Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38352 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38352 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASSOCIAZIONE LEGAMBIENTE COMITATO REGIONALE
SICILIANO
WWF ITALIA
nei confronti di:
BAUDILLE DOMENICO N. IL 25/02/1948
OCCHIOLINI MORENO N. IL 14/06/1959
avverso la sentenza n. 2033/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 24/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. f-C47 2 z 13
che ha concluso per Q
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Udito, per la parte civile, l’Avv ecr~.1.,C,c

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Data Udienza: 26/06/2013

Uditi difensor Avv. VDQ.
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1. Il tribunale di Sciacca ha condannato Baudille Domenico e Occhiolini Moreno alla pena di
mesi quattro di arresto e di euro 30.000 di ammenda ciascuno, disponendo la sospensione
condizionale, con ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, avendo ritenuto gli
stessi responsabili, nelle rispettive qualità di consigliere della società Intertechno S.p.A.,
impresa incaricata della progettazione e direzione dei lavori, nonché firmatario degli elaborati
progettuali, ed il secondo in qualità di amministratore delegato della Sir Roccaforte & Family
S.p.A., impresa committente, del reato di cui agli articoli 110 del codice penale e 181 dLvo
42/04 per avere realizzato parte dell’opera denominata Progetto Verdura International Golf &
S.p.A. Resort situata all’interno del sito di importanza comunitaria Foce del Fiume Verdura
sottoposto a tutela ambientale, in difformità delle prescrizioni apposte al parere favorevole
della sovrintendenza.
I giudici di primo grado avevano accertato che gli imputati avevano violato in particolare le
prescrizioni poste a tutela della falesia, dell’habitat delle zone umide, delle fasce di rispetto
dalla battigia e dalla sponda del fiume nonchè delle caratteristiche naturali tutelate del sito.
Il tribunale aveva invece rigettato le domande delle costituite parti civili Associazione
Legambiente Comitato Regionale Siciliano e WWF Italia ritenendo non dimostrato il danno dalle
stesse patite in conseguenza del reato accertato.
2. La corte di appello, riformando la decisione di primo grado, ha assolto gli imputati dalla
contravvenzione loro scritta perché il fatto non è previsto dalla legge come reato sul rilievo
dell’efficacia sanante dell’accertamento di compatibilità paesaggistica ex articolo 181 comma 1
ter del DLvo 42/04 rilasciato dalla sovrintendenza che, in base valutazione postuma degli
interventi abusivi, non ha rilevato danni residui al contesto paesaggistico.
La pronuncia assoljétoria degli imputati, correlata alla mancanza di residuo danno ambientale,
induceva il collegiMon valutare nel merito l’appello delle parti civili.
3. Queste ultime propongono ricorso per cassazione deducendo con distinti ricorsi ma con
motivi comuni:
3.1 la violazione di legge ed in particolare degli articoli 181. comma 1 ter e 167 DLvo 42/04 ed
1 comma 36 della legge 308/2004 assumendo l’erronea applicazione della legge penale in
relazione al rilascio dell’accertamento della compatibilità paesaggistica e dei suoi effetti
estintivi del reato penale. Si rileva in sostanza che la corte di appello erroneamente non
avrebbe accertato la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria e
conseguentemente disapplicato il provvedimento di accertamento della compatibilità
paesaggistica del 7 luglio 2011, omettendo tra l’altro di verificare il rilievo formulato dalle
stesse secondo cui la “sanatoria” non avrebbe potuto trovare applicazione in forza di
un’interpretazione estensiva della nozione di “superficie utile” e di considerare la
compromissione ambientale degli abusi già accertati. Sarebbero rimaste trascurate nell’esame
alcune testimonianze espressamente indicate nella sentenza di primo grado che deponevano
nel senso dello stravolgimento dell’assetto ambientale naturalistico del territorio in prossimità
della foce del fiume Verdura e della battigia. E si fa anche rilevare che il parere positivo di
compatibilità della soprintendenza rilasciato nel 2005 si pone in aperto contrasto con
l’accertamento della compatibilità paesaggistica postuma che sminuisce grandemente l’entità e
l’importanza delle violazioni delle prescrizioni.
3.2 il mancato completamento dell’iter del rilascio della compatibilità paesaggistica non
essendo ancora stato effettuato il pagamento dell’indennità risarcitoria.
3.3 il mancato esame dell’appello delle parti civili sul mancato risarcimento del danno,
riproponendo i motivi di appello ed evidenziando che in numerose decisioni della corte era
stato riconosciuto a tutte le associazioni ambientalistiche, anche se non riconosciute ai sensi
dell’articolo 13 della legge 349 dell’86, la legittimazione all’azione risarcitoria anche in sede
penale mediante la costituzione di parte civile, ribadendo la gravità del danno ambientale
4. Nell’interesse degli imputati è stata successivamente depositata memoria difensiva in cui si
sostiene che il ricorso esula dai caratteri propri del giudizio di legittimità, richiedendo una
nuova valutazione di fatto degli elementi già vagliati in sede di merito e al contempo si
evidenzia l’inammissibilità dei ricorsi per carenza di interesse ad impugnare. Si fa rilevare al
riguardo come quest’ultimo difetti non in astratto ma in concreto, difettando la prova della
sussistenza di un danno a carico delle associazioni ambientalistiche; che ciò determina anche
carenza di legittimazione all’impugnazione, e che manca comunque il presupposto per

