Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38372 del 23/05/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38372 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MKARREM EL MOSTAFA nato il 04/12/1966

avverso la sentenza del 03/10/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO
che ha concluso chiedendo l’inammissibilita del ricorso.

Data Udienza: 23/05/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 3 ottobre 2017 la Corte di Appello di Bologna ha

parzialemente riformato, rideterminando la pena inflitta in mesi sei di reclusione
ed euro 900,00 di multa, la sentenza del Tribunale di Bologna con cui Mkarrem
El Mostafa è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5^,
d.P.R. 309/1990, per avere detenuto, a fini di spaccio, dieci involucri di sostanza
stupefacente del tipo hashish, del peso complessivo di gr. 100,19, occultati
all’interno della cella freezer di un frigorifero.
2.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo

3.

Con il primo denuncia la violazione della legge penale ed il vizio di

motivazione, in ordine alla quantificazione della pena inflitta. Rileva che la
sentenza di primo grado, pronunciata il 25 giugno 2010, aveva ravvisato
l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 309/1990 prevalente sulla
contestata recidiva ed -applicata la diminuente del rito- aveva condannato
l’imputato alla pena base di un anno e mesi di reclusione, oltre ad euro 4.500,00
di multa, ridotta per il rito alla pena finale di mesi 10 di reclusione ed euro
3.000,00 di multa. Osserva che l’operazione di rideterminazione della pena,
contenutg nella sentenza di secondo grado, contiene un errore evidente. Ed
invero, la Corte territoriale, preso atto dell’intervenuta modifica normativa
dell’art. 73, comma 5^, d.P.R. 309/1990 e richiamata la prima decisione -che
aveva limitato la pena in limite prossimo con l’edittale- ha ritenuto equa la pena
di mesi sei di reclusione ed euro novecento di multa, senza tuttavia applicare la
diminuente per il rito. Se, infatti, la fattispecie autonoma di reato prevede la
pena della reclusione fra mesi sei ad anni quattro, è chiaro che volendosi
mantenere, come già fatto al tribunale, ad una quantificazione coincidente con il
minimo edittale, la pena inflitta di mesi sei, non è stata diminuita per il rito,
avendo l’imputato scelto il giudizio abbreviato.
4.

Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per illogicità della

motivazione nella parte in cui, pur richiamando la prima decisione, afferma che
la somma di euro 1050,00, rinvenuta nell’appartamento di Mkarrem El Mostafa,
ha natura di provento del reato, ordinandone il sequestro conservativo, a
garanzia dei crediti dello Stato ex art. 316 cod. proc. pen., con ciò confondendo
le diverse misure ed i relativi presupposti. E ciò, benché il primo giudice avesse
negato la correlazione fra il denaro ed il reato.
5.

Con il terzo motivo si duole del vizio di motivazione della sentenza

impugnata per avere ritenuto l’imputato colpevole del reato di detenzione di
stupefacenti ai fini di spaccio, nonostante la debolezza del quadro probatorio. Da
un lato, infatti, la destinazione dello stupefacente all’uso terapeutico, negata
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del suo difensore, affidandolo a tre distinti motivi.

dalla Corte, emergeva dalla certificazione del suo stato di salute, essendo egli
affetto da ansia, insonnia, inappetenza e depressione, patologie per le quali gli
erano stati prescritti psicofarmaci, che gli causavano sonnolenza, sicché li aveva
sostituiti con la sostanza. Dall’altro, la mancanza di una certificazione del SER.T,
elemento considerato dal Collegio come indicativo della destinazione ad un
consumo non personale dello stupefacente, doveva essere ritenuta irrilevante,
essendo noto che l’hashish non provoca dipendenza. Inoltre, la suddivisione dello
stupefacente in dieci involucri non poteva, di per sé, assumere la valenza
dimostrativa della destinazione al commercio, poiché l’imputato l’aveva

per evitare il deterioramento dovuto al caldo. Infine, ininfluente, ai fini della
prova dello spaccio di stupefacenti, doveva essere ritenuta la suddivisione della
somma di euro 1.050,00 rinvenuta nell’appartamento, in banconote da euro
50,00, poiché ciascuna dose di hashish ha un valore inferiore, cosicché dal taglio
delle banconote non può desumersi alcun elemento sull’attività di vendita di
stupefacente.
6. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso va accolto nei limiti che seguono.

2.

