Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38305 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38305 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
WANG PINRONG (OBBL.PRES. PG) N. IL 21/03/1972
avverso la sentenza n. 92/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
13/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
1E02/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 26/05/2015

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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 marzo 2015, la Corte d’appello di Bologna ha
dichiarato la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di
estradizione di Wang Pinrong per il reato di truffa contrattuale, commesso nel
periodo dal marzo al maggio 2010, di cui al provvedimento cautelare emesso dal
Tribunale popolare di Yiwu il 4 settembre 2014. La Corte territoriale ha
evidenziato che, in mancanza di una convenzione tra gli Stati, si deve fare
riferimento alla normativa interna (artt. 13 cod. pen. e 698 e 705 cod. proc.

l’assenza di condizioni ostative alla consegna; che la gravità indiziaria emerge
dall’atto autoritativo d’arresto emesso dall’autorità giudiziaria cinese, che
recepisce l’esito degli accertamenti dell’ufficio delle indagini della criminalità
economica del ministero; che sussiste il requisito della doppia incriminabilità, in
quanto il fatto è riconducibile alla fattispecie nazionale della truffa e non
costituisce mero inadempimento contrattuale; che, dalle norme processuali
penali dell’ordinamento cinese, non emergono evidenti violazioni dei
fondamentali diritti della persona, essendo prevista l’assistenza del difensore nel
corso del processo; che è in corso di approvazione la legge di ratifica del trattato
Italia – Cina a fini estradizionali datato 7 ottobre 2010; che dalla
documentazione prodotta dalla difesa non si evince che gli istituti penitenziari
che si avvalgono del lavoro dei detenuti pratichino dei trattamenti crudeli,
disumani o degradanti.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Massimo Bissi, difensore
di fiducia di Wang Pinrong, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 705 cod. proc. pen., per avere la
Corte d’appello ritenuto sussistenti i gravi indizi sebbene la Repubblica popolare
cinese non abbia documentato gli esiti delle indagini, il provvedimento cautelare
del giudice cinese sia privo di motivazione e le argomentazioni spese dalle
autorità richiedenti nella relazione inviata al Ministero degli affari esteri appaiano
contraddittorie e comunque sguarnite di supporto documentale, limitandosi a
recepire gli esiti di un’indagine di polizia giudiziaria.
2.2.

Sussistenza di ragioni ostative alla consegna e contrarietà

dell’ordinamento processuale cinese all’ordine pubblico italiano. Evidenzia il
ricorrente che il codice di procedura penale cinese del 2012: a) non è fondato sul
principio del giusto processo nella fase delle indagini preliminari, laddove non
prevede l’interrogatorio di garanzia alla presenza dell’autorità giudiziaria e di un
difensore, ma solo l’interrogatorio di polizia senza difesa; b) non prevede la
disclosure dei risultati delle indagini e l’ostensione degli atti dell’accusa nella fase

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pen.) e pertanto verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e

dibattimentale è fortemente limitata da un potere di selezione degli atti da parte
del pubblico ministero; c) non prevede la regola del nemo tenetur se detegere;
d) non prevede garanzie analoghe a quelle dell’art. 111 Cost. in tema di
assunzione della prova dibattimentale. D’altra parte, la legge di ratifica del
trattato estradizionale Italia – Cina non è stata ancora approvata sicchè non si
può affermare che la Repubblica popolare cinese goda di quella fiducia
istituzionale che si esprime nell’adozione di uno strumento convenzionale.
2.3.

Sussistenza di ragioni ostative alla consegna per il rischio di

denominato “LAOGAI” essere assimilato al lavoro in carcere che questa Corte ha
escluso poter configurare un’ipotesi di rifiuto di consegna.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato,
mentre l’Avv. Massimo Bissi, difensore di fiducia di Wang Pinrong, ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le deduzioni e va pertanto
rigettato.
2. Condivisibile è la valutazione espressa dalla Corte territoriale in punto di
gravi indizi di colpevolezza.
Il Collegio bolognese ha invero argomentato con motivazione adeguata – in
quanto puntuale e coerente alle risultanze degli atti nonché conforme a logica e
diritto – la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, concetto che – per di più
trattandosi di estradizione processuale – va interpretato secondo gli standard
probatori previsti nella fase cautelare, id est in termini di elevata probabilità della
imputabilità del fatto all’estradando. In particolare, nella richiesta di estradizione
e nella documentazione ad essa allegata (v. documentazione trasmessa con
raccomandata urgente del 20 gennaio 2015 ed allegati in atti) sono descritti in
modo puntuale i fatti per i quali Wang è sottoposto a procedimento e viene dato
atto del fatto che l’indagato, spendendo un falso nome, in concorso con altri,
acquistava a credito, tramite una società fantasma, da numerosissime società
(indicate nelle pagine da 2 a 6 della richiesta) merce di tipologia diversa che
esportava illegalmente in Italia senza averla pagata.
Nessun vizio può derivare dalla circostanza che i fatti posti a base della
richiesta di estradizione siano stati ricostruiti dall’Autorità istante sulla base delle
risultanze delle indagini condotte dalla Polizia: ciò risulta del resto conforme
anche al diritto processuale penale vigente del nostro ordinamento, che consente
di fondare le valutazioni nella fase cautelare (segnatamente il requisito ex art.

