Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38404 del 05/02/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38404 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
1.AMADDIO ANTONINO N. IL 15.12.1981
2. BATTINELLI FABIO N. IL 28.07.1991
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA in data 1 dicembre 2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
sentite le conclusioni del PG in persona del dott. Roberto Aniello che ha chiesto dichiararsi
inammissibile i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentnza in data 10 dicembre 2011 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma
della sentenza in data 3 giugno 2011 del Tribunale di Teramo, appellata dagli imputati
Amaddio Antonino e Battinelli Fabio, rideterminava la pena agli stessi inflitta per il reato
di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2 c.p., in mesi sei di reclusione ed C 1000,00 di multa
ciascuno, eliminando per il Battinelli il beneficio della sospensione condizionale della
pena e revocando per l’Amaddio il beneficio della sospensione condizionale della pena
con sentenze in data 4 febbraio 2009 del GUP presso il Tribunale di Macerata e in data
19 novembre 2010 del Tribunale di Macerata; revocava altresì la Corte territoriale lo
stesso beneficio concesso al Battinelli, con sentenze in data 10 dicembre 2009, 10
febbraio 2010 e 14 ottobre 2010 del Tribunale per i minorenni di L’Aquila e in data 29
giugno 2010 del Tribunale di Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del
Tronto.
2. Avverso tale decisione proponevano ricorso personalmente entrambi gli imputati.
L’Amaddio deducendo la violazione di legge e la motivazione mancante o
manifestamente illogica quanto alla intervenuta pronuncia di condanna; la violazione
dell’art. 606 lett. b) ed e) per erronea applicazione della legge penale in materia di
concessione e revoca della sospensione condizionale della pena; il Battinelli assumendo
che la Corte territoriale lo “ebbe dovuto mandare assolto in quanto nessun elemento
appare sussistente riconoscere la responsabilità penale del prevenuto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Quanto alla affermazione penale di
responsabilità degli odierni ricorrenti, va premesso in fatto che è stato loro contestato di
essersi impossessati di denaro contante pari ad C 31,50 in monete, introducendosi nei
locali della ditta “E E T” S.r.l. di Tommolini Pietro, scavalcando il cancello e forzandone
1.

Data Udienza: 05/02/2013

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammendeCosì deciso nella camera di consiglio del 5 febbraio 2013

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

la porta di ingresso e le macchinette distributrici di prodotti alimentari per commettere il
fatto. Il Battinelli deduce unicamente che la Corte d’appello avrebbe dovuto mandare
assolto il prevenuto ai sensi e per gli effetti dell’art. 129 c.p. per assenza di
colpevolezza da parte dell’imputato. Nessun elemento infatti appare sussistente (per)
riconoscere la responsabilità penale del prevenuto.
Trattasi in tutta evidenza di motivo assolutamente generico, considerato peraltro che la
gravata sentenza ha sottolineato come lo stesso Battinelli abbia ammesso l’addebito,
riferendo particolari che poteva conoscere solo chi effettivamente si era introdotto in
quegli ambienti.
Quanto al ricorso dell’Amaddio va altresì evidenziato che la sentenza impugnata ha
affrontato e risolto le questioni concernenti il processo, seguendo un percorso
motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei
riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell’esame della posizione
dell’ imputato; nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque
formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono,
con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze
probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti le violazioni di cui è
processo, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale
responsabilità dell’Amaddio. La Corte distrettuale ha puntualmente ragguagliato il
giudizio di fondatezza dell’accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale
non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una
lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla sentenza impugnata ed
in quanto tale non proponibile in questa sede e comunque- anche in questo casoassolutamente generiche.
4. Con il secondo motivo di gravame l’Amaddio lamenta la mancanza di motivazione in
ordine alla pronunciata revoca del beneficio della sospensione condizionale. Il motivo è
manifestamente infondato. La Corte distrettuale ha infatti a riguardo richiamato l’art.
168 comma 1 n. 1 c.p. e comma 3 . Come precisato dalle SS.UU. di questa Corte
(Sentenza n. 7551 del 08/04/1998,Cerroni, Rv. 210798, il provvedimento di revoca
della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 168, comma primo, cod.
pen. ha natura dichiarativa. , sicché il provvedimento di revoca non è che un atto
ricognitivo della caducazione del beneficio già avvenuta “ope legis” al momento del
passaggio in giudicato della sentenza attinente al secondo reato. Ne consegue che il
giudice di appello – svolgendo un’attività puramente ricognitiva e non discrezionale o
valutativa e senza, pertanto, contravvenire al divieto di “reformatio in peius” – ha il
potere, anche se l’impugnazione sia stata proposta dal solo imputato, di revocare la
sospensione condizionale concessa con altra sentenza irrevocabile in altro giudizio, negli
stessi termini in cui tale potere è attribuito al giudice dell’esecuzione. Alla luce di tale
principio è sufficiente ai fini dell’adempimento dell’obbligo motivazionale il conciso
richiamo, attraverso l’operato riferimento normativo, alla sussistenza dei presupposti
di diritto per la revoca del beneficio.
5. Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro
ciascuno, in favore della cassa delle ammende.

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