della misura cautelare non può trovare applicazione nell’ipotesi, del
tutto diversa, concernente l’annullamento della stessa misura da parte del
Tribunale del riesame (Sez. 2, n. 6285 del 19/01/2017 – dep. 09/02/2017,
Ndokaj, Rv. 269096).
1.2. La censura relativa all’omessa autonoma valutazione nell’ordinanza
genetica dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari non può
trovare ingresso nella presente sede di legittimità.
L’assunta identità delle argomentazioni svolte dall’ordinanza originaria,
annullata per mancanza di autonoma valutazione rispetto alle prospettazioni del
PM, che avrebbe dovuto, secondo la difesa, vincolare il Tribunale de libertate al
precedente provvedimento di annullamento non scalfisce l’ordinanza impugnata
posto che lo stesso ricorrente da atto dell’aggiunta, in punto di gravi indizi, di
poche righe aggiuntive, sia pure a suo avviso contenenti esclusivamente mere
clausole di stile. Premesso che la previsione di “autonoma valutazione” delle
esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’art. 292,
comma primo, lett.c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone
al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di
altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non
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legittimanti l’adozione della misura cautelare che perciò ben può essere

implica, invece, la necessità di una riscrittura “originale” degli elementi o
circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura (Sez. 6, n. 13864 del
16/03/2017 – dep. 21/03/2017, Marra, Rv. 269648), le doglianze in esame
devono ritenersi inammissibili non venendo evidenziata nel ricorso alcuna
carenza od illogicità argomentativa, la quale soltanto consente la sollecitazione
dell’esame di questa Corte ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p.. e comunque
sostanziandosi in contestazioni indeterminate e generiche. Invero il Tribunale di
Catania da puntualmente conto della totale autonomia espositiva da parte del

sottolineando come la motivazione aggiuntiva costituisca il fondamento della
valutazione critica e non meramente adesiva del compendio posto a base della
richiesta ed evidenzia, quanto alle esigenze cautelari, che la ben più articolata
motivazione resa al riguardo dall’ordinanza genetica costituisce, in sé, garanzia
di originalità e, dunque segno evidente della specifica valutazione, rispetto alla
scarna richiesta del PM. Come già rilevato da questa Corte, la prescrizione della
necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di
colpevolezza, contenuta nel vigente testo dell’art. 292, comma primo, lett. c),
cod. proc. pen., è osservata anche quando l’ordinanza cautelare richiami per
relationem altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna
contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto
ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza
ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari
nel caso concreto (Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016 – dep. 12/07/2016,
Sabounjian, Rv. 267350).
1.3. Manifestamente infondata è, ancora, l’eccezione di nullità dell’ordinanza
genetica per carenza di autonoma valutazione da parte del GIP della misura
prescelta. Come correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata la preclusione
al ricorso ai poteri integrativi spettanti al giudice del riesame è prevista dall’art.
309 comma 9 c.p.p. nella sola ipotesi di mancanza di autonoma valutazione
“delle esigenze cautelari, degli indizi di colpevolezza e degli elementi forniti dalla
difesa”, ricorrendo la quale il tribunale deve necessariamente annullare il
provvedimento impugnato: trattandosi di una norma eccezionale in deroga al
principio devolutivo, che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di
misure cautelari, secondo cui il tribunale può annullare, riformare o confermare
il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate,
e contenuto anch’esso nel comma 9 dell’art. 309 c.p.p., ne consegue che la
stessa non possa trovare applicazione al di fuori dei casi tassativamente previsti
dalla legge, essendone inibita l’applicazione analogica. La previsione di autonoma
valutazione, rispetto alla richiesta del PM, degli elementi di cui all’art. 292 c.p.p.
da parte del giudice che emette la misura cautelare non comporta di per sé