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sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, non potendo il regime cinese

273 cod. proc. pen.) sulla base di atti a formazione unilaterale, non assunti nel
contraddittorio delle parti.
D’altra parte, il Collegio d’appello ha correttamente dato atto della
sussistenza degli ulteriori requisiti per dare corso alla richiesta di estradizione,
laddove il reato per il quale si procede (truffa) è punito – sia dalla legge
nazionale, sia dalla legge cinese – con una pena detentiva non inferiore nel
massimo a un anno e la domanda di estradizione avanzata dall’Autorità cinese è
corredata dei documenti previsti dall’art. 700 del codice di rito.

ritenere sussistente nessuna condizione ostativa alla consegna ed, in particolare,
quelle delineate all’art. 705, comma 2, cod. proc. pen.
3.1. Giova rammentare come, secondo i principi affermati da questa Corte,
ai fini della verifica dell’insussistenza delle condizioni ostative all’estradizione ai
sensi dell’art. 705 cod. proc. pen., non è necessario che l’ordinamento dello
Stato richiedente preveda disposizioni sovrapponibili a quelle dell’ordinamento
interno, laddove i diritti fondamentali possono essere garantiti in maniera non
uniforme nei vari sistemi processuali, dovendosi piuttosto verificare se
nell’ordinamento processuale richiedente sia violato il nucleo essenziale dei diritti
di difesa dell’imputato (Cass. Sez. 6, n. 6864 del 30/01/2004, Halimi, Rv.
227885; Sez. 6, n. 36583 del 26/06/2012, Stefan Flavius Rv. 253539).
Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto buon uso il Giudice d’appello
laddove ha evidenziato che, dalle norme del codice di procedura penale cinese
approvato nel 2012, non si evincono evidenti violazioni dei diritti fondamentali
della persona, dal momento che gli artt. 32 e seguenti prevedono l’assistenza del
difensore sin dalla fase delle indagini e l’assistenza legale per la persona
detenuta, mentre la mancata previsione del principio del contraddittorio nella
formazione della prova e la strutturazione del rito secondo un’impronta
inquisitoria piuttosto che accusatoria non si traducono di per sé in una lesione
dei diritti fondamentali di difesa della persona sottoposta a procedimento penale.
Lesione che, ad ogni modo, non risulta evidenziata in modo specifico nei motivi
di ricorso, del tutto generici sul punto.
D’altronde, non si può non condividere la considerazione svolta dalla Corte
di Bologna allorché ha evidenziato che la legge di ratifica del Trattato di
estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare cinese, fatto a
Roma il 7 ottobre 2010, è in avanzata fase di approvazione: con atto n. 1333 del
3 settembre 2014, detta convenzione è stata difatti ratificata dal Senato e si
trova attualmente alla Camera dei Deputati per la definitiva approvazione.
La stipula del Trattato bilaterale di estradizione e l’avanzato stato di
definitiva approvazione può a ragione ritenersi indicativo della volontà dei due
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3. Quanto al secondo ed al terzo motivo di doglianza, non v’è materia per

Stati contraenti di assumere, a livello politico, un impegno formale ad estradare
gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l’esecuzione di una pena o di
una misura cautelare, facendo mutuo affidamento sull’effettivo riconoscimento
del diritto ad un “giusto processo” in favore dell’estradando e sul pieno rispetto,
nei rispettivi istituti di pena, dei diritti fondamentali della persona, con
conseguente accesso ad una procedura “semplificata” di estradizione. Tale dato
normativo è stato dunque considerato a ragione dal Collegio emiliano quale
indice del riconoscimento della affidabilità reciproca fra gli Stati aderenti alla

rispettati gli impegni assunti quanto alla osservanza delle regole processuali, con
specifico riguardo alle garanzie a presidio del diritto di difesa, ed alla tutela dei
diritti della persona.
3.2. Dagli atti non emerge (né la difesa ha evidenziato nessun elemento in

tale senso) che il provvedimento da eseguire contenga disposizioni contrarie ai
principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
3.3.

Infine, non v’è fondato motivo di ritenere che la persona sarà

sottoposta ad atti persecutori o discriminatori, a pene o trattamenti crudeli o
disumani.
Sotto un primo aspetto, deve essere posto in evidenza che, come si è già
avuto modo di chiarire, in tema di estradizione per l’estero, il divieto di
pronuncia favorevole, ove si abbia motivo di ritenere che l’estradando verrà
sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti
crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di
uno dei diritti fondamentali della persona, opera esclusivamente nelle ipotesi in
cui ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a
prescindere da contingenze estranee a orientamenti istituzionali, non rilevando
quelle situazioni rispetto alle quali sia comunque possibile una tutela legale
(Cass. Sez. 6, n. 49881 del 06/12/2013, Neledva Rv. 258141).
Sotto diverso aspetto, mette conto rammentare che, secondo i principi già
affermati da questo Giudice di legittimità in tema di estradizione per l’estero, non
sussiste il divieto di consegna ai sensi degli artt. 698 e 705, comma 2, cod. proc.
pen., ove il fatto per il quale l’estradando sia chiamato a rispondere venga
sanzionato nella legislazione dello Stato richiedente con le pene dei lavori
“pubblici” e dei lavori “correzionali”, se per la loro natura, ovvero per i contenuti
e le modalità di scelta ed esecuzione, sia possibile escluderne la riconducibilità
alla nozione dei lavori forzati di cui all’art. 4 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, o comunque alle pene ed ai trattamenti richiamati dall’art. 698,
comma primo, cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, n. 28714 del 12/07/2012,
Baramidze, Rv. 253013).
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convenzione e quindi della “presunzione” che nei rispettivi ordinamenti saranno

Orbene, il ricorrente si è limitato a dedurre la riconducibilità del regime
cinese denominato “LAOGAI” ai “lavori forzati” vietati dalla CEDU senza peraltro
indicare anche solo un elemento concreto, sulla scorta del quale detta

assimilabilità possa essere affermata e sia tale da precludere la consegna.
4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento

delle spese del procedimento.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc.
pen.

Così deciso in Roma il 26 maggio 2015

Il consigliere estensore

I Presiden

P.Q.M.

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