Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38203 del 21/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 38203 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTAGNA DOMENICO N. IL 14/04/1932
avverso la sentenza n. 44/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
04/11/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Data Udienza: 21/06/2013

Ritenuto:
— che la Corte di appello di Messina con sentenza del 4/11/2011 ha confermato la sentenza
24/5/2010 del Tribunale monocratico di Mistretta, che aveva affermato la responsabilità penale
di CASTAGNA Domenico per il reato di cui all’art. 20, lett. b), legge n. 47/1985
(sopraelevazione di un fabbricato, con montanti in lamiera zincata imbullonati, copertura in
pannelli termoisolanti accessibile tramite una botola – acc. in Tusa, il 10/11/2006);
— che avverso detta sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale — sotto i
profili della violazione di legge e del vizio di motivazione — ha lamentato:
* la inconfigurabilità del reato edilizio, in quanto, ai sensi dell’art. 20 della legge n.
4\2003 della Regione Siciliana, non sarebbe soggetta a concessione o autorizzazione la
chiusura di un terrazzo in quanto struttura precaria”;
* il mancato riconoscimento della buona fede;
in data 6.6.2013 faceva pervenire memoria;
— che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché le doglianze anzidette sono
manifestamente inlandate, in quanto:
a) la chiusura di un terrazzo determina la creazione di nuovi volumi ed è soggetto,
pertanto, a permesso di costruire. In particolare, tale manufatto è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta del carattere di
precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti
con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento
dell’immobile.
L’art. 20 della legge 16.4.2003, n. 4 della Regione Siciliana assoggetta ad un particolare regime
di asseveramento:
a) “la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture
precarie”;
b) la realizzazione di verande, definite come -chiusure o strutture precarie relative a qualunque
superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati”;
c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa
riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che
ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte almeno da un lato.
La norma in esame dispone altresì che:
aa) gli interventi dianzi descritti non sono considerati aumento di superficie utile o di volume né
modifica della sagoma della costruzione;
bb) – sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere
suscettibili di .facile rimozione”.
Le disposizioni regionali anzidette, procedendo alla identificazione in via di eccezione di
determinate opere precarie non soggette a permesso di costruire, privilegiano il “criterio
strutturale” (la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente
rimovibili) a discapito di quello “funzionale” (l’uso realmente precario e temporaneo cui la
costruzione è destinata). Tali disposizioni, pertanto, non possono essere applicate al di fuori dei
casi espressamente previsti [vedi Sez. III n. 16492 28 aprile 2010 ed altre prec. conti] ed in
relazione alle stesse, anche nella accentuazione del riferimento alle modalità costruttive ed alla
stabilità materiale dei manufatti, deve rilevarsi che non può comunque considerarsi -realizzata in
modo tale da essere suscettibile di facile rimozione” una struttura di m. 7,90 X 3,40 X 2,70 di
altezza al colmo (non rivolta oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitate nel
tempo), stabilmente incorporata alle opere murarie già esistenti;
— che correttamente la Corte territoriale ha escluso la sussistenza della buona fede in
considerazione della natura contravvenzionale della violazione. Sussiste, inoltre, in capo a chi
intraprende la realizzazione di un manufatto, un preciso onere di adeguata informazione circa la
disciplina di settore;

A

— che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità — non potendosi escludere
che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) — segue
l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle
ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di euro 1.000,00.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma di euro 1.000,00 (mille/00) alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in ROMA, nella camera di consiglio del 21/6/2013

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