Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38336 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38336 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILANO ANNA N. IL 19/02/1947
avverso la sentenza n. 2351/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 02/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
•–52-11Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (15-n‘C)Le”–Q– «T(`-A-A
che ha concluso per e c

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/05/2013

1. Con la sentenza in epigrafe la corte di appello di Palermo ha confermato quella del tribunale
di Agrigento che aveva condannato l’imputata alla pena di giustizia per i reati di cui agli articoli
110 del codice penale, 44 lettera c), 64 – 71, 65 – 72, 93 – 95 d.p.r. 380/ 01 per avere in
concorso con ignoti esecutori, quale proprietaria e committente dei lavori, ampliato in
Lampedusa due fabbricati preesistenti (dammusi) realizzando in assenza del permesso di
costruire e nulla osta della sovrintendenza, nonché in difformità dell’autorizzazione rilasciata
numero 3060 del 2005, due corpi di fabbrica di metri quadrati 22 circa cadauno per un’altezza
media di metri 2,60 comuni in blocchetti cementizi vibro compressi, rivestiti con pietrame
calcareo, con solaio di copertura con travi e le tavole di legno e tegole. Il fatto risulta
commesso in epoca antecedente prossima al 5 dicembre 2007.
2. La corte di appello, chiamata a decidere i motivi di impugnazione proposti dall’imputata che,
invocando l’articolo 20 della legge regionale numero 4/2003, aveva chiesto l’assoluzione
perché il fatto non costituisce reato e comunque non sarebbe più previsto come reato ed in
subordine la sospensione condizionale della pena con esclusione della subordinazione alla
demolizione del fabbricato, oltre alla riduzione della pena medesima, ha respinto le richieste
escludendo la natura pertinenziale del manufatto, ritenendo invece trattarsi di ampliamento e,
comunque, la natura precaria ed amovibile nell’opera. Riteneva inoltre legittima la
subordinazione della sospensione condizionale della pena alla rimozione degli abusi osservando
che la subordinazione non è impedita dall’avvenuta acquisizione dell’immobile al patrimonio
comunale a seguito della inottemperanza all’ordinanza amministrativa di demolizione.
3. Deduce in questa sede la ricorrente:
3.1 la inosservanza e falsa applicazione degli articoli 10 e 22 del d.p.r. 380/01 assumendo
erroneamente esclusa la natura pertinenziale delle opere realizzate;
3.2 l’inosservanze ed erronea applicazione dell’articolo 20 della legge Regione Sicilia numero
4/2003 ritenendo per un verso erroneamente esclusa la applicazione della disposizione indicata
in relazione alle opere realizzate e per altro verso evidenziando che le disposizioni della norma
citata si estendono espressamente anche alla regolarizzazione delle opere della stessa tipologia
di quelle già realizzate, spiegando gli stessi effetti dell’articolo 36 d.p.r. 380/2001;
3.3 La violazione degli articoli 163, 164 e 165 del codice penale e 181 dlgs 42/04 in quanto la
subordinazione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato dei luoghi non
avrebbe tenuto conto della regolarizzabilità delle opere per la modestia di esse ed essendo,
quindi, presumibile circostanza che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati nel
futuro.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
In relazione al primo motivo, giova anzitutto ribadire taluni principi che possono ritenersi
assolutamente pacifici nella giurisprudenza della Corte che riguardano le nozioni di perinenza e
di ampliamento.
Si è da tempo puntualizzato che per pertinenza deve intendersi un’opera che non sia parte
integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più
agevole e funzionale l’uso (ex multis Sez. 3, n. 20349 del 16/03/2010 Rv. 247108) e che
l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte
dell’edificio perchè, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i
bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo (ex multis
Sez. 3, n. 28504 del 29/05/2007 Rv. 237138). Si è rilevato, infatti, che la relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo
scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentali funzionale), sicché
non può riconduci alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio che per la relazione di
connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato.
Per quanto concerne la sfera di applicabilità dell’art. 20 L. Regione Sicilia n. 4/2003
correttamente la corte di merito ha ricordato che la giurisprudenza di legittimità è nel senso
che la disposizione in questione esclude la necessità di concessione e/o autorizzazione solo
qualora le opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici indicate dalla norma abbiano

Ritenuto in fatto

2q’

natura precaria e che quest’ultima va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso
della facile rimovibilità dell’opera, e non funzionale, ovvero nel senso della temporaneità e
provvisorietà dell’uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere
applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n. 16492 del 16/03/2010 Rv.
246771).
Così definito il quadro normativo di riferimento è agevole rilevare che la valutazione su tutti gli
aspetti indicati ha carattere fattuale e che non è sindacabile in questa sede ove, come nella
specie, correttamente argomentata.
Nella specie il ricorrente, nel primo motivo, si limita peraltro ad affermare in maniera del tutto
assertiva la natura pertinenziale delle opere correttamente esclusa dai giudici di merito che
motivatamente hanno ritenuto di dover ricondurre piuttosto l’abuso nel concetto di
ampliamento dell’edificio preesistente, escludendo anche la precarietà di esse secondo il
criterio strutturale indicato dalla Corte, avuto riguardo alla tipologia delle costruzioni e dei
materiali utilizzati.
Né hanno pregio i rilievi articolati nel secondo motivo in quanto tutti incentrati sulla
indimostrata natura pertinenziale degli abusi.
Inoltre non appare risolutivo il richiamo alla disposizione regionale nella parte in cui prevede
che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, altresì, per la regolarizzazione delle
opere della stessa tipologia già realizzate.”.
A prescindere da ogni altro rilievo, nella specie nessuna regolarizzazione risulta intervenuta per
gli abusi ed anzi la corte di appello opportunamente cita la nota della Sovrintendenza in cui si
invita il Comune ad adottare tutte le necessarie iniziative per rimuovere l’abuso ritenuto del
tutto incompatibile con le condizioni della tradizione costruttiva del dammuso.
Si risolvono in inammissibili censure di merito, infine, i rilievi formulati con il terzo motivo in
quanto incentrati sulla necessità della subordinazione in relazione alle esigenze di prevenzione
correttamente ritenute dal giudice di appello.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di
rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U,
Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Rv. 217266)
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese
del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende,
fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000.
Così deciso, il giorno 21.5.2013

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