Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38227 del 21/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 38227 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COSENZA GIUSEPPE N. IL 01/09/1962
MASSA GIUSEPPA N. IL 28/09/1964
avverso la sentenza n. 4497/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 18/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Data Udienza: 21/06/2013

Ritenuto:
— che la Corte di appello di Palermo con sentenza del 18/10/2012 ha confermato la sentenza
27/7/2010 del Tribunale di Termini Imerese che aveva affermato la responsabilità penale di
COSENZA Giuseppe e MASSA Giuseppa per i reati di cui agli artt.: 44, lett. b); 64, 65, 71 e 72;
83 e 95 D.P.R. n. 380/2001 (in relazione all’ampliamento di preesistente manufatto per mq. 60 – acc.
in Misilmeri, il 18/7/2008);
— che gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo: a) che non risulterebbe
dimostrata la trasformazione del territorio non trattandosi di nuova costruzione; b) che la loro
penale responsabilità sarebbe stata erroneamente affermata sulla base del solo rapporto di coniugio
e della comproprietà; c) che deve ritenersi erronea la subordinazione della sospensione condizionale
alla demolizione. In data 21.5.2013 hanno prodotto memoria ad ulteriore sostegno delle proprie
ragioni;
— che i motivi di gravame risultano manifestamente infondati, a causa dell’oggettiva inconsistenza
della base giuridica delle censure, in quanto gli imputati sono stati condannati in seguito a corretta
valutazione della situazione concreta in cui venne svolta l’attività incriminata (risulta realizzato un
ampliamento di mq 60 con realizzazione, quindi, di nuove volumetrie), e la loro compartecipazione
alla realizzazione dell’opera illecita è stata dedotta non soltanto dalla situazione di comproprietà
dell’edificio abusivo, bensì pure dalla piena disponibilità, giuridica e di fatto, di detto edificio e del
suolo e dal comune interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del -cui
prodest”). Con specifico riferimento al rapporto di coniugio, si è osservato che la
compartecipazione di un coniuge nel reato materialmente commesso dall’altro non può essere
desunta dalla mera qualità di comproprietario. Sono stati pertanto successivamente individuati,
quali elementi indizianti : il fatto che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato
realizzato l’edificio abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per
completare l’opera al fine di trasferire la loro residenza (Sez. III n. 28526, 18 luglio 2007); l’abitare
nel luogo ove si è svolta l’attività illecita di costruzione, l’assenza di manifestazioni di dissenso, il
comune interesse alla realizzazione dell’opera (fattispecie relativa ad imputata la quale, benché
formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di
comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in
un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi) (Sez. III n. 23074, 10 giugno
2008); il regime patrimoniale dei coniugi (comunione dei beni), lo svolgimento di attività di
vigilanza dell’esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza
in loco all’atto dell’accertamento (Sez. III n. 40014, 27 ottobre 2008). Nella fattispecie, risulta: il
regime di comunione legale e la destinazione all’uso familiare dell’immobile;
— che la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione risulta
giuridicamente corretta in quanto una nota pronuncia delle Sezioni Unite (SS. UU. n. 714, 3
febbraio 1997) ha fornito da tempo un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la
legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione che appare, peraltro,
giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta,
indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr. Sez. I n.
7660, 2 agosto 1996; Sez. V n. 10309, 30 settembre 1998; Sez. III n. 38071, 16 ottobre 2007). Di
tali principi hanno pertanto fatto buon uso i giudici del gravame ed è appena il caso di osservare
come la presenza di un manufatto abusivo sul territorio rappresenti sempre e comunque una
conseguenza dannosa e che l’ordine di demolizione impartito dal giudice è previsto dalla legge, in
quanto l’articolo 31 stabilisce, al nono comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il
reato di cui all’articolo 44, ordini la demolizione delle opere se ancora non sia stata altrimenti
eseguita. L’ordine giudiziale di demolizione, inoltre, ha natura di sanzione amministrativa di tipo
ablatorio che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o
sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa. assolvendo ad una autonoma funzione
ripristinatoria del bene giuridico leso (v. Sez. III n. 37120, 13 ottobre 2005).

– che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità — non potendosi escludere
che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) — segue l’onere
delle spese del procedimento, nonché, per ciascuno di essi, quello del versamento, in favore
della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di
curo 1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti,,
T’., al pagamento delle spese del
procedimento, nonché ciascuno di essi al versamento della somma di euro mille/00 in favore della
Cassa delle ammende.

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