Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3819 del 03/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3819 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CONTINI CRISTIAN, nato il 28/09/1986
avverso l’ordinanza n. 270/2014 TRIB. UBERTÀ di ANCONA, del
01/07/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udite le conclusioni del PG Dott. FULVIO BALDI che ha chiesto il rigetto del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1/7/2014 il Tribunale del riesame di Ancona ha
confermato l’ordinanza con la quale, in data 18/6/2014, il G.I.P. del medesimo
Tribunale, in sede di convalida di fermo, aveva applicato nei confronti di Contini
Cristian la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al reato di
associazione a delinquere finalizzata alla commissione di furti in abitazione
nonché in relazione a tre reati fine (furti in abitazione pluriaggravati) e al reato
dì cui all’art. 55, comma 9, d.lgs. 21 novembre 2007 n. 231 (indebito utilizzo di
carte di credito), per il quale era indagato in concorso con altri.
I motivi di ricorso, esclusivamente impingenti la sussistenza di esigenze
cautelari tali da giustificare la più severa misura custodiale, sono stati disattesi
dal tribunale in considerazione della gravità dei reati per i quali il prevenuto è
sottoposto a indagini (ben tre furti in abitazione, commessi in appena quattro

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Data Udienza: 03/12/2014

giorni, due la stessa notte); della partecipazione a un sodalizio criminale su base
familiare dedito a tale tipo di reati; del pericolo di reiterazione derivante anche
dalla mancanza di occupazione lavorativa; della necessità di salvaguardare
l’acquisizione di ulteriori fonti di prova, essendo in corso la ricerca di parte della
refurtiva ancora non rinvenuta; della inadeguatezza della misura degli arresti
domiciliari poiché questa sarebbe da eseguire in un campo nomadi: luogo
ritenuto dal collegio

«in sé inidoneo, nonostante il possibile utilizzo del

braccialetto elettronico, in quanto trattasi di spazio aperto, non chiaramente

abitazione o privata dimora» e, inoltre, perché, in tale contesto promiscuo,
sarebbe comunque impossibile alle forze dell’ordine operare alcun controllo in
ordine alle frequentazioni dell’indagato.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso il Contini, per mezzo del proprio
difensore, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, per essere,
quella adottata dal tribunale, contraddittoria e carente di riferimenti a concreti
elementi di giudizio.
Sostiene in sintesi che:
i furti per i quali egli è indagato, commessi nello stesso contesto temporale,
non sono indicativi di costanza e continuità nella commissione di reati;
il tribunale confonde l’esigenza di non inquinare le prove con l’aspettativa di
recuperare la refurtiva;
il collegio è altresì incorso in grave errore affermando che egli non svolga
attività lavorativa, in contrasto con quanto documentato nel corso dell’udienza in
camera di consiglio, attraverso la produzione del CUD;
il collegio ha inoltre omesso di considerare che l’abitazione di esso
ricorrente, come risultante dai documenti anche fotografici prodotti, pur essendo
sita all’interno di un campo nomadi, è chiaramente recintata, delimitata e
separata dalla rimanente parte del campo medesimo;
è illogico sostenere che i luoghi sia pur precari dove abitualmente risiedono i
nomadi siano incompatibili con la meno severa misura richiesta, né che
l’applicazione di un braccialetto elettronico non possa contribuire a rafforzare
l’efficacia della stessa;
il tribunale ha violato, infine, la previsione di cui all’art. 275, comma 2-bis,
cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 8, comma 1, d.l. 26 giugno 2014, n. 92,
già in vigore alla data dell’ordinanza impugnata, che esclude possa essere
applicata la misura della custodia cautelare in carcere «se il giudice ritiene che,

all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni»,
come è più che verosimile ritenere accadrà nella specie trattandosi di quattro

delimitato, né de/imitabile e, comunque, non riconducibile al concetto di

furti pacificamente in continuazione tra loro, per i quali gli imputati hanno già
manifestato l’intenzione di richiedere i riti alternativi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
Giova rammentare che, secondo costante insegnamento della Suprema
Corte, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei

revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
Io spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive
dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle
misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146
del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201840).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e
delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è, quindi, rilevabile in
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o
in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.

4.

Nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha giustificato la propria

valutazione circa la sussistenza di esigenze cautelari non adeguatamente
fronteggiabili se non con la più severa misura restrittiva, con motivazione
adeguata, come tale non suscettibile di sindacato in questa sede.
Il tribunale ha, infatti, congruamente, ancorché sinteticamente, motivato
l’espresso convincimento relativo alla loro sussistenza e alla inadeguatezza di
misure meno afflittive di quella disposta, facendo riferimento in particolare – al
di là del contestato e di per sé non decisivo riferimento allo stato di
disoccupazione – alla gravità dei fatti, in sé non contestata peraltro nemmeno
dal ricorrente e all’inserimento del prevenuto in un «sodalizio criminale su base
familiare dedito a tale tipo di reati», tale da rendere concreto e verosimile il
pericolo di frequentazione dell’indagato con altri soggetti dediti ad analoghe
attività delittuose.
Su tali punti, le censure in questa sede mosse dal ricorrente si rivelano in
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provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di

massima parte generiche o al più meramente espressive di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate, che per quanto detto, in quanto tale,
non può trovare ingresso in questa sede.
Deve ritenersi poi inconferente la doglianza relativa alla omessa
considerazione della esatta consistenza del luogo fisico adibito a domicilio del
prevenuto all’interno del campo nomadi, rappresentato da una abitazione
«recintata, delimitata e separata dalla rimanente parte del campo», trattandosi
di circostanza di non decisivo rilievo nell’economia della motivazione e come tale

quanto espressiva di una valutazione fondata anche sulla gravità dei fatti e
sull’inserimento in un sodalizio criminale a base familiare tali da giustificare di
per sé comunque una prognosi di inadeguatezza della meno afflittiva misura
degli arresti domiciliari.
Aspecifiche poi sono le censure dirette a contestare la valutazione del rilievo
attribuibile all’applicazione di un braccialetto elettronico, le quali invero non si
confrontano con il reale significato delle considerazioni sul punto svolte
nell’ordinanza impugnata. Questa infatti, fungi dal negare aprioristicamente
l’utilità di tale dispositivo ai fini del soddisfacimento delle esigenze cautelari, ha
riferito la propria valutazione sul punto allo specifico contesto considerato,
ragionevolmente evidenziando in particolare che tale misura non varrebbe nel
caso concreto a consentire un efficace controllo da parte delle forze dell’ordine in
ordine alle frequentazioni dell’indagato.
Non sussiste infine la dedotta violazione della norma di cui all’art. 275,
comma 2-bis, cod. proc. pen., apparendo al riguardo assorbente il rilievo che la
formulazione della stessa è stata modificata dalla legge di conversione del di. n.
92/2014 che l’aveva introdotta nei termini riferiti dal ricorrente, con la previsione
della espressa esclusione della sua applicabilità nei procedimenti per takuni
delitti ivi espressamente indicati, tra i quali quello – che nella sepcie viene in
rilievo – di cui all’art. 624-bis del codice penale.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va disposta la trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto stabilito dall’art.
94, comma 1-ter, disp. att. del c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
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inidonea a far venire meno la coerenza logica della stessa nel suo complesso, in

processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso
al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p..

Così deciso il 3/12/2014

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