Ritenuto in fatto

Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
La sentenza dei giudici di appello, così come quella di primo grado, non si discosta dai principi
più volte affermati da questa Corte secondo cui, anche a seguito dell’entrata in vigore del
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 che ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno
ambientale al Ministero dell’Ambiente, le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi
parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del
degrado ambientale, mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno
ambientale di natura pubblica. (ex multis Sez. 3, n. 14828 del 11/02/2010 Rv. 246812).
Spetta, infatti, esclusivamente allo Stato (e, in particolare, al Ministero dell’Ambiente) la
legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati contro l’ambiente per ottenere il
risarcimento del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell’ambiente in sé
considerato (Sez. 3, n. 633 del 29/11/2011 Rv. 251906).
La corte di merito ha in concreto escluso, infatti, che vi fosse prova nella specie di un danno
diretto (di natura patrimoniale o non patrimoniale) subito dalle associazioni costituitesi parti
civili ed ha ritenuto che queste ultime, in sostanza, si siano atteggiate semplicemente a
soggetti portatori di un interesse diffuso.
In questo senso le due associazioni avrebbero dovuto anzitutto farsi carico nei motivi di ricorso
di focalizzare questo aspetto della questione indicando specificamente le ragioni di danno
invocate ed ignorate dai giudici di merito.
In carenza di ciò i ricorsi non possono che essere ritenuti inammissibili in quanto non superano
il rilievo della carenza di interesse all’impugnazione.
Quest’ultima è proposta, infatti, ai soli effetti civili.
Ora se è vero che – come evidenziato dalle Sezioni Unite – la disposizione di cui all’art. 576
cod. proc. pen., secondo la quale la parte civile può proporre impugnazione contro le sentenze
di proscioglimento pronunziate nel giudizio, ai soli effetti della responsabilità civile, non postula
la necessità della formale enunciazione della finalizzazione dell’atto di gravame agli effetti civili
(SU n. 6509 del 20/12/2012, RV 254130), nel caso in cui i giudici di appello, uniformandosi
alla decisione di primo grado, abbiano invece escluso la prova del danno in concreto, si rende
necessaria nell’impugnazione sviluppare adeguata critica alla pronunzia stessa sul punto,
altrimenti esponendosi l’impugnazione a rilievi di genericità, impedendo la verifica
dell’interesse alla medesima, atteso che esula dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte
civile la richiesta concernente l’affermazione della responsabilità dell’imputato, ove dissociata
dalla sussistenza di effetti di carattere civile da conseguire.
In nessun caso può essere dunque sufficiente a superare il rilievo indicato il mero richiamo ai
motivi di appello contenuto nel ricorso delle parti civili.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese
del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende,
fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000 per ciascuno
dei ricorrenti.
P.Q. M .
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000 per
ciascuno di essi.
Così deciso, il giorno 26.6.2013

l’accoglimento della richiesta in quanto non vi è alcuna pregressa statuizione del giudice del
merito in ordine alla sussistenza della pretesa risarcitoria, presupposto indispensabile per
l’applicazione dell’articolo 622 CPP. Inoltre nemmeno potrebbe trovare applicazione l’articolo
578 che concerne la sola ipotesi della pronuncia di prescrizione del reato nel merito.

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