Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38379 del 23/05/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 38379 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

FOTIA Domenico, nato a Cardeto il 28/01/1960

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 03/07/2012

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 23/05/2013

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Reggio Calabria
confermava la sentenza del 25/05/2009 con la quale il Tribunale di quella stessa
città aveva dichiarato Domenico Fotia colpevole del reato di cui all’art. 3 bis legge
n. 575/1965, comma 4, cod. pen., per non aver ottemperato all’ordine di versare la
cauzione di euro 2.500,00 entro 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione della misura di
prevenzione della sorveglianza speciale inflittagli dal Tribunale di Reggio Calabria Sezione Misure di Prevenzione con decreto n. 183 02 MP e 88/04 provv. del

mesi sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni.

2. Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell’imputato, avv. Giuseppe
Nardo, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate
in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia violazione
di legge, inosservanza od erronea applicazione della legge penale e processuale con
riferimento agli art. 3 bis legge n. 575/1965 e 507 cod. proc. pen. Contesta, in
particolare l’assunto motivazionale del giudice di appello secondo cui l’onere della
prova a carico dell’imputato, in ordine alla materiale impossibilità di pagare la
cauzione, escluderebbe la sussistenza di analogo obbligo del giudice di procedere
all’accertamento d’ufficio ai sensi dell’art. 507 del codice di rito.
Con il secondo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, sul rilievo che contraddittoriamente il giudice d’appello
aveva rilevato come il primo giudice avesse attentamente esaminato il profilo della
concreta condizione economica dell’imputato, rilevando al tempo stesso la
mancanza di ogni indicazione proveniente dallo stesso, diretta a prospettare almeno
il dubbio sulla possibilità concreta di versare le somme, con ciò sostanzialmente
ammettendo la sussistenza di un obbligo del giudice di verificare le condizioni
economiche dell’imputato.
Il terzo motivo denuncia ancora difetto motivazionale con riguardo
all’affermazione del giudice di appello secondo cui le eventuali difficoltà economiche
dell’imputato dovevano essere dimostrate in relazione al periodo specifico in cui
sussisteva l’obbligo di versare la cauzione e, quindi, dalla data di notifica del
decreto applicativo della misura di prevenzione fino al termine di legge, che
scadeva il 28 maggio 2008, ove invece la documentazione prodotta si riferiva al
periodo di tempo successivo. Il giudice di appello non aveva, però, considerato che
la stessa documentazione era tale da provare a contrario l’assoluta impossibilità di
far fronte al pagamento nel periodo in questione in quanto, al momento della

2

14.11.2003, notificato il 17.03.2008 e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di

notifica del decreto applicativo della misura di prevenzione, ossia al 17 marzo 2008,
l’imputato era rientrato a casa dopo avere scontato tre anni di reclusione e che solo
in epoca successiva – quella cui si riferiva la documentazione prodotta – era riuscito
a trovare un’occupazione a tempo determinato dall’1.8.2008 al 31.10.2008. In
definitiva, con l’anzidetta documentazione, si era inteso provare che il lungo periodo
di carcerazione e di conseguente disoccupazione non aveva permesso all’imputato
di poter contare su risparmi accumulati in precedenza, con cui pagare la cauzione,

riuscito a trovare la prima occupazione soltanto a distanza di diversi mesi, per
l’appunto dopo la scadenza del termine di legge. Il giudice di appello era, quindi,
incorso nel travisamento della prova documentale allegata.

2. Secondo indiscusso insegnamento di questo Giudice di legittimità la prova
dell’impossibilità di provvedere al pagamento della cauzione imposta a norma
dell’art. 3-bis della legge 31 maggio 1965 n. 575 (disposizioni contro la mafia), per
indisponibilità di mezzi economici non preordinata né colposamente determinata,
grava sull’imputato, il quale ha un onere di allegazione che non può dirsi soddisfatto
dall’apodittica affermazione di versare in uno stato di indigenza. (cfr. Cass. Sez. 5,
n. 32615 del 13/07/2007 Rv. 237106; cfr. anche id. Sez 6 n. 36312 del
19/10/2006 Rv. 235278, secondo cui in relazione al reato di omesso versamento
della cauzione previsto dall’art. 3 bis, comma primo, legge 31 maggio 1965, n. 575,
è onere dell’imputato provare o richiedere indagini volte ad acquisire elementi dai
quali risulti che la materiale impossibilità di adempiere abbia i caratteri
dell’assolutezza e non sia preordinata o colposamente determinata).
Orbene, dal testo del provvedimento impugnato risulta che ad un tale onere
probatorio l’imputato non ha adempiuto nè ha chiesto l’espletamento di indagini
mirate, volte a verificare la denunciata condizione di impossidenza. In siffatta
situazione, nessun onere di accertamento incombeva carico del giudice, sia pure
nell’esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 507 del codice di rito, così come
correttamente osservato dal giudice a quo.
In ordine alle residue censure di parte ricorrente, resta da dire che l’onere
probatorio avrebbe dovuto essere assolto mediante prova specifica, riguardante
direttamente l’arco temporale di riferimento, non potendo essere affidata ad una
lettura a contrario ed inferenziale del giudice sulla base di documentazione relativa
a periodo immediatamente successivo nel corso del quale l’imputato avrebbe svolto
attività lavorativa, al di là dell’ovvio rilievo che il mancato espletamento di attività
lavorativa nell’arco di tempo in considerazione non era, di per sé, elemento
univocamente sintomatico d’impossidenza e, dunque, d’incapacità assoluta di far
fronte al pagamento della cauzione.

3

né gli aveva consentito di poter usufruire di reddito lavorativo, posto che era

3. Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le conseguenziali
statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso è condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 23/05/2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA