Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3828 del 12/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3828 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
AISSAOUI NAJIB N. IL 16.03.1975
Nei confronti di :
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE del 27/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, lette le
conclusioni del PG in persona della dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni che ha chiesto
l’annullamento con rinvio della impugnata ordinanza

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Firenze con l’ordinanza impugnata emessa in data 27 gennaio
2014, ha rigettato la domanda proposta con istanza del 26 luglio 2013 da Aissaoui
Najib volta al riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione sofferta
nell’ambito di un procedimento in cui gli era stata contestata la violazione del d.P.R.
n. 309/1990, conclusosi con sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste”,
pronunciata dal Tribunale di Prato in data 22 maggio 2012.
2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del proprio difensore l’Aissaoui deducendo la
violazione e falsa applicazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. e la manifesta illogicità
della motivazione.
3. Il Ministero dell’Economia e Finanze con memoria depositata in data 27 novembre
2014 resisteva al ricorso chiedendone il rigetto.

Data Udienza: 12/12/2014

4. Il ricorso è fondato. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e
che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di
parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al giudice della
riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante
(smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una
macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura,
traendo in inganno il giudice. In particolare il giudice di merito, per valutare se chi la
ha patito la detenzione vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve apprezzare tutti gli elementi probatori disponibili, tenendo conto se essi
rivelino o meno eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di
norme o regolamenti, e fornendo del convincimento conseguito una motivazione,
che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il giudice,
basandosi su fatti concreti deve cioè valutare non se la condotta integri estremi di
reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza
di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha correttamente applicato le norme in
materia ed è venuta meno al suo onere di puntuale motivazione. Va premesso che il
Tribunale di Prato ha assolto l’odierno ricorrente – come già ricordato in narrativaperché il fatto non sussiste. La impugnata ordinanza ha ritenuto ostativo al
riconoscimento dell’indennizzo il contenuto di alcune conversazioni telefoniche il cui
linguaggio criptico induceva a ritenere i colloqui inerenti a traffici di stupefacenti,
nonché il silenzio serbato in sede di interrogatorio, dove avrebbe invece potuto
chiarire il diverso significato delle intercettazioni.
5. L’ordinanza, però, non prende in considerazione la circostanza che la sentenza di
assoluzione si è basata proprio sulla ritenuta non raggiunta prova della riferibilità di
quelle conversazioni all’Aissaoui, dandola invece per acquisita. Ne consegue, da
quanto detto, che il provvedimento di rigetto dell’equo indennizzo non individua in
modo fattualmente certo una “condotta” da attribuire al ricorrente, onde valutarne
poi
la
sua
qualificazione
gravemente
colposa
o
meno.
Nè può dirsi che tale condotta possa essere costituita dalla mancata risposta
all’interrogatorio.
Infatti, se è vero che “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il silenzio, la
reticenza e il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, pur costituendo
esercizio del diritto di difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa
grave nel caso in cui egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non note
all’organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere
o caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa, che
determinarono l’emissione del provvedimento cautelare” (Cass. Sez. 4, Sentenza n.
4159 del 09/12/2008 Cc. (dep. 28/01/2009), Rv. 242760);
è anche vero che il silenzio, ammesso che sia accertata la sua efficacia eziologica,
incide sul mantenimento in atto della misura cautelare, ma non sulla sua adozione
(cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 24355 del 14/02/2006 Cc. (dep. 14/07/2006), Rv.
234567).
6. Alla luce di quanto detto, si impone l’annullamento con rinvio dell’ordinanza per
nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la impugnata ordinanza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per nuovo esame
Così deciso nella camera di consiglio del 12 dicembre 2014
IL CONSIGLIERE ESTENSOR

IL PRESIDENTE

CONSIDERATO IN DIRITTO

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