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GIP dei gravi indizi di colpevolezza per ciascuna posizione degli indagati,

alcuna preclusione, neppure secondo la novella 47/2015, all’operatività della
valutazione integrativa da parte del giudice del riesame, se non nei casi
tassativamente previsti, di talché l’eventuale difetto di autonoma valutazione
dell’inadeguatezza di misure meno afflittive della custodia in carcere da parte del
GIP, non avendo il legislatore ritenuto di estendere l’obbligo di annullamento a
tale ipotesi – anch’essa prevista dalla lett. c-bis) del secondo comma dell’art. 292
– consente a pieno titolo al tribunale la conferma del provvedimento impugnato
anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento

questa Corte alla disposizione in esame essendo stato affermato che a seguito
della riformulazione dell’art. 309 cod. proc. pen. per effetto dell’art. 11 della
legge 16 aprile 2015, n. 47, il tribunale del riesame provvede all’annullamento
del provvedimento coercitivo personale impugnato sia in caso di motivazione
inesistente – cui va equiparata quella di motivazione meramente apparente che
si risolva in mere clausole di stile – sia in caso di motivazione non autonoma
rispetto alla richiesta del PM, in ordine alle esigenze cautelari, agli indizi e agli
elementi forniti dalla difesa. (Sez. 5, n. 6230 del 15/10/2015 – dep. 15/02/2016,
Vecchio, Rv. 266150 che ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del
Tribunale che aveva integrato la motivazione dell’ordinanza applicativa della
custodia in carcere quanto all’inadeguatezza degli arresti domiciliari con il c.d.
braccialetto elettronico).
1.4. Le ulteriori contestazioni in rito, concernenti le disposte intercettazioni
telefoniche ed ambientali, sono anch’esse infondate.
Le censure svolte afferenti alla mancanza di motivazione del decreto
autorizzativo del GIP non si confrontano con la motivazione resa dal Tribunale
del riesame che ha evidenziato come il rinvio

per relationem all’articolata

richiesta, compiutamente motivata sotto il profilo indiziario e della necessità di
procedere alle operazioni di intercettazioni telefoniche ed ambientali, formulata
dal PM e agli atti di indagine, peraltro con specifica menzione della nota di PG
dell’8.11.2015 (non indicata nella richiesta del PM), consenta di ritenere
condiviso e fatto proprio da parte del GIP l’iter cognitivo e valutativo sottostante
all’autorizzazione richiestagli a giustificazione dell’adozione di tale mezzo di
ricerca della prova. Essendo siffatta tecnica argomentativa ritenuta, secondo il
consolidato ed univoco orientamento di questa Corte, esente da vizi (da ultimo
cfr. Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017 – dep. 25/07/2017, Pm in proc. Tipa, Rv.
270758), gravava sul ricorrente, a fronte del riferimento fatto dal giudice alle
informative di reato ed alla richiesta del pubblico ministero, l’onere di indirizzare
le proprie contestazioni in punto di congruità della motivazione nei confronti di
tali ulteriori atti che in quanto integralmente recepiti costituiscono un corpo unico
con il decreto autorizzativo.
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stesso. Siffatta interpretazione è del resto conforme alla lettura già data da

Del pari generiche risultano le doglianze in ordine ai decreti di proroga, la
cui motivazione ben può far leva sugli atti posti a fondamento della richiesta di
proroga, cui è conseguentemente consentito il richiamo per relationem, fermo
restando che per disporla devono necessariamente persistere gli originari
elementi legittimanti il decreto autorizzativo, unitamente alla raccolta di dati
sufficienti a giustificare giustj.f6re la protrazione della captazione.
1.5. Inammissibile per difetto di specificità risulta, ancora, la censura
relativa al decreto autorizzativo di proroga delle intercettazioni per 20 gg. a

conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni relative a detto periodo non
soltanto perché non risulta identificabile l’atto attinto dalla doglianza, venendo
contraddittoriamente indicato sia il decreto di convalida delle intercettazioni
disposte di urgenza dal PM sia il decreto di proroga del 29.12.2015, ma
comunque perché nulla viene dedotto in ordine al fatto che, senza tali
intercettazioni, che neppure vengono individuate, il giudizio conclusivo sarebbe
stato diverso. Occorre al riguardo ribadire che nell’ipotesi in cui con il ricorso per
cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di
impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità,
l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti
illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro
espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico
convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep. 23/01/2015, Calabrese,
Rv. 262011; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017 – dep. 16/06/2017, De Matteis,
Rv. 270303).
1.6. Manifestamente infondate sono invece le censure in ordine
all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche eseguite in fase di indagine, a
detta del ricorrente, soltanto presso la sala di ascolto dei Carabinieri di Acireale.
Occorre premettere, ai fini dell’ambito di operatività dell’art.268, 3 comma
cod. proc. pen., che la procedura finalizzata all’intercettazione delle
conversazioni telefoniche o ambientali si configura come un’operazione
composita che si articola, in sequenza, in una pluralità di fasi: 1) la captazione
della fonte sonora, 2) la registrazione in originale della stessa, 3) l’ascolto anche
“remotizzato” della registrazione, eventualmente comprensivo dello
scaricamento dati su supporti informatici, 4) la verbalizzazione delle operazioni
compiute. Mentre la captazione della fonte sonora può avvenire soltanto presso
l’operatore telefonico che trasporta la comunicazione, è con esclusivo riferimento
alla fase successiva della registrazione, consistente, sulla base delle tecnologie
attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in una memoria informatica
centralizzata (il cd. server), che si pone la problematica di assicurare la genuinità
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fronte di una richiesta del PM contenuta nel minor termine di 15 gg. e alla

