Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38356 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38356 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEO GIOVANNI N. IL 23/07/1975
avverso la sentenza n. 509/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
30/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G-AV-W 1 -IA 7-Un’A
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che ha concluso per e prri 0-1-As tvw 5 tw`i.p
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 26/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 30 aprile 2012, la Corte d’appello di Lecce ha confermato,
quanto alla ritenuta responsabilità penale, la sentenza del GUP del Tribunale di Lecce
del 18 novembre 2010, con la quale l’imputato era stato condannato, all’esito di
giudizio abbreviato, per il reato di cui all’art. 2, comma 1 bis, del decreto-legge n. 463

del 1983, convertito dalla legge n. 638 del 1983, per avere omesso di versare le
ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei suoi dipendenti, per

in parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato, ha disposto la non menzione
della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: 1) l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla
mancata applicazione al caso di specie della causa di non punibilità prevista dal
richiamato art. 2 del decreto-legge n. 463 del 1983, perché sul punto il GUP avrebbe
ritenuto non applicabile tale causa sul rilievo che l’imputato aveva comunque
effettuato il pagamento oltre il termine di 3 mesi, mentre la Corte d’appello effettuando, ad avviso del ricorrente, un’illegittima

reformatio in peius

avrebbe

invece affermato che la notificazione era andata a buon fine; 2) la mancanza di
motivazione quanto alla doglianza contenuta nell’atto d’appello con cui si evidenziava
una situazione economica particolarmente difficile dell’impresa dell’imputato; 3) la
mancanza di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e la mancata
applicazione della circostanza attenuante di cui all’articolo 62, n. 6), cod. pen., perché
i contributi non pagati sarebbero stati comunque versati prima del giudizio di primo
grado; 4) la violazione di legge quanto alla mancata revoca della concessione del
beneficio della sospensione condizionale della pena; beneficio mai richiesto e indicato
come pregiudizievole nell’atto di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Deve essere dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
3.1. – Come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il
presupposto per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito
dall’evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l’imputato
non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge
come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale
sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la
relativa sentenza. I presupposti per l’immediato proscioglimento devono, però,

il gennaio 2005, concessa la sospensione condizionale della pena. La Corte d’appello,

risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore
dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È
necessario, quindi, che la prova dell’innocenza dell’imputato emerga positivamente
dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un
“apprezzamento”, ma ad una mera “constatazione”.
L’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in
sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza

possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece
dichiarare l’estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si
troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l’obbligo dell’immediata
declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità
di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità,
essendo l’inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio
dell’immediata applicabilità della causa estintiva (ex plurimis, sez. 6, 1° dicembre
2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio
2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).
3.2. – I presupposti per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.,
come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie, con riferimento
agli atti di causa e al contenuto della sentenza impugnata.
L’unico motivo di ricorso che risulta fondato è, infatti, il quarto, relativo non alla
responsabilità penale, ma alla richiesta di esclusione del beneficio della sospensione
condizionale della pena; e ciò, sul rilievo che tale beneficio effettivamente non era
stato chiesto dall’imputato, il quale ha dedotto di essere interessato a non usufruirne,
preferendo procedere al pagamento dell’ammenda (v., sul punto, sez. 3, 26 giugno
2012, n. 36021; sez. 3, 29 febbraio 2012, n. 27278; sez. 3, 18 maggio 2011, n.
36397).
Gli altri motivi di ricorso risultano, invece, manifestamente infondati o
comunque inammissibili, perché con essi: si qualifica quale reformatio in peius non
una statuizione contra reum relativa alla responsabilità penale o al trattamento
sanzionatorio, ma semplicemente la motivata ricostruzione fatta dalla Corte d’appello,
diversa da quella del giudice di primo grado, circa la notificazione dell’avviso di
accertamento della violazione; ci si limita a generiche e indimostrate asserzioni su
profili comunque irrilevanti ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, quale
quella relativa allo stato di decozione della società dell’imputato; si denunciano – al di

impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio,

fuori del limite previsto dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. – violazioni di legge
non prospettate nel giudizio d’appello, quale quella dell’art. 62, n. 6), cod. pen.
3.3. – Quanto alla prescrizione del reato (commesso il 16 febbraio 2005),
dall’esame degli atti risulta che al relativo termine complessivo di anni 7 e mesi 6
devono sommarsi mesi 2 e giorni 7 per sospensioni della prescrizione, oltre ai 3 mesi
di sospensione ex lege previsti dal richiamato art. 2 del decreto-legge n. 463 del
1983. Ne consegue che il reato si è prescritto alla data del 23 gennaio 2013,

4. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio,
perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2013.

precedente alla pronuncia della presente sentenza.

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