Conviene partire dall’ultimo dei motivi proposti, che riguarda

!l’accertamento della responsabilità penale. La doglianza, per la verità, formula
una censura che, dubitando della logicità della motivazione, si risolve nella
richiesta di rivalutazione degli elementi probatori posti a fondamento della
decisione, non consentita in questa sede. Ed invero, l’illogicità denunciata non
possiede la caratteristica della percettibilità

ictu ocull,

richiesta dalla

giurisprudenza per autorizzare il sindacato di legittimtà sul travisamento della
prova, limitato a rilievi di macroscopica evidenza, non rientrando fra i vizi
emendabili la mancata risposta a testi difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del
convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano
di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez.
un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un.,
sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n.
47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074). Ma deve rammentarsi
anche l’ulteriore principio concernente da la rilevabilità del vizio del travisamento
della prova in ipotesi di c.d. “doppia conforme”. Questa Sezione ha osservato, in
molteplici occasioni che “in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di

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acquistata già suddivisa e l’aveva riposta nel frigorifero, non per nasconderla, ma

una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante
l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere
rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con
specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato
per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del
provvedimento di secondo grado. Va ricordato altresì che “in tema di giudizio di
Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e),
introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della
prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante

decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione
abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia
conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità,
salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di
gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
giudice” (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, P.C. in proc.
Buraschi, Rv. 24363601; conformi: Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013
Ud. (dep. 26/11/2013) Rv. 257499; Sez. 4, Sentenza n. 5615 del 13/11/2013
Ud. (dep. 04/02/2014) Rv. 258432; Sez. 4, Sentenza n. 4060 del 12/12/2013
Ud. (dep. 29/01/2014) Rv. 258438; Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016
Ud. (dep. 20/02/2017) Rv. 269217). E ciò non solo non è accaduto nel caso di
specie, ma manca sinanco il richiamo di motivi di appello che ineriscano ad
un’omessa considerazione del materiale probatorio raccolto in giudizio.
3.

Con riferimento alla seconda censura va rilevato che la motivazione

effettivamente, pur confermando la sentenza di primo grado che dispone il
sequestro conservativo della somma di euro 1050,00, motiva

facendo

riferimento ai presupposti di applicazione della misura del sequestro preventivo,
relativamente alla provenienza illecita del denaro quale provento del reato,
perché non solo esclude la rilevanza del taglio delle banconote, rispetto alla
natura della somma quale provendo del reato, ma sottolinea che la medesima
non può essere fonte economica derivata dalla vendita del veicolo, per le
dichiarate difficoltà ecomiche del ricorrente e per la necessità di provvedere al
pagamento dell’affitto.
4.

Ora, sebbene la motivazione erri nel richiamare i presupposti del

sequestro preventivo, tuttavia, il dispositivo appare corretto, traendosi, peraltro,
anche dalla motivazione, che si salda con quella di prima cura, la sussistenza non contraddetta dal ricorrente, neppure con il motivo di proposto in questa
sede- delle fondate ragioni di dispersione delle garanzie dei crediti dello Stato
per il pagamento della pena pecuniaria e delle spese di procedimento. Ed invero,
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che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova

viene chiarita dalla Corte l’inconsistenza delle sostanze economiche
dell’imputato.
5.

Il primo motivo proposto, al contrario, deve trovare accoglimento. Non

si tratta di rivalutare quale sia la legge più favorevole a seguito della
trasformazione della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5^d.P.R. 309/1990 da
circostanza attenuante a reato autonomo. Il ricorrente, infatti, non si duole del
venir meno del giudizio di prevalenza dell’attenuante

de qua sulla recidiva,

risultante dalla sentenza di primo grado, concentrandosi, invece, sulla
contraddittorietà della quantificazione della pena finale. Osserva che la Corte, in

grado aveva mantenuto la pena base prossima al minimo edittale, ritenendo di
muovere dallo ‘stesso approccio valutativo’ stima equa la pena di mesi sei di
reclusione ed euro novecento di multa. Tuttavia, quando procede alla
determinazione nulla dice circa l’applicazione della diminuente per il rito.
6.

In realtà, la motivazione della Corte sulla quatificazione della sanzione

è errata perché, stabilita la pena detentiva in mesi sei di reclusione, e dunque al
limite inferiore della pena prevista per l’ipotesi lieve di cui al quinto comma cit.,
così dimostrando di non volersi discostare dalla valutazione del primo giudice,
nondimeno, non opera sul minimo edittale la riduzione della pena derivante dal
rito, né con riferimento alla pena detentiva, né con riferimento a quella
pecuniaria.
7.

La sentenza impugnata va duque annullata, limitatamente al

trattamento sanzionatorio da rideterminare, tenuto conto del minimo edittale
previsto dall’art. 73, comma 5^ d.P.R. 309/1990, ridotto per il rito, in mesi
quattro di reclusione ed euro 688,00 di multa, rigettando gli altri motivi.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio
che ridetermina in mesi quattro di reclusione ed euro 688,00 di multa. Rigetta
nel resto il ricorso.
Cosi deciso il 23/05/2018

applicazione della figura autonoma di reato, preso atto che la sentenza di primo

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