Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38373 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38373 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: OLDI PAOLO

Data Udienza: 09/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Alonzo Alessandro, nato a Pescara il 22/08/1975

avverso la sentenza del 07/04/2010 della Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 7 aprile 2010 la Corte d’Appello dell’Aquila, così
riformando la decisione assunta dal Tribunale di Chieti, ha dichiarato non doversi
procedere nei confronti di Alessandro D’Alonzo in ordine al delitto di lesione
volontaria in danno di Annalisa Sigismondi, per essere il reato estinto per
prescrizione; ha tuttavia tenuto ferma la sua condanna al risarcimento dei danni

A

in favore della parte civile.
1.1. La prova del commesso reato è stata ravvisata nelle dichiarazioni della
persona offesa, ritenute credibili per la loro consequenzialità e riscontrate dalla
deposizione del teste Paciocco, nonché dal certificato medico acquisito.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il D’Alonzo, per il tramite del
difensore, affidandolo a due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente eccepisce la carenza di legittimazione

Sigismondi integralmente risarcita dopo la pronuncia della sentenza di primo
grado.
2.2. Col secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al giudizio di
responsabilità, per essersi omesso di tener conto delle incongruenze nella
deposizione della parte civile, segnalate con i motivi di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito
esposte.
1.1. Secondo un principio già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza
di legittimità, ai fini dell’ammissibilità della costituzione di parte civile – dunque
anche della partecipazione della stessa parte al giudizio di appello – rileva
esclusivamente la legitimatio ad causam e non anche la persistenza di un danno
tuttora risarcibile, la cui valutazione attiene al merito dell’azione risarcitoria e
non alla legittimazione a stare in giudizio (Sez. 4, n. 40288 del 27/09/2007,
Pasqualetti, Rv. 237888; Sez. 4, n. 8991 del 10/01/2003, Solighetto, Rv.
223644).
1.2. Costituendo dunque questione di puro merito la deduzione del
ricorrente circa l’asserita intervenuta estinzione dell’obbligazione risarcitoria,
evidente è la sua estraneità ai vizi denunciabili con ricorso per cassazione ai
sensi dell’art. 606 cod. proc. pen..

2. Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto non consentito nel
giudizio di legittimità. Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente
denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame
del merito attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
2.1. La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno
indotta a ritenere provato l’assunto accusatorio; a tal fine ha valorizzato le
dichiarazioni della persona offesa, descrittive del fatto contestato e argomenta-

2

Al.

all’esercizio dell’azione civile nel giudizio di appello, per essere stata la

tamente giudicate attendibili per la loro linearità e verosimiglianza, riscontrate
per di più dalla deposizione del teste Riccardo Paciocco – che aveva
accompagnato la Sigismondi all’ospedale subito dopo il fatto – e dalle risultanze
del certificato medico in atti.
2.2. Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente denuncia
genericamente l’illogicità, senza tuttavia segnalare in concreto, nel testo del
provvedimento, alcuna effettiva caduta di consequenzialità; mentre il suo
tentativo di screditare la deposizione della persona offesa adducendo pretese

di una lettura del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente
propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di
cassazione.

3. Il ricorso è, pertanto, inammissibile in ogni sua parte; di ciò deve
emettersi declaratoria, in conformità alla richiesta del Procuratore Generale in
sede, con le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 09/04/2013.

discordanze rispetto alla documentazione medica, si risolve nella prospettazione

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