Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3832 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3832 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
L’AQUILA
nei confronti di:
TIBERIO FEDERICO N. IL 17/09/1951
avverso la sentenza n. 1048/2012 GIP TRIBUNALE di VASTO, del
05/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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Data Udienza: 07/01/2015

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
appello di L’Aquila ricorre per cassazione contro la sentenza
di applicazione concordata della pena emessa dal G.I.P. del
Tribunale di Vasto in data 5.03.201 nei confronti di Tíberio
Federico al quale è stata applicata la pena finale di anni
uno, mesi due di reclusione per i reati di cui agli articoli
589 e 593, comma 2, c.p., ritenuta la continuazione tra i due
reati contestati, sentenza in ordine alla quale le parti
offese avevano chiesto all’ufficio della Procura generale di
proporre impugnazione.
Il Procuratore generale ricorrente deduceva violazione di
legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della
continuazione tra il reato colposo di cui all’art.589 c.p. ed
il reato doloso di cui all’art.593, comma 2, c.p..
Considerato in diritto
Il ricorso del Procuratore Generale deve essere accolto nei
limiti di cui in motivazione.
L’unicità del disegno criminoso presuppone il dolo e quindi
impedisce, per inconciliabilità logica e giuridica,
l’applicazione della continuazione tra reato colposo e reato
doloso, come invece è accaduto nella sentenza oggetto di
impugnazione.
Tanto premesso si osserva che, se è vero che, in tema di
patteggiamento, non è possibile di norma, una correzione di
errori da parte della Corte di Cassazione, è anche vero,
però, che la possibilità di ricondurre nei limiti legali
l’errato calcolo della pena e di correggere l’errore di
diritto ricorre tutte le volte in cui, in aderenza al
principio dispositivo, che prevale, quoad poenam, sul potere
discrezionale del giudice, e alle regole che disciplinano i
rapporti negoziali, che debbono essere interpretati secondo i
principi che privilegiano la conservazione e non la
caducazione dell’atto (articoli 1366, 1367, 1375 c.c.), la
pena possa essere mantenuta, senza involuzioni in bonam e in
malam partem, nella misura concordata, nonostante la
correzione degli errori (cfr, Cass., sez.5, sent. N.4058 del
20.09.1999). L’errore di diritto in ordine all’applicazione
della continuazione non rende, infatti, automaticamente
illegale la pena applicata nella misura concordata, se
rientrante nei limiti di legge.
Nella fattispecie che ci occupa,se i reati fossero stati
oggetto di autonoma pattuizione, con la concessione delle
attenuanti generiche e della diminuente del rito, ben avrebbe
potuto la pena complessiva essere pari a quella inflitta,
attesi i limiti edittali di ciascuna delle disposizioni
violate. La correzione formale del calcolo, a seguito di

Ritenuto in fatto

rettifica, non demolisce i termini della transazione che
rimane inalterata nella complessiva pena pattuita.
Ai sensi dell’art.619 c.p.p. può quindi procedersi alla
rettifica della sentenza impugnata mediante eliminazione
della ritenuta continuazione.
Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

Rettifica la impugnata sentenza mediante eliminazione della
ritenuta continuazioneRigetta nel resto.

Così deciso in Roma il 7.01.2015

PQM

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