ed intangibilità delle emissioni sonore captate. Conseguentemente, così come
chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso, è limitatamente a detta fase
che deve ritenersi riferito, a garanzia del bene giuridico tutelato, l’obbligo di
esecuzione nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti
ivi esistenti previsto dall’art. 268, 3 comma, derogabile con provvedimento
autorizzativo del Pubblico Ministero espressamente motivato solo nell’ipotesi di
inidoneità o insufficienza degli impianti installati presso la Procura della
Repubblica o di eccezionali ragioni di urgenza: infatti è attraverso la integrale

manipolazioni della prova, assicurando invece la piena corrispondenza tra quanto
detto, quanto ascoltato e quanto verbalizzato. Non rileva, per contro, ai fini
dell’utilizzabilità delle intercettazioni, che negli stessi locali della Procura vengano
successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed
eventuale riproduzione dei dati così registrati, che non pregiudicando le garanzie
della difesa, ben possono essere eseguite altrove e dunque anche “in remoto”,
ovvero da luogo diverso rispetto a quello nel quale siano legittimamente eseguite
le operazioni captative di conversazioni o comunicazioni, presso gli uffici della
polizia giudiziaria (Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008 – dep. 23/09/2008, Carli,
Rv. 240395).
Nessun fondamento riveste pertanto la ritenuta esecuzione della fase della
registrazione presso gli uffici del Comando dei Carabinieri a fronte del
compimento delle operazioni, inequivocabilmente disposto dal PM con il decreto
datato 30.11.2015, presso il CIT della Procura con contestuale facoltizzazione
alla sola “remotizzazione dell’ascolto presso i locali della Compagnia dei
Carabinieri di Acireale”. E’ infatti il decreto suddetto che autorizza e regolamenta
le operazioni di intercettazione, cui i soggetti autorizzati non possono che
attenersi. Mentre priva di fondamento è la censurata mancanza di verbali da
parte della Procura posto che la verbalizzazione deve essere redatta soltanto dai
soggetti delegati all’ascolto, la circostanza che il verbale di inizio delle operazioni
di intercettazione redatto dai Carabinieri, così come il successivo verbale di
chiusura delle operazioni suddette, attesti che le suddette operazioni avevano
avuto luogo “anche presso la sala di ascolto del Comando dei Carabinieri”,
ovverosia presso locali diversi da quelli della Procura, sta semplicemente a
significare che ivi si sono svolte solo le fasi successive a quella della registrazione
delle fonti sonore, non lasciando dubbi al riguardo il riferimento alla sala di
ascolto così come l’utilizzo dell’avverbio “anche”, il quale necessariamente
presuppone in termini lessicali che comunque le suddette operazioni si
svolgessero contemporaneamente in altro luogo, ovverosia in quello
istituzionalmente deputato.
2. Anche il secondo motivo risulta manifestamente infondato.
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registrazione delle conversazioni che viene evitato il rischio di possibili

2.1. Quanto alle doglianze relative alla contestata sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza, occorre rammentare come secondo il costante insegnamento di
questa Corte in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con
ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad

congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie, senza possibilità di rilettura degli
elementi indiziari (per tutte v. Cass. Sez. U, 22/3/2000- 2/5/2000, n. 11,
Audino, Riv.215828). Ciò posto le censure svolte non individuano alcuna
incongruenza logica o fattura argomentativa nell’evidenziazione del compendio
indiziario che mette, invece, compiutamente in luce sia la esistenza del sodalizio
criminoso – elementi rivelatori del quale sono le modalità organizzative della
piazza di spaccio in cui l’attribuzione ai vari coindagati di specifici ruoli,
gerarchicamente ordinati fra loro, la presenza fra questi di vedette deputate alla
segnalazione dell’eventuale sopraggiungere delle forze dell’ordine la fungibilità
dei medesimi, la paga giornaliera prevista, la destinazione dei proventi al
pagamento dei soggetti di volta in volta arrestati che lasciano presupporre a
monte un’attenta regia, incompatibile con un’attività solipsistica di spaccio -, sia
rispetto alla posizione di costui, il ruolo di vertice ricoperto, compiutamente
evidenziato dal mantenimento degli affiliati attinti da misura cautelare e al
pagamento della loro assistenza legale con la cura prestata affinchè venissero
assoldati avvocati diversi cui provvedeva sistematicamente, nonché dalle
precauzioni ipotizzate per evitare l’ingerenza delle forze di polizia.
2.2. Quanto alle esigenze cautelari, le contestazioni della difesa che si
appuntano sulla mancanza di attualità del pericolo di reiterazione del reato a
fronte della condotta tenuta dal prevenuto prima della rinnovazione della misura
custodiale, nonché sulle esigenze di natura familiare che richiedono la sua
presenza, sono inammissibili.
Vertendosi in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti
dell’indagato di uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p., nel cui
ambito rientra l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, opera
la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della
custodia in carcere, sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che contiene
in sé un giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di attualità e
concretezza del pericolo, tale, cioè, da fondare una valutazione di costante ed
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affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la

invariabile pericolo ‘cautelare’, salvo ‘prova contraria’ (Sez. 3, n. 33051 del
08/03/2016 – dep. 28/07/2016, Barra, Rv. 268664). Come già evidenziato nella
parallela ipotesi del delitto d’associazione di tipo mafioso siffatta presunzione
inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice
che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di
dimostrazione in positivo della ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma soltanto di
apprezzamento delle ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte
o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto

Calandrino, Rv. 265986).
Tanto premesso, in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari che
hanno fondato la conferma della misura cautelare di maggior afflittività,
l’ordinanza impugnata ha evidenziato ai fini della prognosi recidivante l’estrema
gravità dei fatti, desumibile dall’esistenza di una stabile organizzazione dedita
allo spaccio di marijuana, dalle imponenti dimensioni del traffico, e dal ruolo di
vertice del sodalizio rivestito dal prevenuto, la circostanza che egli fosse
stabilmente inserito, peraltro in un contesto altamente professionale ricavando
dall’attività criminale i mezzi per il suo mantenimento, nel mercato degli
stupefacenti e la pendenza specifica successiva al periodo di svolgimento delle
indagini che attesta la persistenza dei suoi legami con gli operatori del settore.
Dovendo ritenersi i suddetti elementi pienamente idonei a comprovare le
esigenze cautelari, nonché l’idoneità della massima misura interdittiva,
l’ordinanza impugnata, in difetto di dimostrazione di segni di evidenza contraria,
il cui onere gravava sulla difesa, risulta immune da censure.
D’altra parte la suddetta motivazione elimina la necessità di argomentare
ulteriormente, al cospetto della profilata assoluta inadeguatezza degli arresti
domiciliari, in ordine all’applicabilità del braccialetto elettronico, la quale altro
non è che una modalità di esecuzione della misura cautelare definitivamente
esclusa. Invero, il giudizio del Tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli
arresti domiciliari, con riferimento all’inidoneità della misura a scongiurare il
rischio di contatti con l’ambiente criminale in cui l’indagato era pienamente
inserito e dunque a contenere il pericolo della reiterazione criminosa specifica, ha
un valore assorbente e pregiudiziale rispetto alla possibilità di impiego di uno
degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod.
proc. pen., trattandosi di una valutazione che, in difetto di altre possibili
sistemazioni logistiche, preclude ogni possibilità concreta di una custodia
domiciliare (Sez. 3, n. 43728 del 08/09/2016 – dep. 17/10/2016, L, Rv. 267933;
Sez. 2, n. 3696 del 15/12/2015 – dep. 27/01/2016, H ed altri, Rv. 265786).

10

della presunzione (Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015 – dep. 11/02/2016,

4

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, seguendo a
tale esito la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento
delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della
Cassa delle Ammende

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

delle Ammende. Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art.94
comma 1 ter disp.att. c.p.p.
Così deciso il 10.1.2018

Il Consigliere estensore
Donateli

Il Presidente

lterio

Vito Di Nicola
17)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Terza Sezione Penale

DEPOSITATO Itf CANC ERIA
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